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Authors: Sarah Langan

Virus (39 page)

BOOK: Virus
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Graham sentiva l'odore del proprio alito, e non era gradevole. Prese una confezione di mentine dalla tasca della giacca (ne aveva razziato uno scatolone intero al Puffin Stop) e ne ruminò una ventina in un boccone. Bruciavano, ma continuò a masticare. Poi si chiese:
Perché sono a letto vestito?

In fondo al corridoio, la mocciosa gemeva. Forse era la fame. O la paura, o la stupidità. Isabelle gli ricordava Caitlin. Le donne della sua vita erano macigni che lo incatenavano per le caviglie sul fondo di uno stagno di cinque metri.

Guardò il letto. La mocciosa continuava a belare e, com'era da prevedersi, il grumo nel letto non si alzava. Appoggiò i piedi sul pavimento freddo. Era in ritardo per il lavoro, giusto? Quella stronza si era dimenticata di svegliarlo e preparargli il caffè... No, aspetta, era notte, e domenica per giunta. Da quando dormiva durante il giorno?

Nello specchio non vide la sua faccia. Solo un contorno. Lo sfogo sul collo e sul petto era sparito. Anche la tosse non c'era più. Come se l'era beccato il virus? Ah già, la liceale incontrata al bar qualche sera prima si era chinata come per baciarlo, e invece lo aveva morso! Adesso non riusciva a ricordare cosa fosse accaduto in seguito. Ricordava solo di avere fame.

Ma niente di tutto ciò aveva importanza. Le uniche cose importanti erano il suo volto da bravo ragazzo e la fossetta nel mento che alle signore piaceva tracciare in punta di dita. Anche alla ragazza della stanza 69. Come si chiamava?
Sheila, Laura, Dora, Flora?
Non lo ricordava più. Era stata la sua prima volta con una cicciona.

Fece i gargarismi con una boccata di Listerine e sputò. Si annusò il fiato, rancido, e aprì un'altra confezione di mentine.

Fuori dalla finestra, le strade erano deserte. Erano spenti anche i lampioni, e questo gli fece piacere, perché detestava la luce. La radio suonava a basso volume. Stravinsky. Roba che piaceva a sua moglie. Cambiò stazione. Al notiziario leggevano un comunicato speciale. «Sprangate porte e finestre. Non uscite durante la notte» sbraitava l'annunciatore.

Graham sorrise allo specchio. Il suo toupée era nel lavabo, e decise di lasciarcelo. Gli piaceva il suo nuovo look. Essenziale. Un tempo passava ore in bagno. Anche quando Caitlin bussava alla porta perché le scappava la pipì, lui si rifiutava di aprire finché non aveva finito. Una volta, aveva sorpreso la cretina accosciata sopra un barattolo in cucina perché il bagno al piano di sotto era fuori servizio e non riusciva più a tenerla. Il ricordo lo fece sorridere. Poi aprì la porta. Aveva fame.

Il grumo sotto le coperte gli ricordò Meg Wintrob. Il fatto che lo avesse respinto era come una scheggia nel piede. Insignificante finché non ci fai caso, e poi implacabile. Se fosse andata con lui, non avrebbe dovuto sopportare le risatine nervose della vergine. Se fosse andata con lui, avrebbero potuto mangiare un boccone insieme.

Circa sei mesi prima gli aveva telefonato per dirgli che era finita. Come se lui non fosse già passato alla spogliarellista del club per soli uomini, il Lucifer's Delight. Meg aveva un bel corpo e a lui piaceva, ma era un po' stagionata. Ancora un paio d'anni e le sue ovaie sarebbero state vecchie, e le sarebbe puzzato l'inguine. Lo aveva già visto succedere alle zitelle del suo ufficio. Diventavano vice-presidenti lunatici che uscivano con uomini incontrati su Internet, e a quarantacinque anni cominciavano a puzzare.

Proprio così, lei lo aveva scaricato, e lui aveva sorriso,
nessun problema, baby
,
anche se avrebbe voluto farla a pezzi. Non lo sapeva quella troia avvizzita che le aveva fatto un favore? Aveva fatto finta di trovarla sexy, anche se a casa aveva una moglie con una quarta abbondante e le fossette sulle guance.

Era già da un po' che pensava a Meg. Dopo l'infezione ci aveva pensato anche di più. Era come se si fosse girato un interruttore dentro di lui, che non gli permetteva di lasciar perdere. Quando chiudeva gli occhi lei era là ad aspettarlo a braccia conserte, con l'aria di una alla quale nessun regalo che lui potesse farle, nessun trucco di lingua, potessero mai bastare.

Qualche giorno prima, tenendo Isabelle per una mano e mangiando una mela con l'altra, Caitlin si era offerta di fargli un massaggio e lui aveva perso il lume. Era già malato, ma non del tutto infetto. C'era solo la tosse, lo sfogo, qualche ciocca di capelli qui e là. Aveva sollevato una mano, e un attimo dopo la mano le era addosso. Ancora e ancora. L'aveva picchiata finché non si era stancato. Finché mani e denti non gli facevano male. Poi si era lavato le mani e la bocca con il sapone profumato fino a quando l'acqua aveva smesso di scorrere rosa. La tappa successiva era stata la biblioteca. Aveva dato il massimo del famoso fascino Nero. Era stato irresistibile. E ciononostante, Meg gli aveva detto no.

Graham imboccò il corridoio. Il grumo sotto le lenzuola cominciava a puzzare, così lo lasciò dov'era. Era rosso e ancora un po' umido. La troia pigra non aveva nemmeno pulito. Passò davanti alla camera di Isabelle. Lei sedeva nel lettino, con le labbra blu, la faccia bianca come la neve, gli occhi neri. Aveva fame, ma non sapeva ancora mangiare da sola. La mocciosa era una palla al piede, proprio come sua madre.

Scese le scale e aprì la porta d'ingresso. Scrutò nella notte. Nell'oscurità, ce n'erano altri. I loro corpi erano lunghi e asciutti; aggraziati. Brillavano alla luce della luna. Fiutavano di casa in casa, in cerca dei brandelli che restavano. Sempre pensando a Meg Wintrob, Graham si inoltrò nella notte, dapprima correndo eretto, poi a quattro zampe.

 

32.

Più che altro, era triste

 

Ronnie si era risvegliato dal suo pisolino. Era domenica sera, e lui e Noreen erano seduti sul divano. Nessuno dei due tossiva più. Lui stava bene, in un certo senso. Non si sentiva tanto forte dai tempi del liceo, quand'era l'interbase con il tiro migliore della scuola. Ma si sentiva anche incattivito. Qualcosa dentro di lui smaniava. Tutta colpa di Noreen. Era stata lei a fargli questo, la zoccola. Voleva azzannarla alla gola, almeno un po'.

Da chez Ronnie et Noreen, paradiso della beatitudine domestica, era il solito trantran. A lui toccava sorbirsi una replica di
Una mamma per amica
perché Noreen si era impossessata del telecomando. Nel frigorifero non c'era niente. O comunque niente che gli andasse di mangiare. La carne era finita, così in quel momento lui e Noreen condividevano un topo, passandoselo avanti e indietro. Il sangue gli aveva imbrattato tutto il mento.

Gli veniva il vomito a guardare il topo. Gli faceva schifo, ma continuava a mangiare.

Ormai aveva sempre fame. Il numero di pasti non faceva nessuna differenza. E quando faceva giorno gli veniva sonno. La sua scorta di hascisc era finita, e quella era l'unica cosa alla quale tenesse in tutta la sua vita di merda. Peggio ancora, i suoi pusher erano morti, e questo significava che non ne avrebbe trovata altra.

Il cambiamento era avvenuto poco prima dell'alba di quella mattina. Gli occhi gli erano diventati neri. Ricordava di essersi spaventato, e di avere pregato per qualcosa, ma non ricordava cosa. Qualcosa a che fare con la pace. Poi non ricordava più niente, salvo di essersi risvegliato quella sera davanti alla televisione accanto a Noreen, a guardare
Una mamma per amica.

Noreen rideva. La mamma in tv stava dicendo alla figlia qualcosa di brillante e arguto. «Siete due racchie» disse Ronnie allo schermo tv, e questo non era da lui. Prima di ammalarsi non avrebbe mai detto una cattiveria del genere.

Noreen gli sputò in faccia. La saliva gli atterrò sul labbro e scivolò giù lentamente. Lui non ci stette nemmeno a pensare: reagì e basta. Le strinse le mani alla gola. Dapprima lei cercò di divincolarsi. Si dibatté contro il divano sfoderabile antimacchia, ma poi la faccia le passò da pallida a cianotica. Tutto il corpo era agitato dalle convulsioni, come se stesse morendo, e lui capì che la odiava. Odiava quello che erano diventati. Ma aveva una fame fottuta.

Lasciò la presa. Non appena lei riprese fiato, cercò di colpirlo. Con la manina grassoccia e infantile chiusa in un pugno. Lui le afferrò il braccio e strinse finché non si spezzò. Ma quello non era un problema. Lei guariva quasi all'istante. Non poteva farle niente salvo che ucciderla, per quanto ci si sforzasse.

«Ho fame. Non mi va il topo» disse.

Lei annuì. «Andiamo al Dew Drop Inn.»

Uscirono dall'appartamento. Lui si diresse alla macchina, ma lei non lo seguì. «Non serve» disse, ed era vero. Lui camminava a quattro zampe. Teneva il corpo incurvato verso terra, ed era piacevole. Da quella posizione era più facile afferrare quello che strisciava sul terreno. Ragni, sopratutto. Preferiva gli insetti al tipo di cose che solleticavano Noreen.

Seguì il corpo pallido di lei lungo la strada, rapido come un cervo. L'aria sapeva di buono. I suoi occhi vedevano meglio al buio. Dalla sommità della collina riusciva a vedere fino all'autostrada ingolfata di macchine. Erano tutte ferme. Parcheggiate ai bordi della strada, o rimaste senza benzina. I conducenti erano stati ammazzati sul posto durante la notte. Sentiva l'odore dei corpi. Gli infetti si erano impigriti, avanzavano un mucchio di cartilagini.

Si chiese, brevemente, se la sua anima fosse dannata.

Raggiunsero il Dew Drop Inn. Le porte erano state sbarrate con assi di legno, ma Ronnie vedeva attraverso le fessure. Scardinò i chiodi con le unghie. Le assi si staccarono, insieme a un po' di pelle. Ma ancora prima di cominciare a sanguinare, le ferite si stavano già rimarginando. Aprì la porta. TJ Wainright era seduto da solo al bancone del bar. Emanava un aroma di maialino da latte, ed era anche fatto marcio. Quando Ronnie gli vide gli occhi arrossati dall'hascisc, ebbe un gemito. Cosa avrebbe dato per una boccata. Fece per caricare, ma TJ sollevò un fucile dal bancone e glielo puntò in mezzo agli occhi.

Noreen gli appoggiò una mano sullo stomaco per trattenerlo.

«TJ, lasciaci entrare, no?» La sua voce riecheggiò, e Ronnie poté sentirla non solo nelle orecchie, ma anche nella mente.

TJ alzò lo sguardo, ma adesso i suoi occhi erano diversi. Noreen aveva fatto breccia. Per un paio di secondi guardò il fucile, come se sapesse che stava per fare una cosa stupida ma non riuscisse a impedirselo. Poi lo appoggiò di nuovo sul bancone. «Bravo, TJ, dai retta a Noreen» disse lei. A Ronnie venivano le vertigini ascoltandola parlare. In lei il virus era più forte, si rese conto d'un tratto, e non era affatto una buona notizia. Noreen lo guardò e sorrise, come se l'avesse capito anche lei.

«Beviamo qualcosa tutti insieme. Peccato per il tuo ragazzo, TJ. Ma non potevi fare altrimenti. Noi ti capiamo» disse, e TJ annuì: «Altrimenti mi avrebbe ucciso».

Noreen gli si scagliò contro. Ronnie fiutava la paura di TJ. Erano cresciuti insieme, erano stati compagni nella stessa squadra di baseball. TJ non lottò, non gridò nemmeno. Noreen si scostò un poco, per lasciare un boccone anche a Ronnie. Lui chiuse gli occhi come se si trattasse ancora di ragni, o di un topo, e iniziò il pasto. Quando ebbero finito, fu come se TJ Wainright non fosse mai esistito. Non ne restava che lo scalpo, e un mucchietto di ossa.

Presto anche Ronnie sarebbe diventato come Noreen. Avrebbe perso le unghie, la sua pelle si sarebbe indurita. Non sarebbe più stato Ronnie Kohler. Forse non lo era già più. Ci rifletté per un momento, e ancora una volta si augurò di essere morto. Ma aveva ancora fame, cazzo.

Fu allora che lei entrò nel bar. La fessura tra i denti era sparita, come anche i suoi capelli. Lui ricordò il regalo che aveva trovato sullo zerbino. Lo aveva lasciato là, perché temeva che se l'avesse portato in casa lei sarebbe venuta a riprenderselo.

Le vedeva le vene blu sotto la pelle. Era diventata più alta, anche se non camminava più eretta. Svettava sopra tutti gli altri. Il virus in lei esprimeva il massimo della forza, e da un certo punto di vista la cosa era buffa, ma più che altro mettere tristezza. Non voleva vederla così. Le voleva bene, si rese conto. Le voleva bene davvero. E anche quello era triste.

Alle spalle di Lois ce n'erano altri. Almeno un centinaio. Forse un migliaio.

«Lois» disse Noreen come se fossero ancora migliori amiche. Camminando carponi si avvicinò e le baciò le mani.

Lois
,
pensò Ronnie senza aprire bocca,
mi dispiace tanto.
Si girò a guardare la folla, sperando di trovarvi un volto amico, ma erano irriconoscibili. Avevano qualcosa di malvagio dentro che li aveva cambiati anche nell'aspetto. La cosa era anche dentro di lui, e gli venne da piangere.

Lois gli si fece più vicina. Lui le baciò il moncherino dove un tempo aveva portato il suo anello.

Lois arretrò e spalancò le braccia. Gli altri si fecero immobili, in ascolto. «Siamo in troppi. Gli animali sono morti. Le persone sono morte. Non avremo abbastanza da mangiare. Questi due hanno mangiato senza criterio, e dobbiamo farne un esempio per tutti.»

Accadde molto rapidamente. Lui e Noreen si tenevano per mano. Lui tentò di fuggire, ma Noreen non lo lasciava andare. Il cerchio degli infetti si strinse. Lui desiderò che Lois lo avesse ucciso prima di adesso. Prima che lui diventasse questa cosa, perché la sua morte fosse l'assassinio di un uomo. Ora gli infetti erano così tanti che l'impiantito del bar gemette, e al momento dell'attacco si spalancò sotto il loro peso.

Ronnie e Noreen precipitarono in cantina. Dall'alto, un cielo di volti pallidi li scrutava. Uno alla volta balzarono giù e cominciarono a mangiare. Lui sentì la vita che gli sfuggiva, e desiderò che lei lo avesse ucciso prima, quando ancora aveva un'anima da liberare dal corpo. Ma almeno, quando esalò l'ultimo respiro, Noreen gli lasciò andare la mano.

 

33.

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