Authors: Sarah Langan
Un nodo lo strinse alla gola, e lui temette di scoppiare di nuovo in lacrime. L'aveva incontrata per la prima volta mille anni prima, una ragazza spensierata con un lavoro part-time in un pub di Boylston Street, studentessa di legge al primo anno all'Università di Boston. L'aveva invitata fuori perché era carina, e in quel periodo lui era fissato con le brunette. A sorpresa, se ne era innamorato. Sei mesi dopo, invece che partire per un corso di specializzazione in Germania, era uscito in anticipo da una lezione e si era messo in ginocchio per chiedere di sposarlo.
«Che cos'hai?» domandò lei, e lui sentì cedere qualcosa dentro. I suoi occhi avrebbero ricominciato a perdere, le avrebbero sgocciolato su quelle mani tanto delicate. Le lacrime gli montavano dentro come un'onda pronta a rompere gli argini. Avrebbe dovuto raccontarle tutto. Di Lois, di Sara, del contagio che forse lo aveva infettato, di come l'aveva spiata nella stanza 69. Perché era rimasto a guardare una cosa simile dalla finestra di un motel senza mai dirle niente? Perché si era torturato in quel modo? Era giunto il momento di vuotare il sacco. Parlarne sarebbe stato un sollievo. Lei avrebbe finalmente capito che lui aveva qualcosa di storto. Forse da sempre.
«Che cos'hai?» domandò lei.
«Niente» rispose. Aveva la voce rauca. Scese dall'auto. Lei lo raggiunse davanti al cofano. Lui le circondò la vita con un braccio, e insieme entrarono in casa.
20.
Un prurito nelle ossa
Meg si grattava la gamba con il filo di ferro ricavato da un appendiabiti mentre Fenstad affettava una bistecca. Aveva gli occhi arrossati come se avesse pianto, ma lei sapeva che era impossibile; a quanto ne sapeva, Fenstad Wintrob era stato privato alla nascita dei condotti lacrimali.
Stava cercando di denunciare Graham Nero alla polizia quando Fenstad le aveva telefonato per dirle di andare a prendere Maddie a scuola. Dapprima aveva pensato che esagerasse. Dopotutto, quante volte capita nella vita di una donna di ricevere una chiamata urgente dal marito perché recuperi i bambini, si chiuda in casa, e compri un depuratore d'aria? Era ridicolo. Comunque, lei aveva eseguito. E poi, quando lei e Maddie avevano acceso il telegiornale, si era scoperto che lui aveva ragione. Come sempre. Meg aveva lanciato uno sguardo a Maddie, seduta accanto a lei sotto un plaid, piedi contro piedi, e aveva provato gratitudine. Fenstad era un uomo prezioso nelle situazioni difficili.
Di Corpus Christi non parlava solo il notiziario regionale. La notizia della malattia che aveva colpito metà della popolazione di una ricca cittadina del Maine era arrivata persino alle grandi reti. Fino a quel momento si contavano dieci morti, dozzine di scomparsi, e nessuna guarigione. Le era venuto un brivido quando Katie Couric aveva annunciato che il governo consigliava ai cittadini del Maine di restarsene in casa. L'Ente di protezione ambientale escludeva una contaminazione chimica, e sebbene non avessero isolato l'agente di infezione, al Centro controllo delle malattie sospettavano si trattasse di un virus. Alle otto di quella sera la Nbc rese noto che il governatore del Maine aveva dichiarato lo stato di emergenza locale. Per evitare una ulteriore diffusione del contagio, a partire dall'indomani mattina tutti i negozi e gli uffici del Maine sarebbero rimasti chiusi.
Questo spiegava la visita di Graham Nero alla biblioteca. Era malato, delirante, forse in agonia. Una volta riportata Maddie a casa sana e salva, Meg aveva cercato per la terza volta di contattare il dipartimento di polizia, ma l'unica cosa che ne aveva cavato erano stati sessanta minuti di un nastro di Barry Manilow. Almeno l'ultima volta al termine dell'attesa le aveva risposto una centralinista trafelata. Aveva detto a Meg che c'erano troppe chiamate, e poi inavvertitamente, o forse apposta, aveva fatto cadere la comunicazione. A quel punto, anche Meg ci aveva rinunciato. Sentiva tremende fitte alla caviglia, tanto che il collo del dolcevita le si era inzuppato di sudore. Era riuscita a stento a raggiungere il liceo, e poi, non riuscendo a fare altro, aveva mandato Maddie da Target munita di carta di credito e di una lista. A casa aveva mandato giù tre pastiglie di codeina da 200 mg, e ancora adesso si sentiva stordita, ma almeno la gamba non le faceva più male. Probabilmente avrebbe dovuto farsi vedere da un medico, ma a parte suo marito, dubitava ce ne fosse uno disponibile.
Fenstad sorseggiava la sua vodka con acqua tonica mentre lei si grattava la gamba. Non le riusciva di cancellare il ricordo di Graham Nero. Quell'idiota le aveva leccato la faccia. Ripensandoci le venne istintivo asciugarsela con la mano. Poi guardò Fenstad, che fissava la bistecca come una montagna che non sarebbe mai riuscito a scalare, e arrossì. E se Graham le aveva attaccato il virus? Cosa aveva portato a casa alla sua famiglia?
Fenstad prese un minuscolo boccone di carne. Masticò, deglutì, guardò la forchetta, poi si arrese e ingollò mezzo bicchiere di vodka in un sorso solo. Quell'uomo era talmente esausto che non riusciva nemmeno a mangiare.
«Com'era la situazione in ospedale?» domandò lei.
Lui scosse la testa. «Pessima.» Poi prese un altro sorso. Seppelliva lo stress così in profondità che a trent'anni la cistifellea gli si era bloccata e avevano dovuto levargliela con un intervento chirurgico. Ciononostante continuava a pretendere bistecca e vodka tonic tre volte la settimana, come se per un medico le regole di vita sana non valessero. Il signor pesce freddo. Eppure era contenta di averlo accanto a sé. Contenta anche che restasse con lei l'indomani. Si sentiva sicura in quella casa con suo marito a proteggerla. Tutto d'un tratto, dopo Albert e Graham e il virus, le sembrava una cosa importante.
Si grattò di nuovo. La caviglia le dava un tale prurito che se lo sentiva non solo sulla pelle, ma nelle ossa. Con un cenno della testa Fenstad le indicò la gamba. «Te l'ho detto di prendere la codeina.»
Lei sospirò, e appoggiò l'appendiabiti al tavolo. Le aveva detto a stento due parole, solo per assicurarsi che Maddie fosse in casa e che i filtri dell'aria fossero in funzione. Prima di sedersi a tavola si era fatto una doccia d'acqua bollente e disinfettante diluito, casomai fosse stato contagiato in ospedale o a casa di Lois Larkin. «Stai bene?» gli domandò.
Lui non alzò lo sguardo dal piatto. Rispose senza pensarci. «Benissimo, grazie.»
Cosa aveva che non andava? Non la guardava neanche in faccia. Con il passare degli anni, vene blu e verdi le si erano arrampicate sulle gambe come edera, e la sua vita snella si era ingrossata, ma l'attrazione di Fenstad era rimasta immutata. Ancora il mese precedente, quando si era beccato un'intossicazione alimentare, lo aveva sorpreso a guardarle il sedere mentre gli cambiava il catino lasciato accanto al letto. Ma adesso non la guardava. Era distante. Persino ostile. Poi capì. Qualcuno doveva avergli detto di aver visto la Porsche di Graham davanti alla biblioteca, e lui ne aveva tratto la conclusione sbagliata. Aveva pensato di risparmiargli almeno questo (provava vergogna solo all'idea che fosse potuto succedere), ma a quel punto doveva dirglielo.
«È successa una cosa», disse.
Lui sollevò dal piatto uno sguardo cattivo, e per un momento lei provò paura. Aveva un'espressione piena d'odio. Ma durò solo un istante. Di certo se l'era solo immaginata.
«Cos'altro c'è?» domandò lui.
Non sapeva come rispondergli. Guardò il buio fuori dalla finestra. L'uccellino adesso non c'era più. Lo aveva gettato via... Ma tutti gli altri dov'erano? E gli scoiattoli? E... i cervi? «Oggi Graham Nero è venuto in biblioteca» disse.
Fenstad non disse nulla, più o meno quello che si aspettava. Proseguì. «Mi ha fatto una scenata. Sua moglie lo ha lasciato. Diceva cose senza senso. Credo si sia beccato il virus. L'ho mandato via...»
Fenstad si guardava le unghie, e cominciò a pulirsele. Una reazione strana, persino per lui. «Ti ha toccata?» domandò senza alzare gli occhi.
«Te l'ho detto. L'ho mandato via. Non è successo niente.»
Lui inspirò dal naso così profondamente che gli vibrarono le narici. Meg pensò che cercasse di fiutarle addosso l'odore di Graham Nero. «Ti ha toccata?»
Lei chiuse gli occhi. «Sì... Mi ha immobilizzata, e mi ha leccata. Ho cercato di impedirglielo...»
Fenstad balzò in piedi così in fretta che fece cadere la sedia. Piombò sul pavimento, e lui dovette urlare per farsi sentire nonostante il baccano. «Stai alla larga da Maddie. Potresti essere infetta» disse. Poi fece per uscire dalla cucina.
«Dove vai?» gli urlò Meg.
«Da Target. Compro un chiavistello per la porta, e dell'acqua. Casomai non l'avessi notato, siamo nel bel mezzo di un'epidemia. Potrebbe essere necessario barricarsi in casa per un po'».
«Fenstad, ma è una follia. Ci sono più di venti chilometri da qui a Target, e tu non sai nemmeno aggiustare una serratura.»
Lui si voltò, e lei si rese conto che l'espressione di prima non se l'era immaginata: perché lui la portava stampata in faccia, solo che stavolta digrignava anche i denti. Lei lo disse senza esitazione né secondi fini. Lo disse perché era vero. «Lo sai che ti amo.»
Lui la guardò per un secondo, e poi per due, e poi tre. La smorfia gli si addolcì. «Certo» sussurrò. «Lo so... credo. Però il chiavistello sarebbe meglio comprarlo. Ne avremo bisogno se impongono la quarantena, la polizia locale non basterà per pattugliare le strade. Potremmo andarcene, ma se siamo infetti diffonderemmo il contagio. E questo non voglio farlo. Comunque, meno contatti abbiamo con l'esterno, meglio è.» Si voltò dirigendosi alla porta.
Lei lo sentì inciampare nella stanza accanto e bofonchiare: «Merda!». Lo seguì in corridoio zoppicando. Una nuova fitta e l'annebbiamento da codeina la costrinsero a stringere i denti. Lo trovò fermo di spalle sulla soglia di casa. Teneva in mano l'involucro vuoto di un grosso animale morto. La pelliccia era umida di sangue. Del corpo non restavano che pelle e ossa. Mancavano persino gli occhi.
«Cos'è quella roba?» domandò lei.
La voce di Fenstad fu appena un sussurro. «Sei stata tu?»
Meg non capì che si rivolgeva a lei fino a quando lui non si girò a guardarla con rancore. «Come hai potuto?»
Rimase così scioccata che riuscì solo a scuotere la testa:
Non sono stata io.
Lui lasciò cadere sul gradino quell'ammasso di cartilagini. «È Kaufmann, il pastore tedesco dei Fowlers. Non riuscivo più a ricordare il nome, ma è lui, è il cane dei Fowlers... Come potevi sapere del mio sogno?» domandò.
La voce gli tremava, piena di collera e di emozioni. Non somigliava neanche all'uomo che conosceva. Scavalcò la carcassa e si diresse verso l'auto. Quanto a lei, il cane non lo guardò nemmeno, perché avrebbe potuto giurare che, mentre saliva sulla Escalade, Fenstad Wintrob stava piangendo.
21.
Romeo e Giulietta
La brace della Malboro Light di Maddie brillava. Lei fumava appoggiata al davanzale della finestra aperta. Era sabato sera tardi, e ormai era tappata in casa da trenta ore consecutive. Come se il castigo non bastasse, a partire da quella sera tutta la stramaledetta città era stata messa in quarantena. Il telefono di Enrique era di nuovo irraggiungibile (a volte lo usava suo fratello, e poi dimenticava di caricarlo), così non aveva potuto chiamarlo da quando lui se n'era andato offeso da casa sua. Dopo la vacanza a Gettysburg non era più successo che passassero tanto tempo senza comunicare. La giornata precedente l'aveva passata ad aiutare suo padre che con il trapano aveva bucato la porta d'ingresso e quelle di servizio per fissare i chiavistelli, mentre il capitano Ahab li osservava a braccia conserte. «Se vogliono entrare, ci riusciranno comunque» lo aveva rimproverato sua mamma, e suo padre aveva risposto: «Non se fai quello che ti dico», frase che lei aveva intuito sottintendere qualcosa che aveva a che fare con Albert. Tra loro era tornato tutto normale, cioè si odiavano di nuovo.
Il virus aveva colpito altre persone, e al radiogiornale quella sera avevano detto che si era diffuso anche fuori dal Maine, nel New Hampshire e nel Massachusetts. Verso sud casi isolati si erano manifestati fino a Hartford, nel Connecticut.
Gli enti governativi arrivati a Corpus Christi all'inizio della settimana avevano terminato la raccolta di campioni ed erano tornati a Washington. Il Centro Epidemiologico aveva dichiarato che l'infezione era virale, e dovuta all'incremento di zolfo nei boschi di Bedford dopo l'incendio. Lo zolfo aveva alimentato un nuovo tipo di batteri, i quali a loro volta avevano alimentato un nuovo virus che colpiva il cervello umano. In un comunicato del governatore, diffuso dai canali locali, si raccomandava la calma e si informava la popolazione che entro la settimana sarebbe stato approntato un nuovo vaccino. Nel frattempo, tutti i residenti delle contee di Waldo, Kennebec, Knox, Lincoln, Androscoggin e Sagadahoc dovevano restare in casa. Si riteneva che i veicoli del virus fossero sangue e saliva, e che il rischio di mortalità riguardasse solo le persone già malate o con un sistema immunitario compromesso. Questa la versione ufficiale. In un documento confidenziale del Centro di controllo malattie, diffuso dal sito web Smoking Gun, si stimava la mortalità al trenta per cento, non si parlava di nessun vaccino, e si specificava che nessun paziente si era rimesso dall'infezione.
Venerdì sera la polizia di Stato aveva portato i malati negli ospedali più a sud, una decisione che a lei pareva piuttosto stupida se stavano davvero cercando di contenere il contagio; ma cosa ci vuoi fare. Avevano aspettato fino a quel pomeriggio per chiudere la I-95 alla circolazione e imporre la quarantena. Entro sera si aspettavano i rinforzi dell'esercito, ma a quanto aveva sentito, ancora non si erano visti. Per il momento, Corpus Christi doveva cavarsela da sola.