Ritual (42 page)

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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Ritual
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La sua mano si strinse intorno al ricevitore. «Ne avevi parlato a Rolk?» Una pausa. «E lui?» Greenspan lo vide chiudere gli occhi e serrare le mascelle. «Grazie, Charlie. No, non è nulla. Sai, me ne sto qui e ho bisogno di qualcosa a cui pensare. Sì, ci sentiamo presto. Fammi sapere chi sarà il nuovo capo.» Riattaccò e rimase immobile, gli occhi fissi sulla parete.

«Che cosa c'è?» domandò lo psichiatra, vagamente inquieto.

Senza una parola, Devlin aprì il cassetto del comodino e ne estrasse il suo taccuino. Scartabellò tra le pagine finché non trovò il numero di Rimerez datogli da Rolk.

Il capitano rispose al secondo squillo e Devlin si qualificò rapidamente.

«Volevo semplicemente effettuare un doppio controllo con lei, capitano. A proposito delle sue indagini e di quello che eventualmente è saltato fuori.» Ascoltò per qualche istante, pallido, il volto teso. «Ha menzionato questo particolare al tenente? No, non c'è nulla che non vada. È solo che il tenente ha appena dato le dimissioni e io, come le ho detto, ho pensato di ricontrollare... Sì, grazie. Probabilmente la richiamerò.»

Devlin riappese e si alzò.

«Che cosa succede?» chiese ancora Greenspan. Poi ascoltò stupefatto la sua spiegazione.

«Oh, mio Dio. E crede che ora siano insieme?»

Devlin annuì.

«Che cosa ha in mente di fare?»

«Prima di tutto, mi aiuti a vestirmi,» disse il poliziotto. «Poi dovrà farmi uscire di qui.»

 

36

 

Devlin suonò il campanello, attese, suonò di nuovo e aspettò un minuto intero prima di estrarre di tasca un mazzo di grimaldelli. A dispetto di quanto lasciano intendere film e televisione, aprire una serratura decente non è poi così semplice, e Devlin si riscoprì a guardarsi di continuo alle spalle, timoroso che qualche vicino lo notasse e chiamasse la polizia. In quel momento, l'ultima cosa che desiderava era la compagnia di altri poliziotti. Sudava quando finalmente la porta si aprì.

Entrò senza fare rumore e indugiò per qualche istante in soggiorno, poi controllò rapidamente il resto dell'appartamento prima di tornare di là.

Si guardò intorno. Nella stanza regnava un ordine quasi eccessivo, certo frutto di un intervento professionale.
I
pavimenti splendevano, i tappeti erano stati lavati di recente, non c'era un granello di polvere e, tranne che per una scrivania ingombra, non si vedeva un libro o una rivista fuori posto. Per un attimo l'incertezza minacciò di sopraffarlo. Stava mettendo in dubbio le conclusioni raggiunte da Rolk, contestando l'arresto che lui aveva effettuato. Non aveva mai fatto niente del genere in passato, mai in tutti gli anni in cui avevano lavorato insieme, ma ora sapeva di non avere scelta. Perché l'alternativa era atroce.

Andò alla scrivania e si chinò a esaminare i vari oggetti, ma senza toccare nulla. C'erano parecchi libri sui riti religiosi toltechi, ma questo era in fondo del tutto logico. Con cautela sollevò la copertina del primo; sulla prima pagina il nome del proprietario originale era stato cancellato e sostituito da un altro. C'era anche una data, seguita da una dedica:
Studialo con cura per il bene di Quetzalcoatl, perché ora e necessaria la conoscenza.
Devlin chiuse il libro; adesso sapeva di avere fatto bene ad andare.

 

Il ristorante sulla Columbus Avenue era piccolo e pittoresco, traboccante di felci appese al soffitto, proprio il tipo di locale alla moda che Rolk aveva sempre disprezzato. Ma Kate sembrava perfettamente nel suo elemento mentre sceglieva dal menu una zuppa di porri e crèpes alle verdure, scelta che strappò a Rolk un sussulto. Lui ordinò un sandwich Reuben e un'insalata di patate, con gran disgusto del cameriere dall'aria effeminata che alzò gli occhi al cielo destando l'ilarità di Kate.

«Ai vecchi tempi, in questo quartiere un sandwich Reuben e un bicchiere di vino erano
haute cuisine

brontolò Rolk, ma l'allegria di lei finì con il contagiarlo e rise anche lui. Alla fine allungò la mano a prendere la sua. «Mi sembri di ottimo umore, oggi,» osservò. «È la compagnia o qualcos'altro?»

«La compagnia
e
qualcos'altro.» Kate gli sorrise, un'espressione di sollievo negli occhi. «È splendido che sia tutto finito. Ho come la sensazione che l'aria si sia improvvisamente fatta più pulita, più facile da respirare.»

«C'è ancora il processo, a meno che Caliento non venga giudicato incapace di intendere e di volere,» le ricordò lui.

«Questo non ha importanza. È finita. Tu non provi la stessa sensazione?»

Rolk giocherellava con la forchetta. «Confesso di sentirmi un po' in colpa per avere abbandonato i ragazzi proprio adesso, quando c'è ancora un sacco di lavoro da fare.»

«In che senso? Pensavo che con l'arresto tutto fosse finito.»

Rolk scosse la testa.

«Negli ultimi cinque anni si sono verificati alcuni omicidi che non sono mai stati risolti. Strani casi di mutilazione di cui non si è mai scoperto il responsabile, e certo il procuratore distrettuale cercherà di stabilire se esiste un collegamento tra questi e il caso Caliento. In realtà le analogie non sono molte, ma è così che funziona. Bisogna sempre cercare di risolvere anche i vecchi casi.» Si strinse nelle spalle. «Così ai ragazzi toccherà riesaminare pile di fascicoli, cercare di capire se Caliento o Domingo o qualcun altro a loro legato fosse a New York all'epoca dei vari omicidi. Probabilmente dovranno anche controllare di nuovo Lopato, e forse questa sarà la parte più spiacevole.»

Kate era pensierosa. «Mi riesce difficile pensare al povero piccolo Juan Domingo coinvolto in questa faccenda,» mormorò con un sorriso incerto. «E non ho mai conosciuto Caliento.»

«Sicura?» domandò Rolk, guardandola con espressione enigmatica.

Lei tirò un profondo sospiro. «Già, in effetti
l'ho
incontrato, vero? E se tu non l'avessi individuato come colpevole, gli omicidi sarebbero continuati, non è vero?»

«Sì, sarebbero continuati,» assentì Rolk, alzando gli occhi sul cameriere che arrivava con il sandwich e le crèpes. «Ma non parliamone, vuoi? È finita, come dici tu, e c'è una cosa che voglio dirti.»

Estrasse dal taschino la lettera ormai logora e gliela tese. La guardò mentre la leggeva, sperando che anche per lei fosse importante, che capisse che cosa significava per lui.

Quando Kate sollevò lo sguardo, i suoi occhi erano tristi, malinconici. «Così alla fine ce l'hai fatta,» commentò. «Dopo tutti questi anni, alla fine l'hai trovata.» Gli sorrideva, ma anche il suo sorriso era velato di tristezza. «Sono felice per te e per tua figlia. Sarà una grande gioia per lei scoprire di avere un padre che l'ha cercata con tanta determinazione, che l'ha desiderata così disperatamente.» Il suo sguardo vagava fuori, ma Rolk si rese conto che non guardava nulla in particolare. «Spesso è difficile essere figli,» continuò Kate. «In un certo senso si è presi in trappola da quello che si riceve. Quasi sempre, naturalmente, i genitori si sforzano di darti amore... forse perfino l'amore assoluto, ma scoprono di non potere. Non ci riescono, semplicemente.»

«Capita a tutti di fallire,» osservò Rolk. «Fa parte della vita.»

«Eppure non dovrebbe essere così, non credi?» Finalmente riuscì a sorridere. «Ma tu ce la farai,» disse. «Io lo so.»

 

Devlin sedette alla scrivania, senza più preoccuparsi del disordine che avrebbe lasciato, ed esaminò velocemente il materiale. Oggetti che erano stati nascosti, che dovevano essere nascosti, e che ora spuntavano fuori, per completare finalmente il quadro. Trovò tre fogli, su ciascuno dei quali erano riportate versioni appena diverse del secondo messaggio votivo, e per la prima volta si rese conto della cura estrema con cui erano stati stilati, dell'importanza che avevano rivestito per la persona che ne era l'autrice. C'erano poi copie di lettere, alcune lunghe e confuse, altre succinte che andavano dritto al punto, come se a concepirle fossero state due intelligenze diverse... una lucida e razionale, l'altra ammalata e tortuosa.

Rimise a posto le lettere e cominciò a frugare nei cassetti. Nell'ultimo a destra trovò quello che stava cercando. Allora richiuse e si alzò. Il braccio gli doleva, ma non poteva farci niente, non prima di avere portato a termine quello per cui era venuto.

Passò in camera da letto e cominciò a perquisirla con la metodicità acquisita in tanti anni nella polizia. Cercò in tutti i posti meno owii, poi passò ai cassetti e agli scaffali. Tutto sembrava in ordine e anche lì tutto era stato pulito e lustrato e spolverato. Gli venne in mente una donna anziana che conosceva da ragazzino e che passava la vita a pulire la propria casa, senza tralasciare neppure un angolino. Una volta gliene aveva chiesto il motivo e lei gli aveva risposto che temeva di morire improvvisamente e non voleva che qualcuno la ricordasse come una cattiva massaia. Ora Devlin si chiese se quell'ordine non fosse dovuto a un motivo analogo. O si trattava di altro? Rientrava forse nei preparativi di un evento anticipato?

Andò all'armadio e lo aprì. Per qualche istante ne esaminò il contenuto, poi lo richiuse. Il dolore al braccio era aumentato ancora e sembrava intensificarsi a ogni respiro. Gli restava solo un posto da perquisire, poi avrebbe finito. E allora avrebbe dovuto decidere che cosa fare e come.

 

Indugiarono a lungo sul caffè, ed esaurito l'argomento della figlia di Rolk la conversazione continuò ad aggirarsi sugli avvenimenti di quegli ultimi giorni.

«Mi sembra impossibile che Grace e Malcolm non ci siano più,» sospirò Kate. «E inoltre uccisi secondo un rito che per anni hanno studiato e tentato di comprendere. Mi chiedo se abbiano capito quello che stava accadendo. Alla fine, voglio dire.»

«Credo che siano stati gli unici, tra le vìttime, a capirlo,» mormorò Rolk.

«Naturalmente.» Kate sollevò di scatto la testa. «Eppure no. Anche la Gault deve avere capito, se davvero ha partecipato alla mia conferenza.»

Rolk assentì. «Quasi non vedo l'ora che cominci il processo.»

«Perché?»

«Sarà affascinante studiare la strategia della difesa, soprattutto se verrà scartata l'ipotesi dell'infennità mentale.»

«E come potrebbe essere altrimenti? Se Caliento era un fedele e stava semplicemente praticando un rituale della sua religione, non può trattarsi di pazzia.»

Rolk sorrise. «Proprio quello che intendevo dire. Una difesa che definisca le uccisioni non omicidi brutali e insensati, ma atti di amore e di rispetto, ispirati da una fede religiosa.» Sorseggiò il caffè, senza staccare gli occhi dal viso di Kate. «Lo metteranno in carcere, naturalmente. Quale giuria potrebbe capire o accettare una simile argomentazione? Ma il dibattito che scatenerà...» Scosse la testa e non concluse la frase.

«Ovviamente i giornali si sono già impadroniti dell'idea,» riprese dopo un breve silenzio. «E credo che si attaccheranno a questa versione.»

«Perché?»

«È una storia troppo interessante per poterla ignorare, e parlo soprattutto dei giornali che puntano sul sensazionale. Ma, chissà, forse potrebbe anche accendere la fantasia di qualche redattore del
Times
,
e in questo caso non è escluso che se ne occupi anche qualche specialista.» Si chinò su di lei, abbassando la voce. «Potrebbero addirittura chiedere
a te
di scrivere un pezzo.»

Kate non sorrise alla battuta. «Tutto considerato, non credo di potermi definire un osservatore obiettivo.»

Rolk fece cenno al cameriere di riempire di nuovo le tazze. «No, immagino di no. Ma continuo a sperare che qualcuno ne scriva. Ho passato buona parte della mia vita a studiare tutti gli infiniti aspetti dell'omicidio, motivi, metodi e così via. L'idea di un omicidio come atto d'amore, come qualcosa non da nascondere, ma da celebrare... Be', sarebbe una lettura affascinante.»

Kate tamburellava con le dita sul tavolo con aria meditabonda. «Ma come tu stesso hai detto, nessuno potrebbe accettare un'ipotesi simile, neppure su un piano squisitamente intellettuale. La gente ha quasi sempre una visione... provinciale delle cose. Tutto quello che non fa parte della sua vita, che non sente parte di sé, rientra nella sfera dell'incomprensibile, del primitivo.» Fece una pausa, poi rise. «Per i newyorkesi perfino la quadriglia è primitiva.»

«A volte mi chiedo...» mormorò Rolk. «Pensa agli sciiti in Medio Oriente e a tutte le altre sette, sono un'infinità, che credono nel suicidio come forma di martirio... credono che un atto di autodistruzione sia il dono più grande che possano fare a se stessi, perché gli garantisce un posto in paradiso.» Sorrise all'idea. «Perché, allora, non offrire la stessa opportunità a qualcun altro? Quale più elevata espressione d'amore si potrebbe concepire?»

Kate annuì senza parlare.

«Credi che sia possibile?»

«Che cosa?» domandò lei, ma i suoi pensieri vagavano lontano.

«Che qualcuno possa uccidere per amore. Non mi riferisco all'eutanasia, ma all'eliminazione di un normale essere umano per offrirgli un bene più grande.»

«O magari salvarlo da un male peggiore,» assentì Kate. «Sì, credo sia possibile che qualcuno la pensi in questo modo e agisca di conseguenza; credo perfino possibile che questa, per lui, sia la forma più alta d'amore.»

Rolk la guardava e notò l'espressione remota dei suoi occhi, come se fosse tornata indietro nel tempo. Molto indietro. Pensò a quello che Moriarty gli aveva detto del padre di lei e si domandò se non stesse rivivendo proprio quella parte del suo passato, nel tentativo di capire quello che fino ad allora non aveva compreso.

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