Ritual (37 page)

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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Ritual
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Seduta sul divano, Kate rileggeva l'incartamento che si era portata a casa, scribacchiando qualche nota sui margini dei fogli, stilando un elenco dei punti che avrebbe dovuto controllare il mattino dopo. Sebbene stanca, si costrinse a tenere gli occhi aperti finché non ebbe finito. Erano le undici e lei era già pronta per coricarsi, con una pesante vestaglia di lana infilata sopra la camicia da notte. Rimise i fogli nella ventiquattrore e si alzò per andare in camera, ma si fermò di colpo, ricordando di non avere controllato la porta d'ingresso. Camminava a fatica, tutti i pensieri concentrati sul letto, sul suo bisogno di una lunga notte di sonno ristoratore. Allungò la mano verso la maniglia e si immobilizzò, gli occhi fissi sulla macchia che deturpava la moquette beige: sembrava che qualcosa fosse filtrato da sotto la porta.

Era perplessa. La macchia non c'era quando Paul Devlin l'aveva accompagnata a casa, nel tardo pomeriggio. Ne era assolutamente certa, perché non poteva credere che fosse sfuggita a entrambi.

A provocarla doveva essere stato un liquido denso e scuro, come se qualcuno avesse versato dello sciroppo nell'atrio. Sarebbe stata una bella spesa far lavare la moquette, pensò, ma, rifletté poi, probabilmente toccava al condominio provvedere.

Fece per girare la chiave, risoluta a controllare che cosa fosse stato versato nell'atrio, poi esitò e decise di guardare prima attraverso lo spioncino, tanto per essere certa che fuori non ci fosse nessuno. Infine, tranquillizzata, aprì la porta.

Proprio lì davanti qualcuno aveva lasciato una grossa busta di plastica contenente un oggetto piuttosto voluminoso.

Kate si chinò per vedere meglio e di colpo si irrigidì, con gli occhi fuori delle orbite per il terrore. Perché nella busta di plastica c'era la testa di Grace Mallory, gli occhi e la bocca spalancati in un grido di avvertimento che lei non avrebbe mai più udito.

Indietreggiò barcollando, inciampò e cadde, e arrancò via, carponi. Il suo primo grido riempì l'appartamento e rimbombò per tutto l'atrio. Continuò a urlare, accovacciata per terra, gli occhi fissi sulla busta di plastica, su quell'inconcepibile orrore che sembrava ricambiare il suo sguardo.

 

Rolk e Peters erano già sul luogo con la squadra della Scientifica e il sempre presente Jerry Feldman quando Devlin arrivò.

Andò direttamente da Rolk. «Kate dov'è?» domandò, un'espressione ansiosa negli occhi.

Il tenente alzò di scatto la testa e nel suo sguardo passò un lampo d'irritazione. Lo disturbava che chiamasse Kate per nome. «In camera,» rispose con voce fredda. «Era ancora in piena crisi isterica quando siamo arrivati e un medico che abita nel palazzo le ha somministrato un sedativo.»

Devlin si voltò a guardare la testa che Jerry Feldman stava esaminando. «È stata lei a trovare quella cosa?» chiese, del tutto superfluamente.

Rolk gli scoccò un'altra occhiata irosa. «
Quella cosa
fino a poche ore fa era Grace Mallory, nel caso t'interessi saperlo. Due agenti hanno trovato quello che restava di lei nel laboratorio antropologico del museo.»

Ma Devlin, lo sguardo fisso su quei poveri resti, ignorò il rimbrotto. «Come diavolo ha fatto ad arrivare fin qui? Non c'era un'autopattuglia di sorveglianza qua fuori?»

«Pensiamo che sia passato per il garage,» intervenne Bernie Peters. Stava guardando Devlin attentamente, sorpreso dal suo tono di voce. «E l'autopattuglia si era allontanata per una mezz'oretta. Alle otto e quarantacinque era arrivata una richiesta d'aiuto al 911... fasulla, com'è risultato poi.»

«Fasulla,» ripeté Devlin. «Avrebbero dovuto pensare a questa possibilità.»

«Gesù, Paul,» scattò Peters. «Sai benissimo che nessun poliziotto ignorerà mai una 10-13 nella sua zona. Neppure tu, e neppure io. Quel figlio di puttana li ha fregati ben bene.»

Rolk afferrò Devlin per il braccio e lo pilotò nella piccola cucina. Aveva uno sguardo duro, infelice. «Perché tutto questo interesse, così di colpo?» volle sapere. «Non sei stato proprio tu, pochi giorni fa, a farmi una predica riguardo ai rischi dei coinvolgimenti personali?»

«Io
non
sono coinvolto personalmente. Ma tu mi avevi affidato l'incarico di proteggerla...»

«E di
tenerla d'occhio

lo interruppe Rolk.

«Certo, di tenerla d'occhio. Per questo voglio essere sicuro che nessuno combini guai.» Tacque per qualche istante. «Ma se la cosa ti dà fastidio, puoi passare l'incarico a qualcun altro.»

Rolk lo fissò rabbioso, poi si voltò di scatto. «Non mi dà alcun fastidio,» biascicò mentre tornava di là.

Gli inservienti della morgue avevano già provveduto a infilare la testa in un sacco di plastica nera. Seduto sul divano, Feldman scarabocchiava appunti su un taccuino; Bernie Peters parlava al telefono, ovviamente con qualcuno del museo.

«Stesso metodo?» chiese Rolk a Feldman.

Il medico legale annuì. «Ma molto meno accurato, direi. Ed è questo che mi spaventa.»

«Già, spaventa anche me,» assentì Rolk. «Ho l'impressione che il nostro amico sia arrivato al limite. Dobbiamo sbrigarci a mettergli le mani addosso se non vogliamo scatenare un vero e proprio bagno di sangue.»

Feldman lo fissava. «Uno dei ragazzi della morgue aveva il
Daily News
fresco di stampa,» disse. «Sei andato giù piuttosto duro, eh?»

Un lampo di timore balenò negli occhi di Rolk. «Credi che sia stato questo a farlo infuriare?» volle sapere.

«No.» Feldman scosse la testa. «Dalle condizioni del cadavere, direi che la Mallory è morta prima che l'assassino abbia avuto la possibilità di mettere le mani su un giornale. Ma certo ora è arrivato al capolinea e, considerando il rischio che ha corso stanotte, quegli articoli potrebbero farlo precipitare in un vero e proprio delirio di violenza.»

Rolk si passò una mano sul viso. «Lo scopo era questo,» mormorò, e dalla sua voce trapelò una nota d'incertezza.

Peters concluse la telefonata e si avvicinò ai due. «Quelli della Scientifica si stanno occupando del cadavere, giù al museo,» riferì. «Ma al momento stanno ancora cercando eventuali impronte digitali. Vuoi che li raggiunga?»

Rolk annuì, poi si rivolse a Devlin. «Tu rimani qui a parlare con la dottoressa Silverman, non appena sarà in grado di farlo.»

«Sono qui, tenente.»

Kate Silverman, completamente vestita, era in piedi sulla porta della camera.

«Sta bene?» le domandò Rolk, con un'occhiata dubbiosa al viso pallidissimo di lei, alle occhiaie profonde che le segnavano gli occhi.

«No, ma riesco a stare in piedi. E voglio andare al museo, stamattina.»

Devlin fece per parlare, ma uno sguardo di Rolk lo fermò. «Non glielo consiglio. Ci sarà un bel po' di caos per tutta la giornata e non credo proprio che riuscirebbe a lavorare.»

Ma Kate scosse la testa. «Devo andare. In caso contrario, sarà Malcolm a occuparsi della mostra, e Dio solo sa cosa potrebbe combinare. Certo non quello che Grace voleva. Le devo almeno questo; in questi ultimi anni la mostra è stata tutta la sua vita.» Le lacrime le gonfiarono gli occhi, ma con uno sforzo le ricacciò indietro. «Comunque non ho obiezioni a rispondere alle vostre domande, prima. Qui o al museo.»

Rolk lanciò un'occhiata all'orologio. Erano le 6.45. «Può pensarci Paul, qui a casa sua,» decise alla fine. «Ci vorrà un po' di tempo, e dopo potrà accompagnarla al museo in macchina.»

Kate annuì. «Preparo un po' di caffè,» disse avviandosi in cucina.

«Va bene per te?» domandò Rolk a Devlin.

«Va bene,» assentì lui. Ma c'era una nota di tensione nella sua voce, proprio come in quella del collega.

Peters si avviò verso la porta d'ingresso e Rolk, dopo un'occhiata furtiva alla cucina, lo seguì. Ma con riluttanza, notò Devlin.

Erano seduti l'uno di fronte all'altra al tavolo del cucinotto. All'inizio, mentre gli raccontava come aveva trovato la testa, le mani di Kate tremavano al punto che aveva difficoltà a tenere la tazza, ma ora il tremito era cessato e lei sembrava molto più tranquilla.

«Ha detto di essere preoccupata per quello che può fare Sousi,» disse Devlin, cambiando argomento. «Perché è convinta che voglia assumere il controllo della mostra?»

Kate abbozzò un sorriso. «Ego maschile, puro e semplice. Malcolm si considera l'antropologo più in gamba del museo. E ora che Grace non c'è più sono sicura che ritiene di essere la persona adatta a prendere il suo posto.»

«Ma lei non la pensa così.»

Per un attimo gli occhi di Kate s'indurirono. «Io ero l'assistente di Grace. Malcolm era soltanto uno dei suoi collaboratori.» Sorrise con una punta d'ironia. «Ma naturalmente la situazione potrebbe cambiare. Al museo lavoriamo nell'ambito di una struttura rigorosamente conservatrice e non è escluso che Malcolm venga nominato conservatore provvisorio.»

«La cosa la preoccupa?» domandò Devlin, comprendendo solo allora che Sousi era un subordinato di Kate. Circostanza che, ne era certo, aveva irritato moltissimo l'antropologo.

«No, non mi preoccupa. Non personalmente, perlomeno. A me interessa lo studio, non la parte amministrativa del lavoro. Ma l'idea che Malcolm possa prendere le redini della situazione... e modificare i progetti di Grace sulla mostra, sì, questo mi preoccupa.»

«Credevo che ci fossero delle divergenze fra lei e la dottoressa Mallory riguardo la mostra.»

«Non sul contenuto,» spiegò Kate. «Mai su quello. Avevamo semplicemente idee diverse sui metodi di promozione. Per Malcolm invece è una questione di contenuto. E quello che è grave è che le sue idee sono sbagliate.»

Devlin si permise un sorrisetto. «Ho l'impressione che Malcolm sarà molto occupato con noi, oggi, e che non avrà tempo per i suoi giochetti di potere.»

«Lei non lo conosce. È sempre a tramare, a complottare. Temo che sia la sua natura.»

E qual è la tua? si chiese Devlin, tornando con il pensiero a Rolk. Guardò Kate con attenzione e pensò che, nonostante la tensione e la stanchezza che le segnavano il viso, era ancora incredibilmente bella. E così maledettamente intelligente. No, non era soltanto questo. Possedeva una mente intellettualmente sofisticata. Non era difficile capire perché Rolk ne era stato attratto.

«Ha detto di essere interessata all'aspetto studio,» riprese. «Che cosa significa questo, in termini di progetti futuri?»

«Lavoro sul campo, se tutto va per il meglio,» rispose Kate. «Speravo, una volta chiusa la mostra, di avere l'approvazione per dei nuovi scavi nello Yucatán. Qualcosa di mio, questa volta. Non una semplice partecipazione al lavoro di qualcun altro.»

Devlin la fissò. «Un programma
davvero
ambizioso,» osservò. «Un simile incarico non comporta normalmente parecchi anni all'estero?»

«Sì, certamente.»

«E questo che ripercussioni avrebbe avuto sulla sua relazione con il tenente Rolk?»

La guardò spalancare gli occhi, poi accennare un sorriso.

«Non sapevo che ne fosse a conoscenza.»

Anche Devlin sorrise e i suoi occhi rimasero calmi, per nulla minacciosi. «Sono un agente, Kate. Non che ci sia voluto molto per scoprire questo piccolo segreto. Ma non ha ancora risposto alla mia domanda.»

La vide serrare le mani e si chiese se non lo facesse per impedirsi di tremare.

«Non c'è alcuna relazione,» disse Kate. «È stato un errore e ora è tutto finito.»

Un'improvvisa ondata di sollievo lo invase e ne fu sorpreso, spingendolo a domandarsi quale ne fosse la vera causa.

«Sono lieto di sentirlo,» mormorò.

«Perché?»

«Diciamo che al dipartimento non ne sarebbero stati felici e che in qualche modo avrebbe potuto danneggiare seriamente la sua carriera. Forse addirittura mandarla a monte.»

«Non me n'ero resa conto,» confessò lei.

«E...» Devlin esitò un istante, poi riprese: «Ha avuto una vita difficile, sa. Sua moglie l'ha abbandonato quindici anni fa, portandosi via la figlioletta di tre anni. Da allora lui non ha mai smesso di cercare la figlia.»

«Sì, me ne ha parlato,» annuì Kate. «E sono davvero addolorata per lui, sul serio.» Il suo sguardo si era fatto triste. «Provavo dei... dei sentimenti molto intensi per lui, e forse li provo ancora. Ma questo vostro lavoro... che vi spinge a dare addosso alle persone, anche alle persone che vi sono care. Non credo che riuscirei a sopportarlo.»

«Sì, è uno degli aspetti più sgradevoli,» ammise Devlin. «Ma al momento quello che soprattutto m'interessa è che non venga ferito.»

«Gli vuole bene, vero?»

«Sì, penso proprio di sì.»

Kate lo fissò in silenzio per qualche istante. «È per questo che vuole che io gli stia lontana?» domandò alla fine.

Mentre ricambiava il suo sguardo senza parlare, Devlin si chiese se fosse proprio quello il motivo.

 

31

 

I
quotidiani erano aperti sul tavolo e sembravano strombazzare a gran voce i grossi titoli di testa. La figura stava china su di essi, con le mani tremanti, la bocca contorta in una smorfia rabbiosa.

Si stanno prendendo gioco di te
,
disse la voce senza suono.
Si stanno prendendo gioco della tua religione e dei tuoi dei.
«Sì,» sibilò la voce, gli occhi ancora fissi sulle parole più orribili di tutte.

 

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