Moll Flanders (Collins Classics) (51 page)

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Authors: Daniel Defoe

Tags: #Fiction, #Classics

BOOK: Moll Flanders (Collins Classics)
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Può darsi che esagerasse in questo un po’ più del necessario, ma, se era uno sbaglio, non era uno sbaglio inutile, perché in tal modo lei salvava la reputazione, per quel che era, del suo mestiere, e si presentava come un personaggio che, pur occupandosi delle donne nel momento della loro perdizione, non era tuttavia strumento del loro modo di perdersi; e tuttavia era un ben tristo commercio il suo.

Mentr’ero lì, e prima di mettermi a letto, ricevetti una lettera del mio fiduciario in banca, piena di cose gentili e affettuose, che insisteva perché io tornassi a Londra. Era già vecchia di un paio di settimane quando mi giunse, perché era stata prima inviata nel Lancashire e poi rimandata a me. Lui concludeva dicendomi che aveva ottenuto un decreto, credo che così si dicesse, contro la moglie, ed era pronto a mantenere il suo impegno con me, se io ero disposta a sposarlo, e aggiungeva molte dichiarazioni di affetto e di devozione, quali si sarebbe ben guardato dal fare se avesse saputo in che condizioni mi trovavo io, e quali certamente io ero ben lontana dal meritare.

Scrissi rispondendo a quella lettera, misi la data di Liverpool, ma spedii la lettera per mezzo di un messo, asserendo che l’avevo mandata sotto busta a un amico in città. Mi rallegrai con lui per la sua riacquistata libertà, ma avanzai alcune riserve sulla legittimità di un suo nuovo matrimonio, e gli dissi che supponevo avrebbe voluto riflettere su quel punto molto seriamente prima di prendere una decisione, visto che vi potevano essere conseguenze troppo gravi perché un uomo come lui si buttasse avventatamente in una storia simile; conclusi facendogli tutti i miei auguri per quel che avrebbe deciso, senza dargli la minima idea di quel che avevo in mente io e senza rispondere alla sua richiesta di tornare a Londra da lui, ma espressi vagamente la mia intenzione di ritornare verso la fine dell’anno, e la mia lettera era datata aprile.

Mi misi a letto verso la metà di maggio, ebbi un altro bel maschio, e secondo il mio solito andò tutto bene, come le altre volte. La mia governante fece il mestiere suo di levatrice con abilità e destrezza, molto meglio di quanto mi fosse mai capitato di sperimentare.

La cura che ebbe per me durante il travaglio, e, in seguito, durante la convalescenza, fu tale che, fosse stata mia madre, non avrebbe potuto far di più. Che nessuno però si lasci incoraggiare a brutte imprese dall’attività di quell’abilissima donna, perché colei a quest’ora è passata nel mondo dei più e io posso dire che non ve ne sarà mai un’altra uguale.

Credo che ero a letto da ventidue giorni quando ricevetti un’altra lettera dal mio amico della banca, con la sorprendente notizia che aveva ottenuto una sentenza definitiva di divorzio contro la moglie, e gliel’aveva fatta notificare il tal giorno, e poteva ora dare a tutte le mie obiezioni circa il suo nuovo matrimonio una risposta che io certo non m’attendevo e che non era stato lui a desiderare: la moglie, infatti, che già prima aveva sofferto di rimorsi per il modo in cui l’aveva trattato, appena saputo che lui aveva vinto la causa, s’era penosamente uccisa la sera stessa.

Lui esprimeva nobilmente il suo turbamento per la sciagura, ma chiariva di non avervi avuto parte, aveva soltanto preteso giustizia in una vicenda per la quale notoriamente aveva subito torti e offese. Diceva comunque di esserne molto addolorato, e di non scorgere al mondo altra via di sollievo per lui se non la speranza che io andassi a consolarlo con la mia compagnia; e con calore insisteva perché io gli lasciassi sperare che sarei venuta in città e sarei andata a trovarlo, e allora lui avrebbe potuto approfondire con me il discorso.

Fui straordinariamente stupita da quella notizia, e incominciai allora a riflettere seriamente sulla mia situazione, e sulla sfortuna indicibile che era trovarmi con un bambino sulle braccia, e non sapevo come regolarmi. Alla fine misi in modo vago al corrente del mio caso la mia governante. Mi mostrai per alcuni giorni malinconica e turbata, e lei mi chiedeva in continuazione che preoccupazioni avevo. Io sarei morta piuttosto che dirle che avevo una proposta di matrimonio, dopo averle tante volte detto che avevo un marito, sicché davvero non sapevo che raccontarle. Ammisi che c’era qualcosa che mi preoccupava grandemente, ma al tempo stesso le dissi che non potevo farne parola ad anima viva.

Lei continuò a insistere per diversi giorni, ma per me era impossibile, le dissi, confidare a qualcuno quel segreto. Quella risposta, invece di contentarla, accrebbe la sua insistenza; lei tenne a dirmi che le erano sempre stati confidati segreti di quel genere, che era mestiere suo tener tutto celato, e che per lei svelare cose di quel genere significava la rovina. Mi domandò anche se io l’avevo colta mai a chiacchierare di affari altrui; come potevo dunque sospettare di lei? Mi disse che aprirmi con lei era lo stesso che non raccontarlo a nessuno; lei era silenziosa come una tomba; doveva trattarsi di un caso ben strano perché lei non potesse aiutarmi; ma tenerglielo celato significava privarmi di ogni possibile aiuto, e privare lei della possibilità di essermi utile. In poche parole, mi stregò tanto con la sua parlantina e con la sua capacità di persuasione che non fu più possibile nasconderle nulla.

Decisi perciò di sbottonarmi con lei. Le raccontai la storia del mio matrimonio nel Lancashire, e della delusione che tutti e due avevamo avuto; come ci eravamo messi insieme e come ci eravamo separati; come lui m’aveva sciolta da ogni impegno, per quel che dipendeva da lui, e m’aveva dato libertà di rimaritarmi, dichiarando che mai mi avrebbe reclamata, né arrecato disturbo né smascherata; che io mi ritenevo, sì, libera, ma avevo una terribile paura di rischiare, perché temevo le conseguenze che potevano esserci in caso di disgrazia.

Poi le raccontai che ottima proposta avevo; le mostrai le ultime due lettere del mio amico, che m’invitavano ad andare a Londra, e le feci vedere con quanto affetto e quanta serietà erano scritte, ma le nascosi il nome, e anche la storia della disgrazia della moglie, dissi solo che era morta.

Lei scoppiò a ridere davanti ai miei scrupoli di maritarmi, e mi disse che l’altro non era un matrimonio, ma una burla reciproca; poiché ci eravamo separati di comune accordo, la sostanza del contratto non c’era più, e il nostro impegno era reciprocamente rimesso. Gli argomenti le venivano uno dopo l’altro sulle labbra; e, a farla breve, tante cose mi mise in testa, che la testa io la perdetti; non senza il contributo della mia naturale inclinazione.

Ma si arrivò allora alla difficoltà principale, e cioè il bambino; quello, mi disse lei in tutte le maniere, bisognava mandarlo altrove, in modo che nessuno lo scoprisse. Io capivo che non potevo sposarmi senza nascondere nel modo più assoluto che avevo un figlio, perché altrimenti lui avrebbe potuto dall’età del bambino rendersi conto che era nato, anzi era stato concepito, dopo che avevo conosciuto lui, e ciò avrebbe scombinato tutto.

Ma mi opprimeva così terribilmente il cuore l’idea di separarmi per sempre dal bambino e di lasciarlo, per quel che ne sapevo, ammazzare, o morir di fame e di maltrattamenti (che era poi lo stesso), che non riuscivo a pensarci senza inorridire. Vorrei che tutte le donne che accettano di disfarsi dei loro figli mettendoli, come si dice, in mezzo a una strada, per salvare le convenienze, si rendessero conto che si tratta soltanto di un sistema camuffato di assassinio; vale a dire, un modo di uccidere i bambini senza correre rischi.

È manifesto a chiunque sappia qualcosa di bambini che tutti veniamo al mondo sprovveduti, incapaci di badare ai nostri bisogni e persino di comunicarli, e che privi di aiuto siamo destinati a perire; non soltanto quest’aiuto richiede una persona che se ne occupi, sia la madre o sia un’altra persona, ma è necessario che quella persona possieda anche due cose, e cioè abilità e attenzione; senza le quali, metà dei bambini che nascono morirebbero, anche se non si negasse loro il cibo; e un’altra metà degli altri resterebbero storpi o deficienti, perderebbero l’uso degli arti e magari del cervello. Io non ho dubbi che in parte per questo motivo la natura abbia posto nel cuore delle madri l’affetto per i loro figli; senza il quale non riuscirebbero mai a dedicarsi, com’è necessario che facciano, a tutte le cure e a tutte le penose veglie che l’allevamento dei figli richiede.

Poiché tale assistenza è indispensabile alla vita dei bambini, trascurarli significa assassinarli; anche affidarli a persone cui la natura non abbia posto in cuore il necessario affetto significa trascurarli nel modo peggiore; infatti, in certi casi si va più in là, e li si trascura al punto da smarrirli; sicché questo è nell’intenzione un vero assassinio, sia che il bambino sopravviva, sia che muoia.

Tutto ciò era presente ai miei occhi, nel quadro più nero e più spaventevole; e poiché ero in grande confidenza con la mia governante, che ora chiamavo mamma, le raccontavo tutti i neri pensieri che mi venivano a quel riguardo, e le dicevo in che angustia mi trovavo. Lei prendeva questa parte più sul serio dell’altra; ma come in cose del genere era indurita senza nessuna possibilità di lasciarsi commuovere dal punto di vista religioso né dagli scrupoli circa l’assassinio, così era egualmente impenetrabile per quel che concerneva l’affetto. Mi domandò se non era stata piena d’attenzioni e di tenerezza per me, quando io m’ero messa a letto, come se fossi stata figlia sua. Io ammisi che così era stato. “Bene, mia cara,” dice allora, “e quando te ne sarai andata che cosa sarai per me? Che significherebbe per me che tu fossi impiccata? Credi che non ci siano donne le quali, poiché è mestiere loro e ci guadagnano il pane, ce la san mettere tutta a occuparsi dei bambini come fossero loro le madri, e anzi son più brave? Sì, piccola,” dice, “non aver paura; come siamo state cresciute noi? Tu sei sicura d’essere stata cresciuta da tua madre? Eppure sei bella e florida, bambina mia,” dice la vecchia strega; e intanto mi fece una carezza sul viso. “Non preoccuparti, bambina,” dice continuando alla sua scherzosa maniera, “io non ne tengo di assassini; prendo le balie più oneste che vi sono, e i bambini che in mano loro fanno una brutta fine sono pochissimi, gli stessi che l’avrebbero fatta se fossero stati cresciuti dalle loro madri; no, non ci mancano né abilità né attenzione.”

Mi toccò profondamente quando mi domandò se ero certa d’essere stata cresciuta da mia madre; io ero invece certa del contrario, fui presa dal tremito, e sbiancai in volto. “Di certo,” dissi tra me, “costei non può essere una strega, né aver parlato con uno spirito che l’abbia informata di quel che accadde a me prima ancora che io fossi in grado di saperlo.” E la guardai con terrore. Ma, riflettendo che non era possibile che lei sapesse nulla di me, mi calmai e incominciai a sentirmi meglio, anche se non subito.

Lei si accorse della mia agitazione, ma non ne comprese il motivo; così continuò a dire un monte di cose circa l’inconsistenza della mia idea che i ragazzi finissero ammazzati solo perché non li cresceva la madre, cercando di convincermi che i bambini dei quali si occupava lei eran trattati bene proprio come se fossero le madri a crescerli.

“Sarà vero, mamma,” dico io, “e dovrei saperne qualcosa; pure i miei dubbi sono ancora profondamente radicati.”

“Su, allora,” dice lei, “sentiamone qualcuno.”

“Ecco, per prima cosa,” dico io, “tu dai a queste persone quattro soldi perché tolgano il peso del bambino alla madre e se ne prendano cura finché vive. Ora noi sappiamo bene, mamma,” dico, “che sono persone povere, e il loro guadagno consiste nel disfarsi prima possibile dell’incarico avuto; come posso fare a meno di dubitare, visto che la cosa migliore per loro è che il bambino muoia, che si preoccupino veramente di farlo vivere?”

“Queste son favole e fantasie,” dice la vecchia; “ti dico io che il loro credito è fondato sul fatto che il bambino sopravviva, e che han tutte le cure che potrebbe avere la madre.”

“Oh, mamma,” dico io, “se fossi soltanto sicura che del mio piccolo qualcuno si prende cura, e me ne rendessi ragione, sarei contentissima; ma di questo non posso esser convinta se non lo vedo, e vederlo sarebbe, nel caso mio, rovina e perdizione; perciò non so che fare.”

“Bella storia!” dice la governante. “Vorresti vedere il bambino e non vorresti vederlo. Vorresti al tempo stesso nasconderti e rivelarti. Sono cose impossibili, cara mia; perciò tu devi fare al massimo quello che hanno fatto prima di te altre brave mamme, e accontentarti delle cose come sono, anche se non sono come vorresti. tu.”

Capii che cosa intendeva per brave mamme. Avrebbe voluto dire brave puttane, ma non voleva farmi una scortesia, perché in realtà in quel caso io non ero una puttana, ero legalmente maritata, lasciando da parte la questione della validità del mio matrimonio precedente.

Comunque, fossi pure quel che ero, non ero ancora giunta a quella durezza che è propria del mestiere, vale a dire a comportarmi contro natura e a non darmi pensiero della salvezza del piccolo; e per tanto tempo conservai quell’onesto affetto, che fui quasi sul punto di lasciar perdere il mio amico della banca, il quale tanto insisteva perché io lo sposassi che quasi non restava più modo di dirgli di no.

Alla fine la mia vecchia governante venne da me, con la sua solita aria sicura. “Senti, cara,” dice, “ho trovato il modo per cui tu potrai avere la certezza che tuo figlio è trattato bene, senza che la gente che se ne prende cura ti conosca né sappia chi è la madre del bambino.”

“Oh, mamma,” dico io, “se ci riesci, io te lo dovrò per sempre.”

“Bene,” lei dice, “sei disposta ad affrontare una piccola spesa annua oltre quello che abitualmente diamo alle persone con le quali combiniamo la cosa?”

“Certo,” dico io, “di tutto cuore, purché io resti nascosta.”

“Quanto a quello,” dice la governante, “puoi star tranquilla, perché la balia non si permetterà mai di prendere informazioni su di te, e tu andrai un paio di volte l’anno a vedere il bambino, a sentire come lo trattano, e ad assicurarti che sia in buone mani, senza che nessuno sappia chi sei.”

“Ma,” dissi io, “tu pensi, mamma, che quando andrò a vedere il mio bambino, sarò capace di non far capire che sono sua madre? Lo credi possibile?”

“Bene, bene,” dice la mia governante, “se anche lo farai capire, la balia non ne saprà di più; infatti le sarà proibito di farti qualsiasi domanda, e di prender notizie su di te. Se ci prova, perde il denaro che tu sei tenuta a darle, e le si può portar via il bambino.”

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