Ritual (44 page)

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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Ritual
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«È finita, Rolk. Il rito è finito.»

Lo vide immobilizzarsi di colpo, sbattere le palpebre al suono della voce familiare che disintegrava il suo equilibrio. Ondeggiò, poi si volse lasciando ricadere il braccio che impugnava il coltello.

«Paul. Non dovresti essere qui, Paul.» La sua voce era calma, suadente, gli occhi lontani e pieni di confusione.

«Dovevo venire. Non c'era altro modo. Dovevo risolvere il caso.»

«Ma il caso è risolto. L'ho risolto io.»

«No,» Devlin scosse la testa. «Non ancora.»

Rolk emise un respiro lungo, tremulo. «Sei un bravo detective, Paul. Ma d'altro canto hai avuto un buon maestro, non è così?»

«Sì.» Devlin non disse altro, non ne sarebbe stato capace.

«Come l'hai scoperto? Dimmelo. È tempo che l'allievo insegni al maestro.» Ora negli occhi di Rolk c'era solo follia.

Devlin sospirò profondamente. Il dolore al braccio era scomparso, ma non la pena che gli aveva invaso l'anima. «Non sono mai riuscito a convincermi che il colpevole fosse Caliento,» cominciò. «Per la sua altezza e un sacco di altre cose. Il fatto che l'assassino fosse fuggito senza uccidermi quando ne aveva la possibilità.» Fissò Rolk negli occhi. «Perché volevi uccidermi? E perché non l'hai fatto?»

Trascorse qualche istante prima che l'altro riuscisse a parlare. «Stavi cercando di portarmi via Kathy, proprio come qualcun altro, tanti anni fa. Sapevo che non lo facevi intenzionalmente, eppure era così.» Parlando, sbatteva di continuo le palpebre. «Però non sono riuscito a ucciderti. Non so perché, ma non ce l'ho fatta.»

Devlin annuì; per la prima volta credeva di capire. Ma non si fermò a pensarci, doveva continuare a parlare. «Poi oggi mi ha chiamato Rose. Tu le hai mostrato la lettera in cui si parlava di tua figlia e le hai dato un indirizzo perché potesse mandarle un regalo. Ma la calligrafia era la stessa e, pensando che in seguito avresti potuto accorgertene, si è spaventata moltissimo.»

Avanzò di un passo, poi si fermò. Rolk rimase immobile, ma nei suoi occhi Devlin lesse un'assurda espressione di compiacimento; sembrava, pensò, un pazzo che ascolta le incredibili imprese del figlio.

«Allora ho telefonato a Charlie,» riprese. «Lui mi ha raccontato quello che aveva scoperto sul conto di Kate e suo padre. Mi ha detto come tu avevi liquidato il suo rapporto così, su due piedi. Allora ho capito. Era tutto così semplice. Tu sapevi che quelle informazioni non significavano nulla perché sapevi già chi era l'assassino. L'avevi sempre saputo. E sapevi che i sacrifici celebrati in Messico non avevano niente a che fare con quanto stava accadendo qui. Era solo una coincidenza che hai usato per metterci fuori strada.» Lo guardò annuire.

«Non volevo crederci,» seguitò allora. «Ma dovevo esserne certo, così ho telefonato a Rimerez e lui mi ha detto del controllo effettuato presso le linee aeree e di come ne avesse già parlato con te.» Tacque, cercando di lottare contro le emozioni che minacciavano di sopraffarlo. «Solo una persona era stata là in precedenza, e quella persona eri tu. Non sei andato a Washington a parlare con quelli dell'Immigrazione, ma nello Yucatán a preparare tutto, a convincere quella gente che eri uno di loro, perché ti aiutassero. Quello che non capisco è perché non hai ucciso Kate laggiù. Perché aspettare? Se tu lo avessi fatto allora, nessuno avrebbe mai scoperto nulla.»

«Non era ancora tempo,» disse Rolk, e la sua voce suonò lontanissima. «Quando ho visto quelle rovine, la maestà e la perfezione di quei luoghi, ho sentito di non essere pronto e ho capito come fare perché tutto fosse perfetto.» Lanciò a Kate un'occhiata sorridente. «È stata lei a insegnarmelo. Oh, non poteva saperlo, ma è stato così. E allora sei venuto qui, a cercare.»

«Sì, son venuto qui a cercare.» Devlin guardava per terra, riluttante a incontrare lo sguardo di Rolk. «E ho visto i libri sui rituali religiosi dei toltechi. Libri che erano appartenuti a tua moglie e di cui tu ti sei impossessato. Poi ho trovato le copie dei messaggi che accompagnavano le offerte votive e le bozze della lettera in cui parlavi di tua figlia e che ti sei scritto da solo. Poi la maschera e le armi.»

Alzò gli occhi, poiché era impossibile rimandare ancora l'ultimo confronto. «E ho trovato tua moglie e tua figlia. Nel seminterrato. Lì dove le hai nascoste per tutti questi anni.»

Uno spasmo alterò il viso di Rolk, trasformando il suo sorriso in un sogghigno di intollerabile sofferenza. Cominciò a tremare con violenza.

«Ma mia moglie è qui,» sussurrò voltandosi verso Kate. «E mia figlia a Seattle. Ho la lettera.»

Devlin scosse la testa. «No, non è vero. Sono nel seminterrato. Dove sono sempre state.»

Lo guardò lottare contro l'ineluttabilità di quelle parole. Vide i suoi occhi rannuvolarsi, poi illuminarsi di una comprensione improvvisa, o forse era un ricordo; vide ricomparire lo sguardo selvaggio, vitreo. «Ma certo,» disse Rolk, «Per un momento avevo dimenticato.»

Devlin fece un altro passo verso di lui.

«Gli altri dove sono? O hai deciso di fare tutto da solo?» domandò Rolk.

«Ho mandato Charlie a casa di Kate, nel caso foste andati là. Ma qui dovevo venire da solo.»

«Così, ora tutto è finito.»

«No! Maledizione! Non è finito!» Devlin stava urlando e la sua voce era piena di collera e di disperazione. «È appena cominciato, invece. Sai quello che dovrai affrontare. Il processo, la stampa e poi, se sei fortunato, anni e anni in un istituto per malattie mentali.»

Turbato da quello scoppio improvviso di rabbia, Rolk indietreggiò. «No, non andrà così.» Parlava in tono suadente, come per confortare un bambino spaurito. «Capiranno. So che capiranno. Scriveranno articoli su di me. Articoli dotti, eruditi.» Poi un'espressione confusa gli si dipinse sul viso, e di nuovo i muscoli si contrassero in uno spasimo. «Ma forse no. Forse non capiranno mai.»

Avanzò, sollevando il pugnale sopra la testa. «Risolvi il caso, Paul,» bisbigliò. «Risolvi il caso.»

«Dio, no!» urlò Kate.

Devlin impugnò la pistola con entrambe le mani, la puntò contro la fronte di Rolk. Aveva gli occhi pieni di lacrime.

Rolk gli sorrise.

 

Epilogo

 

In piedi davanti al feretro coperto di fiori, padre Lopato pregava per l'anima di Stanislaus Rolk. C'era poca gente intorno alla fossa. Erano venuti i componenti della squadra, ma nessuno dei pezzi grossi del dipartimento, e Devlin pensò che Rolk avrebbe preferito così.

Non era stato il tradizionale «funerale dell'ispettore», e la stampa era stata tenuta lontana. A questo avevano pensato agenti in uniforme, fuori servizio. Un'iniziativa illegale, ma Devlin sapeva che Rolk non l'avrebbe apprezzato di meno per questo.

Con il braccio infilato sotto il suo, Kate si stringeva a lui in cerca di conforto. Non c'era nessun altro, ma perché stupirsene? Da anni Rolk non aveva più nessuno. Il cielo era sereno ed era una bella, limpida giornata d'inverno, la giornata giusta per mettere la parola fine a quanto era accaduto.

La voce di padre Lopato parlava di vita eterna e di perdono e della fine della sofferenza terrena. Poi la cerimonia si concluse e Devlin e Kate si volsero per tornare alla macchina.

«Sono contenta che padre Lopato abbia potuto officiare il funerale,» mormorò Kate. «Credo che gli abbia fatto piacere, anche se mi ha sorpresa che l'arcidiocesi gli abbia permesso di lasciare la casa di cura così presto.»

Devlin guardava lontano, oltre le lunghe file di lapidi. «Pare che abbia messo le mani su un certo nastro registrato,» spiegò. «E questo ha fatto sì che all'arcidiocesi valutassero l'accaduto sotto un'ottica lievemente diversa.»

«Sta molto meglio, non trovi? Mi ha detto che torna nello Yucatán. Ma come antropologo, questa volta, non come sacerdote. Anche questo è opera del nastro?»

Devlin si strinse nelle spalle. «Chissà. Le vie del Signore sono misteriose, o così mi hanno insegnato.» La guardò, sforzandosi di sorridere. «Ma gli farà bene. Forse potrà aiutarlo a vedere chiaro dentro di sé.»

Kate gli strinse il braccio. «E che cosa può aiutare te a vedere chiaro?» gli domandò.

Devlin non rispose subito. «Forse tu,» disse alla fine. «Forse potremmo aiutarci l'un l'altra.»

Arrivati all'auto, si guardarono senza parlare.

«Forse non dovremmo dimenticare,» mormorò alla fine Kate. «Forse è meglio ricordare.»

Ma lui scosse la testa. «Ci sono cose che preferirei scordare. Soprattutto il modo in cui è finito.»

Kate abbassò gli occhi. Piangeva e non voleva che Devlin se ne accorgesse. «Anch'io gli volevo bene,» disse piano. «Ma forse per lui è stato meglio così.»

Devlin si voltò a guardare la tomba che avevano appena lasciato.
I
pochi dolenti si erano già allontanati, lasciando il posto a due uomini armati di pale che aspettavano di mettersi al lavoro.

«È questo che credevano i toltechi, non è vero? Che uccidere qualcuno nelle giuste circostanze fosse il supremo atto d'amore.»

Kate annuì, ma senza guardarlo. «Forse avevano ragione,» disse allora Devlin, attirandola a sé. «Forse, solo per questa volta, avevano ragione.»

 

FINE

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