Ritual (35 page)

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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Ritual
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Moriarty sbatté più volte le palpebre, stupefatto davanti alla prospettiva di spendere il denaro del dipartimento senza neppure l'approvazione del suo superiore. Era una di quelle cose che semplicemente non si facevano, ma Rolk non ci badava.

«Se lo scoprono, i nostri pezzi grossi vorranno la sua testa, tenente,» disse alla fine.

Rolk annuì. «Non sono mai stati capaci di stare allo scherzo.»

 

28

 

«Come hai potuto farmi una cosa simile? Come hai potuto fare l'amore con me e poi trattarmi come... come... non so neppure io come che cosa, il giorno dopo?» Kate era in piedi nel soggiorno di casa sua, il viso stravolto dalla collera, in preda a un'emozione così violenta da mozzarle quasi il fiato.

Rolk subì quell'attacco senza alcun palese segno di turbamento.

La sua voce rimase perfettamente calma, tranquilla, il suo sguardo sicuro. «È la parte del lavoro che devo svolgere, nient'altro. Non aveva nulla a che vedere con te, o con noi.»

«Al diavolo il tuo lavoro,» gridò Kate con voce stridula. «Nel caso il particolare sia sfuggito alla tua super-mente investigativa, sono io la vittima predestinata di quel pazzo.
Io
continuo a ricevere inviti per la mia decapitazione. Ma ieri, nel tuo ufficio, non ero che un altro dei criminali che peschi per le strade.»

Rolk serrò la mascella e i suoi occhi si fecero duri. «Tutti dovevano essere trattati nello stesso modo. Faceva parte del gioco. Ora mettiti il cappotto, ti accompagno al lavoro.»

Incredula, Kate lo fissò. «Non vado da nessuna parte con te. Né ora, né stasera, né mai. Quindi, a meno che tu non abbia qualche altra domanda idiota da farmi, sei pregato di starmi fuori dei piedi.» Gli voltò le spalle, incrociando le braccia sul petto. Il silenzio improvviso le parve quasi intollerabile.

«Manderò qualcuno a prenderti, stasera,» disse Rolk alla fine. «E se vuoi, i ragazzi dell'autopattuglia possono accompagnarti al museo.»

Poi fu di nuovo silenzio. Lei teneva gli occhi chiusi, come per arginare il dolore che l'aveva invasa, e le lacrime le scorrevano lungo le guance. Passò più di un minuto prima che sentisse la porta aprirsi e poi richiudersi e quando si voltò Rolk non c'era più.

 

Devlin si coccolava la terza tazza di caffè. Davanti al lavello, sua sorella lavava i piatti della colazione, mentre sua figlia, piazzata davanti al televisore del soggiorno, seguiva affascinata un programma per ragazzi.

«Perché non l'hai invitato a cena?» chiese Beth. «A Philippa fa piacere vederlo e forse gli avrebbe fatto bene. Vivere solo dev'essere terribile a volte.»

«Finché il caso non sarà risolto non ci sarà tempo per le piacevolezze sociali,» obiettò Devlin. «E poi, se Rolk avesse anche solo
pensato
che lo facevo per il suo bene, avrebbe usato i miei intestini per farsi delle giarrettiere.»

«Bene, allora come puoi dargli una mano?»

Devlin scosse la testa. «Al momento sono troppe le cose che gli vanno storte e sembra che tutte, una per una, lo ossessionino.»

«Le indagini vanno davvero così male?» volle sapere Beth. «Finora mi sono sforzata di non chiederti nulla perché so che non ti piace parlare di certe questioni a casa.»

«Non è questo. Direi anzi che la situazione è in netta ripresa.» Parlando, fissava il liquido bruno nella tazza. «Il fatto è che lui è ossessionato... dal caso come dal pericolo che corre questa Silverman. Ormai è arrivato al punto di ignorare le altre indagini in corso, e questo non è da lui.» Scosse la testa. «E si è rimesso a cercare la figlia con una determinazione che non aveva mai avuto prima.» Sollevò gli occhi sulla sorella, che preoccupata a sua volta aveva tirato fuori le mani dall'acqua. «Si sta spaccando la testa su questa indagine. Io lo so, lo sanno tutti. Credo che lo sappia perfino Rolk, ma non riesce a fermarsi.»

«Forse sta cercando di risolvere in fretta il caso perché si rende conto di esserne troppo preso. Sarebbe logico, non ti pare?»

«Ho l'impressione che sia molto preso anche da Kate Silverman,» proruppe Devlin, senza riflettere.

Beth parve sorpresa, poi un sorriso le illuminò il viso. «Ma questa è un'ottima cosa, Paul. Probabilmente la migliore che potesse accadergli. Pensa che non l'ho mai sentito parlare di una donna, né tanto meno l'ho mai visto con una. E neanche tu, scommetto.»

«Non è un bene,» brontolò Devlin. «E i caporioni lo faranno arrostire a fuoco lento se mai hanno sentore della cosa. È una faccenda stupida, pericolosa, e lui dovrebbe avere abbastanza esperienza per saperlo.»

«Oh, Paul, come puoi essere così sciocco? Che cosa c'è di male, se sono attratti l'uno dall'altra? E poi è stato il caso ad avvicinarli. Chiunque con la testa a posto è in grado di capirlo.»

Quelle parole le meritarono un sorrisetto obliquo. «Temo proprio che ti sbagli, piccola. Nessuno al dipartimento capirebbe. Io, per esempio, non capisco. Mai lasciarsi coinvolgere sul piano personale da una vittima, e tanto meno da un indiziato.»

«Indiziato?» Beth lo fissò. «Come potete sospettare quella ragazza, quando l'assassino le dà la caccia?»

«E se fosse stata lei a organizzare tutto? Magari senza averne neppure coscienza?»

Squillò il telefono. Beth andò a rispondere e porse quasi subito il ricevitore al fratello. «Charlie Moriarty.»

«Sì, Charlie.» Devlin ascoltò qualche istante. «Merda!» sibilò poi, serrando la mascella. «Okay, fai quello che devi fare. Io esco subito.»

«Che cosa succede?» domandò Beth.

«Quel prete ha appena chiamato Charlie. Roberto Caliento non è mai tornato a New York. Pare che se la sia filata in tutta fretta.»

 

Kate entrò nella chiesa di St. Helena, a pochi isolati di distanza dal museo. Erano le otto e la messa mattutina era appena iniziata. Erano passati anni da quando aveva assistito a una funzione religiosa o messo piede in una chiesa; non ne aveva mai sentito né la necessità né il desiderio. Ora, guardando le poche donnette anziane che costituivano l'intera congregazione, si chiese se non avesse commesso un errore tornando a cercare la consolazione che le era stata familiare da bambina.

Ma no, non aveva sbagliato. Kate si sentiva confusa e ferita. Si era fidata di Stan, stava perfino cominciando a innamorarsene, e lui l'aveva attaccata senza motivo, maltrattata senza manifestare il minimo rimorso. Kate si era sentita certa di non essere per Rolk solo un episodio divertente. Aveva avuto esperienze del genere in passato e conosceva la differenza. Non c'era da sbagliarsi sulle vibrazioni che irradiavano da lui. All'inizio era stato quasi timido, le aveva confessato che non stava con una donna da molto tempo. Ma poi si era dimostrato incredibilmente tenero, accarezzandola e toccandola come se lei fosse un oggetto prezioso e fragilissimo. L'aveva fatta sentire amata come mai le era successo, speciale, desiderata, adorata. E lei si era crogiolata in quelle magnifiche sensazioni, aveva voluto crederle reali. Ma poi...

Guardò il giovane sacerdote che all'altare ripeteva meccanicamente le formule liturgiche, e si chiese come fosse possibile officiare la stessa cerimonia giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, senza impazzire per la noia.

Si prese il viso tra le mani. Non funzionava. Il conforto che aveva sperato di trovare non era lì. Il sacerdote si volse e dopo la benedizione finale formulò la frase di congedo. Kate tuttavia non si alzò, riluttante ad andarsene. Si guardò intorno: file di candele votive baluginavano davanti agli altari laterali e per un istante pensò di accenderne una anche lei, di offrire al cielo una preghiera a riscatto della propria stoltezza.
Votiva.
Quella parola le strappò un brivido. Si alzò per andarsene e stava percorrendo la navata centrale quando notò il confessionale con la luce accesa a indicare che dietro la tenda un prete era in attesa delle confessioni dei fedeli.

Si fermò, gli occhi fissi sulla piccola luce rossa. In un primo momento aveva pensato di andare da padre Lopato o da qualche altro sacerdote per chiedere consiglio, ma ora si disse che avrebbe potuto fare la stessa cosa lì, in confessionale, e per di più con una segretezza a cui agognava disperatamente.

Kate s'inginocchiò davanti alla piccola grata, ma passò quasi un minuto prima che lo sportellino si aprisse lasciandole intravedere i contorni confusi della persona seduta all'interno.

«Mi benedica, padre, perché ho peccato,» cominciò. «Non mi confesso da molti anni e...»

«Presto, Kate. Presto sarai con gli dei. Non perché sei malvagia, ma perché sei meravigliosa.»

Non era una voce, ma un sibilo, un fruscio, e lei balzò in piedi terrorizzata, con le gambe che le cedevano. Soltanto la parete alle sue spalle le impedì di cadere sulle ginocchia. Per qualche istante rimase immobile ad ascoltare quelle parole che venivano ripetute, e poi ripetute ancora. Poi una furia cieca si fece strada dentro di lei e a dispetto del tremito che la scuoteva, gridò: «No, maledizione a te! No!»

Tirò la cortina che nascondeva il seggio del sacerdote con tanta forza da lacerarla, ma il confessionale era vuoto e la voce ronzante che continuava a ripetere le stesse parole proveniva da un piccolo registratore.

Il tonfo del portone d'ingresso che si chiudeva la fece voltare di scatto. Allungò una mano per afferrare il registratore, poi cominciò a correre verso l'uscita. No, gridò dentro di sé. Non la farai franca. Riuscirò a vederti in faccia. Scoprirò perché mi stai facendo tutto questo, a qualunque costo.

 

Alle nove del mattino l'ispettore James Dunne e il vicecomandante Martin O'Rourke irruppero nell'ufficio di Rolk con la furia di un uragano.

Seduto alla sua scrivania, Rolk sentì l'odore dell'alcool, retaggio della sbronza della sera prima, che il corpo sudato di O'Rourke diffondeva intorno a sé, e lo sguardo tetro negli occhi di Dunne gli rivelò che al municipio i tamburi di guerra stavano già rullando.

«Che diavolo pensa di fare dicendo al direttore del Museo di Storia Naturale che era lui il responsabile della morte di Ezra Waters?» sbraitò O'Rourke, e il suo faccione florido aveva assunto una tonalità quasi porpora.

«Non gli ho detto esattamente questo,» obiettò Rolk, e la sua voce era calma e tranquilla.

«Che cosa, allora?» interloquì Dunne.

Il poliziotto esibì un sorriso platealmente falso. «Ho detto a quel piccolo stronzo che con quella sua idea di volere un solo poliziotto all'interno del museo aveva fatto crepare il suo responsabile della sicurezza con la gola tagliata, e che se non avessi avuto la sua piena collaborazione avrei spifferato l'intera faccenda a tutti i fottuti quotidiani della città.»

«Col cavolo che lo farà,» urlò O'Rourke.

«Mi metta alla prova,» replicò Rolk, e la sua voce era poco più di un bisbiglio.

Dunne gli puntò un dito contro. «Se fai una cosa del genere, non ti occuperai ancora a lungo di questo caso.»

«Perfetto. Così quello che dirò ai giornali sarà ancora più efficace, non credi?»

«E potrai dire addio anche alla tua pensione!»

«Ficcatela nel culo, la mia pensione,» ribatté Rolk, perfettamente calmo.

I
due uomini si fissarono, troppo sbalorditi per parlare. Allora Rolk si alzò. «Sono vicino a mettere le mani su quel bastardo. Lo so. Ma non ce la farò, se i capoccia giù in città mi mettono i bastoni tra le ruote ogni volta che qualche imbecille figlio di puttana decide che non gli piace il modo in cui la polizia svolge le sue indagini. Quindi tornatevene da quelli che stanno urlando al municipio, quali che siano, e diteglielo. Spiegate loro che hanno a che fare con un agente della Omicidi che, si dà il caso, gode di un certo credito tra la stampa. E spiegate che o gli lasciano fare in pace il suo fottuto lavoro, o lui gli scaricherà sulla porta di casa tanta merda che passeranno il resto dell'inverno a spalarla.»

O'Rourke tremava di rabbia. «Lei è finito, Rolk. Mi creda, quando questa indagine si sarà conclusa, lei infilerà quella porta e non tornerà più indietro.»

«Forse anche prima,» rincarò Dunne con un sorriso malvagio. «Hai ragione, Rolk. Abbiamo il culo allo scoperto adesso, ma non impiegheremo molto a coprircelo. Non dimenticarlo, Mister. Perché ci sarà sufficiente un altro piccolo passo falso per sbatterti fuori di qui senza neanche il tempo di fare le valigie.»

«Allora me ne andrò,» dichiarò Rolk. «Ma, andandomene, porterò questo bastardo con me. Cercate di fermarmi, e io farò in modo che di merda ne resti abbastanza da coprire le scarpe a tutti e due.»

«Ma resterà lontano dai giornali, d'accordo?» sbraitò ancora O'Rourke.

«No che non lo farò.» Guardò il viso rubizzo di O'Rourke farsi violaceo, come quello di un uomo appena strangolato. «Ma non accennerò né a voi né a quelli del municipio.» Controllò l'orologio. «Tra un'ora... un po' meno, per essere precisi, questo ufficio sarà pieno di giornalisti. E a quel punto racconterò certe cosette sul nostro killer che manderanno quel figlio di puttana in orbita. E quando ci andrà, io allungherò la mano per tirarlo giù.»

Dunne annuì lentamente. «E se il tuo progetto ti si ritorcesse contro, Stan?»

Rolk ricambiò il suo sguardo. «Se accadrà, Jim, suppongo che avrai finalmente la possibilità di fare quello che aspetti di poter fare da anni.»

«Proprio così, Stan,» annuì Dunne. «Proprio così.»

 

29

 

Per la prima volta da più tempo di quanto riuscisse a ricordare, Grace Mallory si sentiva in pace con se stessa. Un sorrisetto le aleggiava sulle labbra mentre si rendeva conto di quanto fosse vieta e trita quell'idea. Eppure era così che si sentiva... invasa da un insolito senso di benessere che aveva cominciato a provare poco dopo l'interrogatorio nell'ufficio di Rolk. Sono quella che sono, si disse ora. La gente se ne accorge e questo non fa alcuna differenza. Neppure una piccola, piccolissima differenza.

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