“Ma come fanno a proibire i mendicanti, a vietargli di chiedere l'elemosina?” chiese Tyrer perplesso.
“Ovviamente mademoiselle Angélique ha ragione. Tutta l'Europa brulica di mendicanti. Londra, che è la città più ricca del mondo, ne è invasa.” Canterbury sorrise in modo strano.
“Non ci sono mendicanti perchè l'onnipotente padrone, lo shògun, re di ogni cosa, dice che non ci devono essere. La sua parola è legge. I samurai sono autorizzati ad affilare le loro lame su qualsiasi mendicante in qualsiasi momento... e su tutti i poveri diavoli... pardon... in verità su chiunque non sia a sua volta samurai. Se qualcuno viene sorpreso a mendicare e quindi a infrangere la legge, si prende subito un pò di botte e poi finisce in prigione, e una volta in prigione l'unica via d'uscita è la morte. Anche questa è la legge.
“Esiste solo la pena capitale?”
La ragazza era sbalordita.
“Temo di sì. Perciò i giapponesi sono inclini a rispettare le leggi.”
Ancora una volta Canterbury rise sardonico girandosi a guardare la strada tortuosa che si arrestava bruscamente a mezzo miglio di distanza a causa di un ampio corso d'acqua che doveva essere guadato a piedi o sulle spalle di un servo.
Sulla riva più lontana c'era la barriera. Guadato il corso d'acqua, si erano inchinati e avevano mostrato i loro lasciapassare alle onnipresenti guardie samurai.
Dannati bastardi, pensò con odio il mercante.
Tuttavia apprezzava non poco la ricchezza che stava accumulando con i suoi commerci e la bella Akiko, da un anno sua amante fissa.
Ah si, bella mia, sei la migliore, la più speciale, la più dolce di tutta Yoshiwara.
“Guardate.”
Sulla Tokaidò gruppi di passanti si erano fermati per indicare a bocca aperta gli stranieri, e le loro, voci si levavano sul brusio inarrestabile del traffico.
Sul volto di molti erano dipinti l'odio e la paura.
“Non badi a quella gente, signorina, per loro siamo soltanto strani, tutto qui, sono ignoranti. Probabilmente siete la prima donna civilizzata che abbiano mai visto in vita loro.”
Canterbury aveva indicato un punto a nord.
“Edo è in quella direzione, a circa venti miglia. Naturalmente per noi è territorio vietato.”
“Eccetto che per le delegazioni ufficiali” era stata la precisazione di Tyrer.
“Esatto, con un permesso che sir William, non ha mai ottenuto da quando io sono qui, e sono stato uno dei primi ad arrivare. Dicono che Edo sia grande due volte Londra, signorina, e che sia abitata da più di un milione di persone, tutte ricche come nababbi, e che il castello dello shògun sia il più grande del mondo.”
“Ma non potrebbero essere tutte menzogne, signor Canterbury?”
Era stato ancora una volta Tyrer a parlare.
Il mercante s'illuminò.
“Sono degli straordinari bugiardi, questa è la verità signor Tyrer, il popolo più bugiardo che sia mai esistito, riescono a far sembrare i cinesi puri come l'arcangelo Gabriele. Non invidio il vostro incarico di interprete perchè è chiaro come il sole che quello che dicono non corrisponde mai a quello che pensano!”
Solitamente Canterbury non era così loquace, ma quel giorno era determinato a non perdere l'occasione di far colpo su Angélique e Struan con la sua erudizione.
Tutte quelle chiacchiere però gli avevano procurato una grande sete.
“Non potremmo ottenere un permesso per andare, Malcolm?” stava dicendo Angélique, “a vedere questa Edo?”
“Ne dubito. Perché non lo chiediamo a monsieur Seratar?”
“Lo farò.”
Non le era sfuggito il fatto che Malcolm avesse pronunciato il nome correttamente lasciando cadere la 'd' come lei gli aveva insegnato.
Bene, si disse, gli occhi di nuovo fissi sulla Tokaidò.
“Dove finisce, la strada?”
Fu Canterbury a rispondere dopo una strana pausa:
“Non lo sappiamo. Tutto il paese è un mistero, ed è chiaro che i giapponesi vogliono che resti tale, ed è chiaro anche che noi non gli piacciamo, che nessuno di noi piace a questa gente. Ci chiamano gai-jin, che vuol dire stranieri, oppure i-jin, “diversi”, non ho capito bene quale sia la differenza, però so che gai-jin non è gentile”.
E con una risata aggiunse: “Comunque non gli piacciamo. E in effetti siamo diversi... o sono diversi loro”.
Accese un sigaro. “Dopotutto hanno tenuto il Giappone chiuso più strettamente del c... di un passero per due secoli e mezzo, fino a quando, nove anni fa, quella vecchia costoletta di montone di Perry l'ha fatto aprire per forza.
Il suo tono era ammirato. “Si dice che la Tokaidò finisca in una grande città, una specie di città sacra chiamata Keeotoh, dove vive il loro sommo sacerdote che chiamano Mikado.
E' una città così speciale e così sacra che nessuno vi può entrare eccetto pochi giapponesi speciali, dicono.”
“I diplomatici possono viaggiare nell'interno” ribatté Tyrer con durezza.
“Il trattato lo consente, signor Canterbury.”
Il mercante si era tolto il cilindro di castoro di cui andava inspiegabilmente fiero, e dopo essersi asciugato un sopracciglio aveva deciso che non avrebbe consentito a quel giovanotto di rovinare il suo buonumore.
Sfacciato giovane bastardo con quella tua vocetta altezzosa, potrei spezzarti in due senza nemmeno scoreggiare.
“Dipende da come si interpreta il trattato, e se volete tenervi la testa attaccata al collo, io non vi consiglierei di uscire dalla zona franca che è stata pattuita, cioè poche miglia a nord e a sud verso l'interno, indipendentemente da quello che dice il trattato... o comunque non vi consiglierei di farlo senza un paio di reggimenti.”
Malgrado la sua volontà non riusciva a distogliere gli occhi dal seno procace della ragazza sotto la giacca verde e aderente.
“Siamo inchiodati qui. Ma non è troppo male. Lo stesso vale per il nostro Insediamento a Nagasaki, duecento leghe a ovest.”
“Leghe? Non capisco.”
Angélique cercava di nascondere il divertimento e il piacere che le procurava tutta quella eccitazione.
“Cosa significa?”
Dandosi importanza Tyrer spiegò: “Una lega equivale circa a tre miglia, mademoiselle”.
Tyrer era un giovanotto alto e snello da poco lontano dall'università ed era completamente stregato dagli occhi azzurri e dall'eleganza parigina della ragazza.
“Cosa... ehm... cosa stavate dicendo, signor Canterbury?”
Il mercante non riusciva a distogliere l'attenzione dal seno di Angélique.
“Soltanto che non andrà molto meglio quando verranno aperti gli altri porti. Presto, anzi prestissimo, dovremo sfondare anche quelli se vogliamo concludere dei veri affari, in un modo o nell'altro.”
Tyrer l'aveva guardato con severità.
“State parlando di guerra?”
“Perché no? A cosa servono altrimenti le flotte? E gli eserciti? In India funzionano benissimo, anche in Cina, ovunque. Noi siamo l'Impero britannico, il più grande e il più potente mai esistito sulla terra. Siamo qui per commerciare e intanto possiamo dare a questa gente giuste leggi e ordine e una giusta civiltà.”
Canterbury era irritato dall'Animosità che indovinava nei viaggiatori lungo la strada.
“Brutta gente, non è vero, signorina?”
“Mon Dieu, vorrei che non ci fissassero così.
“Ho paura che vi ci dovrete abituare. E così dappertutto. Come dice il signor Struan, Hong Kong è la peggiore. Ma ciononostante, signor Struan” riprese con un improvviso torto di stima, “non mi preoccupa dirvi che ciò di cui abbiamo bisogno qui è un'isola nostra, una nostra colonia, non un marcio e maleodorante miglio di putrida costa indifendibile, che sarebbe esposta ad attacchi e rappresaglie in qualsiasi momento, se non avessimo una flotta! Dovremmo prenderci un'isola proprio come vostro nonno prese Hong Kong, che Dio lo benedica!”
“Forse l'avremo” rispose Malcolm Struan in tono sicuro, intenerito dal ricordo del suo celebre antenato, il tai-pan Dirk Struan, fondatore della compagnia e padre fondatore della colonia circa vent'anni prima, nel'41.
Sovrappensiero, Canterbury estrasse la fiaschetta dalla tasca, ne trangugiò un buon sorso e prima di riporla si ripulì la bocca col dorso della mano.
“Andiamo avanti. E' meglio che guidi io, in fila indiana se necessario, e lasciamo perdere i giapponesi!
Signor Struan, forse voi volete procedere accanto alla giovane signora e voi, signor Tyrer, voi potreste chiudere la fila.”
Soddisfatto di sé, riparti imponendo al suo pony un trotto vivace.
Mentre Angélique si avvicinava, gli occhi di Struan si erano stretti in un sorriso.
Se ne era apertamente innamorato fin dal primo momento in cui l'aveva vista, a Hong Kong, quattro mesi prima, proprio il giorno in cui con la sua bellezza era arrivata a travolgere l'isola come un ciclone.
Capelli chiari, carnagione perfetta, profondi occhi azzurri e nasino all'insù in un volto ovale che non era semplicemente grazioso ma aveva una bellezza strana, da mozzare il fiato.
Molto parigina.
La sua innocenza e la sua giovinezza erano intrise di una sensualità impercettibile e intensa, anche se inconsapevole, che implorava d'essere placata.
E tutto ciò in un mondo popolato di uomini soli privi d'ogni concreta speranza di trovare in Asia una moglie adatta, e comunque, anche nella migliore delle ipotesi, certamente non dotata di una bellezza pari a quella di Angélique.
Molti di quegli uomini erano ricchi, in alcuni casi erano veri e propri principi del commercio.
“Non fare attenzione agli indigeni, Angélique” sussurrò, “li metti in soggezione.”
La ragazza sorrise chinando il capo come una regina.
“Merci monsieur, vous étes très aimable. “
Oltre a essere molto contento, Struan, a quel punto si sentiva anche molto sicuro di sé.
Il destino, Joss, Dio, ci ha fatto incontrare.
L'inebriava immaginare il momento in cui avrebbe chiesto al padre di lei di concedergli la sua mano.
Perché non a Natale?
Natale sarà il momento perfetto.
Ci sposeremo in primavera e vivremo nella Grande Casa sul Picco di Hong Kong.
Sono sicuro che mamma e papà la adorano già.
Mio Dio, spero davvero che papà stia meglio. Sì, daremo un grande ricevimento per Natale.
Badando a non interferire con il traffico locale, procedettero speditamente.
Ma anche se cercavano di passare inosservati la loro inattesa presenza creava inevitabili ingorghi di traffico, perchè la maggior parte degli increduli giapponesi non aveva mai visto gente di quelle dimensioni e forma e colori, soprattutto la ragazza, né aveva idea di cosa fossero quei cilindri e quelle finanziere, i pantaloni a tubo e gli stivali da cavallerizzi, e gli stivaletti di Angélique e il suo abito da amazzone con il cilindro ornato da una piuma impertinente, e il modo in cui cavalcava.
Canterbury e Struan guardavano con attenzione avanti mentre nuovi arrivati li sorpassavano, li circondavano, pur lasciando sempre un pò di spazio perchè potessero avanzare.
Nessuno di loro avvertiva o sospettava alcun pericolo.
Angélique procedeva in mezzo al gruppo e fingeva di ignorare le risate e le occhiate e la mano che occasionalmente cercava di toccarla, esterrefatta dal modo in cui molti giapponesi portavano con disinvoltura il kimono arrotolato fino a esporre il perizoma e molte parti del corpo:
“mia carissima Colette, non ci crederai mai”
pensò continuando la lettera che avrebbe finito di scrivere quella sera alla sua migliore amica di Parigi,
“ma nella stragrande maggioranza le legioni di facchini sulla pubblica strada indossano soltanto minuscoli perizoma che non nascondono quasi niente davanti e diventano un cordoncino tra le natiche! Ti giuro che è vero e ti posso anche dire che molti degli indigeni sono piuttosto pelosi anche se quasi tutti hanno delle parti intime piccole. Mi chiedo se Malcolm....”.
Si sentì arrossire.
“Ma la capitale, Phillip” chiese per fare conversazione, “è davvero proibita?”
“Secondo il trattato no.”
Tyrer era enormemente compiaciuto.
Dopo pochi minuti lei aveva già dimenticato il monsieur per passare al suo nome di battesimo.
“Secondo gli accordi del trattato tutte le legazioni avrebbero dovuto trovarsi a Edo, la capitale. Mi hanno raccontato però che Edo è stata evacuata l'anno scorso perchè abbiamo subito un attacco. E più sicuro restare a Yokohama, al riparo dei cannoni della flotta.”
“Attacco? Quale attacco?”
“Oh, alcuni pazzi chiamati ronin, sono delle specie di fuorilegge, degli assassini, una dozzina di loro hanno attaccato la legazione nel cuore della notte. La Legazione britannica! Potete immaginare il malanimo.
Quei demoni uccisero un sergente e una sentinella...”.
Tacque quando Canterbury fermò il suo pony per indicare qualcosa con il frustino.
“Guardate là!” Si fermarono tutti e tre accanto a lui.
Adesso riuscivano a vedere gli stendardi alti e sottili sorretti da file di samurai che marciavano lungo una curva a poche centinaia di metri dal punto in cui si trovavano.
I viaggiatori si affrettavano in ogni direzione, gettando fascine e mercanzie e appoggiando in gran fretta i palanchini al suolo nel tentativo di allontanarsi il più possibile dalla traiettoria dei samurai.
I pochi cavalieri smontarono in fretta dalle loro cavalcature e poi tutti, indistintamente, si inginocchiarono sui due lati della strada chinando il capo fino a terra.
Uomini, donne e bambini assunsero un'immobilità perfetta.
Solo i pochi samurai presenti rimasero in piedi e mentre il corteo passava si prostrarono con deferenza.
“Di chi si tratta, Phillip?” aveva chiesto Angélique elettrizzata.
“Potete leggere i loro ideogrammi?”
“No, mi dispiace, non ancora, mademoiselle. Dicono che ci vogliano anni per leggere e scrivere nella loro lingua.”
La felicità di Tyrer era svanita al pensiero di tutto il lavoro che l'aspettava.
“Potrebbe trattarsi dello shògun?” Canterbury rise.
“E' escluso. Se si trattasse di lui tutta la zona sarebbe isolata. Dicono che abbia perlomeno centomila samurai al suo servizio.
Comunque dev'essere qualcuno di importante, un re.”
“Che cosa dobbiamo fare quando passano?”
“Li saluteremo come si salutano i reali” aveva risposto Struan.