Moll Flanders (Collins Classics) (15 page)

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Authors: Daniel Defoe

Tags: #Fiction, #Classics

BOOK: Moll Flanders (Collins Classics)
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Quando si fu un po’ ripreso, io gli dissi: “Questa storia, come puoi immaginare, richiede una lunga spiegazione, e, di conseguenza, abbi pazienza e disponi l’animo tuo ad ascoltare, e io te la farò più breve che posso.” E con ciò gli narrai dei fatti quanto occorreva, e in particolare in che modo mia madre mi aveva svelato la verità, come s’è visto. “E adesso, mio caro,” dico, “tu comprenderai il motivo degli impegni che ti ho chiesto, e potrai renderti conto che non sono stata causa dell’accaduto, né era possibile, poiché non potevo saperne nulla prima d’ora.”

“Questo mi convince pienamente,” dice lui, “ma è una sorpresa spaventosa per me. Comunque, so io come porre rimedio a tutto, conosco il rimedio che metterà fine a tutte le tue difficoltà, senza bisogno che tu vada in Inghilterra.”

“Sarebbe strano,” dico io, “come tutto il resto.”

“No, no,” dice lui, “aggiusterò tutto io: in tutta questa storia ci sono solo io di troppo.”

Aveva l’aria piuttosto sconvolta mentre lo diceva, ma io non mi emozionai troppo quella volta, perché ero convinta che quella cosa, come si suol dire, chi la fa non ne parla e chi ne parla non la fa.

Ma non s’era ancora arrivati al peggio con lui, io l’osservai diventare sempre più pensieroso e malinconico; in poche parole, mi accorsi che era un po’ uscito di cervello. Mi sforzai, parlandogli, di farlo tornare in sé, di fargli esaminare una specie di progetto per sistemare la nostra faccenda; e lui qualche volta stava bene, e ne parlava con coraggio; ma il peso gli opprimeva troppo la mente e, a farla breve, si giunse al punto che commise due tentativi di suicidio, e una delle due volte quasi si strangolava, e se al momento giusto non entrava nella stanza la madre era bell’e morto; ma lei tagliò la corda con l’aiuto di una cameriera negra e lo salvò.

Le cose in famiglia erano giunte ormai a un punto dolorosissimo. La mia pietà per lui incominciava a far rinascere quell’affetto che un tempo avevo realmente nutrito per lui, e mi sforzavo sinceramente, con ogni modo possibile di portarmi, di riparare la rottura; ma, a farla breve, era ormai troppo cresciuta la bestia che gli divorava il cuore, e lui si ammalò di un male lungo e lento, che non fu però mortale. In quell’angoscia io non sapevo che fare, perché pareva che la vita di lui fosse al declino, e io avrei magari potuto sposarmi di nuovo là, con grande convenienza. Certo, sarebbe stato il mio affare fermarmi in quel paese, ma l’animo mio era inquieto, troppo, e turbato. Anelavo di partire per l’Inghilterra, null’altro poteva contentarmi.

Alla fine, a forza di tenacissime insistenze, mio marito, che visibilmente peggiorava, e io me ne accorgevo, si dette per vinto; così, trascinata da quello che era il mio destino, ebbi via libera, con la collaborazione di mia madre. Ottenni un ottimo carico di merce per andare in Inghilterra.

Quando mi separai da mio fratello (così infatti devo ora chiamarlo) ci accordammo che dopo il mio arrivo lui avrebbe finto di aver notizia della mia morte in Inghilterra e si sarebbe potuto così riammogliare quando voleva. Lui promise, e s’impegnò a trattarmi da sorella, a darmi assistenza e aiuto finché sarei vissuta; e, se moriva prima di me, a lasciare alla madre abbastanza perché potesse ancora aver cura di me, in qualità di sorella sua; e in certo modo si occupò di me, quand’ebbe notizie mie; ma la cosa andò in un modo così bizzarro che io ebbi a dolermene parecchio in seguito, come a suo tempo sentirete.

Partii per l’Inghilterra nel mese di agosto, dopo essere rimasta in quel paese otto anni. E mi attendeva ora un nuovo scenario di sventure, del quale credo che poche donne abbiano traversato l’uguale.

Facemmo un buon viaggio senza emozioni fin sotto le coste dell’Inghilterra, dove arrivammo in trentadue giorni, ma lì fummo travolti da un paio di uragani, uno dei quali ci spinse sulla costa dell’Irlanda, e entrammo in porto a Kinsale. Vi restammo circa tredici giorni, ci riposammo un po’ a terra e riprendemmo il mare, ma ci imbattemmo ancora nel maltempo, e fu lì che la nave perdette l’albero maestro: così si chiama, io allora non capivo che volesse dire. Ma finalmente arrivammo a Milford Haven, nel Galles, dove, benché fossimo ancora lontani dal nostro porto, io comunque, ora che avevo rimesso piede sana e salva sulla terraferma del mio paese natale, l’isola di Britannia, decisi di non avventurarmi oltre per quel mare che era stato per me così tremendo. Così, portati a terra gli abiti e il denaro, con le bollette di carico e le altre carte, decisi di dirigermi a Londra via terra e lasciare che la nave raggiungesse alla meglio il suo porto: il porto d’arrivo era Bristol, dove stava il principale corrispondente di mio fratello.

In tre settimane arrivai a Londra, dove ebbi sì notizie della nave che era intanto giunta a Bristol, ma disgraziatamente venni anche a sapere che, per la violenza dell’uragano attraversato e per la rottura dell’albero maestro, la nave aveva subito danni gravissimi alle stive, e una gran parte del carico era rovinata.

Avevo ora davanti a me uno scenario nuovo per la mia vita, e come si presentava terribile! Ero partita con una specie di addio definitivo. La roba che avevo portato via con me era per la verità di un certo valore, fosse arrivata in buone condizioni, e mi sarebbe servita per fare un matrimonio passabile; ma, come le cose stavano, ero ridotta a possedere in tutto due o trecento sterline, senza nessuna speranza di altre risorse. Mi trovavo affatto senza amici, anzi senza nemmeno conoscenze, perché non ritenevo assolutamente il caso di riallacciare le conoscenze di un tempo. Quanto alla mia astuta amica che tempo addietro mi aveva indirizzata sulla via della fortuna, era morta, e suo marito anche; lo seppi quando mandai una persona sconosciuta a chiedere informazioni.

Occuparmi del mio carico di merci mi costrinse ben presto a fare un viaggio a Bristol, e durante l’attesa per quell’affare mi presi la distrazione di andare a Bath, perché, visto che vecchia non ero per nulla, restavo più che mai di spirito allegro, secondo il mio solito; e da donna, per così dire, di ventura quale ormai, pur in tanta sventura, mi trovavo ad essere, m’aspettavo d’imbattermi sulla mia strada in qualche cosa che portasse rimedio alla mia situazione, come già altre volte m’era accaduto.

Bath è più che altro un posto di mondanità; costoso, pieno di trappole. Io vi andai, per la verità, con l’idea di prender quel che c’era da prendere, ma devo dire una cosa in mia difesa, e cioè che non avevo cattive intenzioni. Non pensavo di far nulla di men che onesto, e al principio le mie idee non parevano affatto mostrar la piega che lasciai loro prendere in seguito.

Mi fermai lì per tutta la fine di stagione, come si dice, e feci alcune brutte conoscenze, che servirono piuttosto a suggerirmi le follie nelle quali mi precipitai, anziché a mettermene in guardia. Feci la bella vita in buona compagnia, vale a dire in una compagnia allegra ed elegante; ma dovetti con dispiacere accorgermi che quel genere di vita era rovinoso per me, e che, non disponendo io di una rendita regolare, quello di spendere il capitale era il modo certo di dissanguarmi mortalmente. Ciò mi indusse a fare alcune riflessioni negli intervalli fra gli altri miei pensieri. Io le ricacciai però indietro, e continuai a illudermi che potesse capitarmi chissà che cosa a mio vantaggio.

Ma ero nel posto sbagliato. Adesso non ero a Redriff, dove, se mi stabilivo in modo decoroso, qualche bravo capitano di marina poteva venire a parlarmi con intenzioni serie di matrimonio; ero invece a Bath, dove un uomo qualche volta trova un’amante ma quasi mai cerca una moglie; e, di conseguenza, tutte le conoscenze particolari che una donna può attendersi di fare colà tirano fatalmente da quella parte.

Avevo trascorso abbastanza bene l’inizio della stagione. Infatti, benché avessi stretto una certa amicizia con un signore che veniva a Bath per distrarsi, non ero tuttavia entrata con lui in rapporti, per così dire, colpevoli. Avevo resistito ad alcune occasionali proposte galanti ed ero così riuscita a cavarmela piuttosto bene. Non ero corrotta al punto da commettere quella brutta azione soltanto per vizio, e non mi furono fatte proposte così straordinarie da essere per me una tentazione in vista della cosa di cui soprattutto avevo bisogno.

S’arrivò, comunque, in quell’inizio di stagione, a questo, che cioè feci amicizia con una donna in casa della quale alloggiavo e che, pur senza tenere proprio quel che si dice una casa di malaffare, tuttavia non era lei stessa un modello di rettitudine. Io m’ero in ogni occasione comportata sempre così bene da non gettare la minima ombra per nessun motivo sulla mia reputazione, e tutti gli uomini con i quali avevo parlato erano così bene reputati che parlar con loro non dava spunto a nessuna critica; e nessuno di loro pareva pensare che, a propormelo, ci fosse da fare con me qualcosa di poco per bene. C’era un signore, come ho detto, che mi voleva sempre sola con lui per procurarsi quel che chiamava il divertimento della mia compagnia che trovava, come amava dire, simpaticissima; ma fino a quel momento non c’era altro.

Passai a Bath molte ore noiose quando tutta la compagnia se ne fu andata. Infatti, pur andando qualche volta a Bristol per occuparmi della roba e ritirare il denaro, scelsi però come residenza Bath perché, in buoni rapporti com’ero con la donna in casa della quale avevo alloggiato durante l’estate, mi resi conto che abitar lì d’inverno mi costava sempre meno che altrove. Lì, ripeto, trascorsi un inverno tedioso quant’era stato allegro l’autunno, ma, poiché ero entrata in grande intimità con la detta donna, in casa della quale abitavo, non potei fare a meno di metterla a parte di alcuni fra i miei pensieri più assillanti, in particolare delle strettezze in cui mi trovavo e della perdita della mia fortuna per il danno subito in viaggio dalla mia roba. Le dissi anche che avevo in Virginia una madre e un fratello in buona posizione; era vero che avevo scritto a mia madre per raccontarle la mia situazione e la grave perdita subita, che era ormai di cinquecento sterline, e perciò non persi l’occasione di informare la mia amica che mi aspettavo di ricevere aiuti da quella parte, il che era vero. Poiché le navi per York River, in Virginia, in genere andavano e venivano da Bristol in minor tempo che da Londra, e il principale corrispondente di mio fratello era a Bristol, io pensavo che era meglio per me attendere la risposta lì invece di andare a Londra, dove per di più non avevo nessuna conoscenza.

La mia nuova amica si mostrò vivamente, commossa per la mia situazione, e per la verità fu gentile al punto da ridurre la retta del mio vitto a una cifra così bassa, durante l’inverno, da convincermi che in pratica non si faceva dar nulla da me; quanto all’alloggio, d’inverno non pagai assolutamente nulla.

Quando arrivò la primavera, lei continuò a usarmi ogni possibile gentilezza e io restai con lei ancora un po’, finché non fu necessario provvedere altrimenti. Lei aveva alcune persone di riguardo che venivano spesso ad abitare in casa sua, e in particolare il signore che, come ho detto, m’aveva scelto per sua accompagnatrice l’anno prima. Costui arrivò in compagnia di un altro signore e con due servitori, e prese alloggio in quella stessa casa. Io sospettai che a venir lì l’avesse indotto la mia padrona di casa, col fargli sapere che c’ero ancora io da lei. Ma lei disse di no, mi assicurò che non era vero, e altrettanto disse lui.

In poche parole, arrivò quel signore e ricominciò a requisirmi come confidente e come interlocutrice. Era un vero signore, bisogna ammetterlo, e la sua compagnia mi era gradita quanto, ne son certa, a lui era gradita la mia. Lui non manifestava per me altro che uno straordinario rispetto, e aveva un tal concetto della mia virtù da credere, così dichiarava spesso, che se m’avesse fatto proposte d’altro genere io lo avrei respinto con sdegno. Venne presto a sapere che ero vedova, che ero arrivata a Bristol dalla Virginia con una delle ultime navi, e che mi trovavo a Bath in attesa dell’arrivo dalla Virginia del prossimo vascello, dal quale mi aspettavo considerevoli sostanze. Io venni a sapere da lui, e da altri che di lui mi parlarono, che aveva moglie, ma era costei malata di mente e affidata alle cure di parenti suoi, alla qual cosa lui aveva dato il consenso onde evitare ogni critica che gli si potesse rivolgere, com’è frequente in simili casi, per averla curata male; intanto era venuto a Bath per distrarre l’animo dall’angustia di una situazione triste come quella in cui si trovava.

La mia padrona di casa, che per parte sua incoraggiava in ogni occasione il nostro rapporto, mi fece un ritratto molto lusinghiero di lui, dipingendolo come uomo d’onore e di cuore, nonchè molto ricco. E in verità avevo anch’io ottime ragioni per essere dello stesso parere: infatti, benché fossimo alloggiati entrambi al medesimo piano, e lui fosse entrato più volte in camera mia, anche quando io ero a letto, e anch’io fossi entrata nella sua quando era a letto lui, tuttavia non mi dette mai più di qualche bacio, né pretese altro da me finché non fu passato molto tempo, come sentirete.

Molto spesso io facevo notare alla mia padrona di casa il riserbo esagerato di quel signore, e lei usava rispondermi che le cose van sempre così al principio; però mi diceva anche che io avevo il diritto di attendermi da lui una ricompensa per la compagnia che gli facevo, visto che lui mi aveva, per così dire, sequestrata, e mi capitava ben di rado di non essere con lui. Io le dissi che fino a quel momento non avevo dato a lui la minima occasione di pensare che mi aspettavo una ricompensa né che, se me l’avesse offerta, l’avrei accettata. Lei disse che di quello si sarebbe occupata lei, e così fece, riuscendo a manovrare con grande abilità, perché infatti la prima volta che lui e io ci trovammo insieme da soli dopo che gli ebbe parlato lei, lui prese a informarsi un po’ della mia condizione e del modo in cui m’ero mantenuta dal momento in cui avevo messo piede a terra, e delle ragioni per cui non avevo bisogno di denaro. Io feci la mia parte con faccia tosta. Gli dissi che, anche se il mio carico di tabacco aveva subito danni, non era però andato perduto del tutto; il mercante al quale io ero stata indirizzata si era comportato così onestamente con me che io non avevo avuto bisogno di nulla, e speravo, con un tenor di vita non dispendioso, di far durare quel tanto finché non mi sarebbe giunto qualcos’altro, come attendevo col prossimo arrivo di navi; nel frattempo, avevo ridotto le mie spese, e, mentre la stagione passata avevo una cameriera, ora ne facevo a meno; e mentre l’altr’anno avevo, come lui sapeva, una camera da letto e una sala da pranzo al primo piano, ora avevo solo una stanza a due rampe di scale, e via di questo passo. “Ma vivo tranquilla,” dissi, “adesso come prima,” aggiungendo che la sua compagnia era stata un modo di vivere più lietamente di quanto altrimenti mi sarebbe toccato, e di ciò gli ero molto grata; così sgombrai il campo da ogni possibilità per lui di farmi, per il momento, qualsiasi proposta. Tuttavia non passò troppo tempo senza che lui muovesse di nuovo all’attacco, dicendomi che s’era reso conto che io ero ritrosa a confidargli il segreto della mia situazione, la qual cosa gli dispiaceva; mi assicurò che se n’era interessato non per soddisfare una sua curiosità ma al solo scopo di essermi utile, se ve n’era la possibilità; ma poiché io non volevo ammettere di aver bisogno del minimo aiuto, lui poteva volere da me una cosa soltanto, cioè la promessa che, se un giorno o l’altro mi capitava di trovarmi a terra o pressappoco, gliene avrei parlato francamente, e mi sarei giovata di lui con la stessa semplicità con cui lui me lo offriva; aggiungendo che mi sarei resa conto di possedere sempre un amico sincero, anche se forse avevo paura di confidarmi con lui.

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