Ritual (28 page)

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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Ritual
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«Una giungla molto meno pericolosa di quella in cui vive lei,» fu la pronta risposta della giovane.

Rolk si guardava intorno, prendendo nota delle dense macchie d'erba e dei rampicanti che potevano nascondere qualunque cosa. Durante il tragitto aveva tenuto gli occhi incollati a terra nel timore di vedere qualcosa avventarglisi contro o, peggio, scivolargli su un piede. «Non ne sono così sicuro,» replicò. «Tutti i nostri animali hanno due gambe e di solito non è difficile vederli arrivare.»

«Ma in genere arrivano con intenti malvagi,» obiettò Kate. «Mentre qui ogni essere vivente ha come unico scopo quello di sopravvivere. Basta lasciarli in pace, senza molestarli, e loro ricambieranno il favore.»

Rolk stava cercando di decidere dove sedersi o, meglio, di decidere se ne aveva voglia. «È una promessa?» chiese.

Kate gli indirizzò un sorriso birichino. «Potrei sempre sbagliarmi.»

Sedettero vicini, con il cestino tra di loro, e consumarono la colazione preparata dall'hotel:
pollo pibil
aromatizzato con succo d'arancia amara e pasta di
achiote
,
innaffiando il tutto con il caffè che nel thermos si era mantenuto caldo.

Durante il pasto Rolk fu taciturno, ancora concentrato su padre Cordino e gli abitanti di Chetulak.

«Non è soddisfatto di quello che ha scoperto al villaggio, vero?» gli chiese a un certo punto Kate, rompendo il silenzio.

«Perché? Dovrei esserlo?»

«Be', almeno ha eliminato ogni possibile connessione. Tra Chetulak e New York, voglio dire.»

«Che cosa glielo fa pensare?»

«Il prete ha detto che è probabile che gli omicidi siano ripresi, e di recente. L'assassino non poteva essere qui e a New York contemporaneamente.»

Rolk la guardò e i suoi occhi erano duri come lei non li aveva mai visti. «E se il nostro assassino fosse venuto qui settimane fa, prima di colpire a New York? Oppure se avesse qui in Messico un complice che può contattare per telefono o per lettera?» Scosse la testa, gli occhi fissi al suolo. «Sono venuto qui nella speranza di trovare qualche risposta, ma tutto quello che ho ottenuto sono altre domande. Perfino il crollo nervoso di padre Lopato non sembra... non sembra più particolarmente significativo.»

«Perché?»

«Il sacerdote che abbiamo conosciuto oggi. Ha tutta l'aria di uno che starebbe benissimo in una cella con le pareti imbottite. E come potrebbe essere diversamente, se si pensa a come vive, e a quello
con
cui deve vivere? Cristo, diffondere il Vangelo tra gente che crede ancora nei sacrifici umani. Scommetto che di questo in seminario non gli hanno mai parlato.»

D'impulso Kate allungò la mano e la posò su quella di lui, addolorata dalla sua palese frustrazione e desiderosa di offrirgli un po' di conforto. «Che cosa conta di fare?»

«Riferirò a Rimerez dei nuovi assassinii, poi tornerò a Chetulak con lui per vedere che cosa riusciamo a scoprire. Dopodiché telefonerò alle linee aeree che battono la zona perché controllino le liste dei passeggeri degli ultimi sei mesi, nell'eventualità che il nostro assassino sia stato così idiota da usare il suo vero nome. Farò la stessa cosa con l'Ufficio Immigrazione, qui, a New York e a Miami. Poi passerò al setaccio ogni maledetto hotel e ogni maledetto tassista di Chichén Itzá. Che cosa gliene pare come inizio?»

Kate gli offrì un sorrisetto. «Non molto incoraggiante. Ha idea di quante migliaia di turisti passano per lo Yucatán in sei mesi?»

Rolk annuì. «Credo che potrebbero riempire più volte lo Yankee Stadium.»

«Non proprio, ma quasi.» Lo guardò stringersi nelle spalle, ma non staccò la mano da quella di lui. «Le farebbe piacere se tornassi là con lei?»

Rolk la guardò negli occhi, percepì il peso della sua mano e pensò che gli sarebbe piaciuto averla accanto per un'intera settimana, tanto per vedere che cosa sarebbe successo.

«Se non le creerà troppi fastidi,» rispose. «Ma non vorrei che per lei si risolvesse solo in uno spreco di tempo.»

«Vediamo prima che cos'ha da dirci il capitano Rimerez, poi potrà decidere,» fu pronta a rispondere Kate, consapevole che non le sarebbe affatto dispiaciuto se il capitano le avesse consigliato di restare.

 

Avevano appena finito di cenare nella sala da pranzo dell'hotel quando arrivò Rimerez; subito Kate si scusò, dicendo che avrebbe fatto una passeggiata tra le rovine. Non era ancora tornata quando Rolk e il capitano si congedarono e mentre si avviava verso il suo bungalow, Rolk si riscoprì a fermarsi davanti a quello di lei, deluso nel constatare che il piccolo alloggio era immerso nel buio.

Entrò nella sua stanza e accese la luce. Vi si respirava un'aria pesante e opprimente, dato che il bungalow era rimasto chiuso tutto il giorno, ma la temperatura esterna era calata di colpo, così decise di non accendere il rumoroso condizionatore d'aria e di aprire invece le finestre dotate di persiane di ventilazione. Posò la giacca su una delle sedie di rattan sistemate di fronte al letto matrimoniale, si lasciò cadere nell'altra e cominciò ad analizzare la conversazione avuta con Rimerez.

Il messicano gli era piaciuto subito, ne rispettava la testardaggine. Rimerez aveva posto tutte le domande giuste ed evitato quelle ovvie e fin dal primo incontro Rolk ne aveva notato con un certo compiacimento i modi affabili e gli occhi duri; un contrasto che aveva riscontrato spesso nei poliziotti in gamba... una mescolanza di sicurezza e diffidenza, cordialità e sospetto.

Si erano trovati d'accordo quasi subito sulla tattica da seguire il giorno dopo a Chetulak, tattica non dissimile da quella utilizzata da Rolk per far crollare Juan Domingo. Avrebbero interrogato i parenti di Caliento e di Domingo sugli antichi rituali e sulla recente ricomparsa di Quetzalcoatl, facendo implicitamente capire che se le risposte non fossero state pronte ed esaurienti, i loro congiunti di New York avrebbero potuto riceverne qualche danno.

«È triste,» aveva detto Rimerez. «Ma per la polizia l'intimidazione è un'arma perfino più valida di un filale.»

Si era inoltre offerto di aiutarlo per quanto riguardava il controllo delle linee aeree e degli alberghi in Messico e gli aveva proposto di fare circolare delle fotografie, che Rolk avrebbe fornito, tra quei pochi tassisti che lavoravano a Chichén Itzá.

Conclusa la loro chiacchierata, Rolk lo aveva accompagnato alla sua auto e lì avevano indugiato ancora brevemente a discutere i problemi scaturiti dalle indagini.

«Se ha ragione lei e l'assassino è qualcuno venuto da New York, allora ha corso un rischio terribile e sciocco,» aveva commentato Rimerez.

«A meno che non abbia mandato qualcun altro. Qualcuno di cui forse io non ho mai sentito parlare.»

Ora, seduto nella sua stanza, Rolk meditava proprio su questa possibilità, mentre il sonno gli appesantiva le palpebre. Avrebbe dovuto chiamare Devlin, fargli controllare di nuovo tutti i rapporti dei pedinamenti, poi risalire alle persone con cui gli indiziati erano stati in contatto in quegli ultimi giorni. Sarebbe stato un lavoro improbo, ma non c'era modo di evitarlo. Era indispensabile.

 

Kate vagabondava tra le rovine e dal cielo sereno il chiarore della luna si diffondeva a creare giochi d'ombra e luce tra le massicce facciate di pietra e le scalinate, conferendogli un che di etereo e al tempo stesso più reale che mai, come se di notte la città, morta da secoli, ritornasse in vita.

Kate fantasticava di vivere tra il popolo che un tempo l'aveva abitata. Un popolo che aveva sviluppato l'astronomia e la matematica; che aveva dato i natali a grandi artisti e a valenti artigiani; un popolo che aveva costruito città capaci di ospitare decine di migliaia di persone e governate da un'aristocrazia. Sì, pensò. Se le fosse stata data la facoltà di scegliere, era quella l'epoca in cui avrebbe scelto di vivere.

Si fermò davanti allo Sferisterio, ancora persa nei suoi pensieri. Essere un'aristocratica in questa città, pensò. Una dei prescelti. Si chiese se avrebbe saputo corrispondere alle aspettative: diventare un sacrificio vivente per il bene del suo popolo. Sarebbe stata capace, come lo erano stati gli antichi nobili, di dare il suo sangue e di mutilarsi per gli dei? E ancora, di prendere prigionieri e sacrificare i sovrani delle altre città, rischiando al tempo stesso la medesima fine?

Non erano che fantasticherie. Eppure, forse, non del tutto. Qualcuno l'
aveva
scelta,
aveva
deciso che doveva essere sacrificata. Ora, circondata dalla bellezza e dalla maestosità delle rovine, si scoprì al tempo stesso esilarata e terrorizzata e si chiese, solo per un momento, quale fosse l'emozione dominante.

 

Un fruscio proveniente dall'esterno strappò Rolk al sonno leggero in cui era caduto. Si mise a sedere e rimase in ascolto mentre una porta si apriva e poi si richiudeva. Kate era tornata. Per un istante pensò di andare da lei e parlarle dei progetti per l'indomani, poi, sorridendo davanti alla pretestuosità della scusa, tornò a sedersi.

L'urlo lo fece balzare di nuovo in piedi e precipitarsi verso la porta. Quella di Kate era chiusa, ma lui non esitò un istante: vi appoggiò contro la spalla e spinse con tutte le sue forze, sfondandola.

Kate era in piedi, la schiena rivolta alla parete di fronte, pallidissima, e fissava con occhi sbarrati qualcosa sul letto.

Le coperte erano state scostate e, ben visibile contro il candore delle lenzuola, c'era un grosso serpente acciambellato su se stesso, con la coda vibrante e intorno alla testa una sorta di bizzarro girocollo di piume colorate.

Per un istante Rolk rimase raggelato, poi si costrinse ad avanzare, muovendosi lentamente, con cautela, gli occhi fissi sulla testa del rettile che ora era puntata verso di lui, sentendo i battiti del suo cuore accelerare a ogni passo. Con gesti cauti allontanò dal tavolo una piccola sedia di legno, ma gli parve troppo leggera, inutile. Come gli sarebbe piaciuto avere con sé la pistola d'ordinanza che era stato costretto a lasciare a casa; ma probabilmente non gli sarebbe stata di alcuna utilità dato che tremava al punto che a malapena sarebbe riuscito a colpire il letto... se anche si fosse ricordato di caricarla.

Si avvicinò ancora, la sedia alta sopra la testa. Si ricordò di avere letto da qualche parte, molti anni prima, che un serpente può colpire a una distanza superiore alla metà della lunghezza del suo corpo, così cercò di valutare a occhio le dimensioni dell'esemplare attorcigliato sulle lenzuola. Un metro e mezzo, due, almeno. Cristo.

Calò la sedia con tutta la forza che aveva e l'impatto e l'elasticità del materasso quasi gliela strapparono di mano.

Dopo quel primo colpo balzò all'indietro, sollevando di nuovo la sedia mentre guardava il serpente svolgere le spire e dibattersi per la sofferenza e la rabbia. Gli sembrò enorme, con la testa larga quasi come il suo pugno e il corpo grosso come il suo avambraccio.

Di nuovo calò la sedia, poi ancora, rapidamente, una terza volta.

Il serpente scattò in avanti contorcendosi selvaggiamente e lasciando sul lenzuolo una traccia di sangue sorprendentemente denso e scuro. Cadde a terra con un tonfo sordo e Rolk lo colpì con la sedia, ancora e ancora, fino a schiacciarlo completamente. Allora si fermò, gli occhi fissi su quella cosa immobile e morta e sanguinante.

Respirò profondamente, un respiro tremulo, mentre un brivido violento lo scuoteva tutto. Si voltò a guardare Kate che sembrava reggersi in piedi a fatica. Andò da lei e la prese tra le braccia.

«Sta bene?»

La sentì annuire con la testa contro il suo petto.

«Credevo che avesse paura dei serpenti,» sussurrò lei.

«Ce l'ho,» rispose lui, reprimendo un altro brivido. «Cristo, ce l'ho sempre avuta.»

La spinse via e la guardò in faccia. «Pensavo invece che lei
non
ne avesse.»

Kate abbozzò un sorriso; sulle guance le stava tornando un po' di colore. «Lo pensavo anch'io. Ma quando ho scostato le coperte e l'ho visto lì, con quelle piume intorno alla testa, sono rimasta come paralizzata.» Sollevò gli occhi su di lui. «Ce l'ha messo qualcuno, Rolk. È un serpente piumato. Quetzalcoatl.»

«Sì, lo so. Qualcuno a cui non sono piaciute le domande che abbiamo fatto in giro.»

«Che cosa faremo adesso?»

Lui esitò; sapeva di non avere completamente riacquistato il controllo di sé. «Per prima cosa lasceremo quel maledetto rettile lì dov'è, in modo che Rimerez possa vederlo, domattina. Poi raccoglieremo le sue cose e le trasporteremo in camera mia.» Le accarezzò la guancia. «Voglio che domattina lei salga sul primo aereo, e fino a quel momento ho intenzione di non perderla di vista neppure per un istante.»

Kate lo fissò a lungo, poi gli passò le braccia intorno al collo. «Neppure io voglio che mi perda di vista,» sospirò.

Rolk guardò il viso di Kate così vicino al suo, sentì la bocca di lei premere contro la sua in un bacio pieno di passione avida, urgente. E lo ricambiò.

 

23

 

Il corridoio era immerso nel debole chiarore dell'illuminazione notturna quando Devlin uscì dal laboratorio di antropologia e chiuse silenziosamente la porta dietro di sé. Erano le nove e aveva già trascorso un'ora nel museo alla ricerca di qualunque cosa avesse un legame diretto con gli omicidi.

La perquisizione di Devlin e degli agenti Charlie Moriarty e Bernie Peters era stata autorizzata durante una riunione tenutasi quel pomeriggio con il direttore del museo, d'accordo con la tesi di Devlin secondo cui una perquisizione ufficiosa sarebbe stata molto meno traumatica e sconvolgente per il personale del museo e avrebbe inoltre evitato la richiesta di un'autorizzazione formale all'autorità giudiziaria, autorizzazione di cui la stampa avrebbe certamente avuto sentore. L'unica restrizione posta dal direttore era che gli agenti venissero accompagnati dal capo del servizio di sicurezza del museo, Ezra Waters, un agente di polizia in pensione che Devlin conosceva da anni.

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