Ritual (33 page)

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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Ritual
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«Maledizione,» bofonchiò, ricordando di avere dimenticato di sostituirla, la sera prima. Estrasse la pistola e uscì nell'atrio, lanciando un'occhiata al corridoio nella speranza di vedere Moriarty. Ma non c'era nessuno.

Fermati qui e aspetta, si disse, poi digrignò i denti, consapevole che una mossa simile non sarebbe servita a nulla. Non devi fare altro che entrare a dare un'occhiata. Niente di più. Il suo pensiero andò alle critiche che avrebbe scatenato se non avesse agito nel modo giusto, se avesse mancato di agire come avrebbe fatto quando era ancora un poliziotto. Tutti capiranno che hai perso il tocco magico, pensò. Che non sei più tagliato per questo lavoro. «Col cavolo che lo diranno,» bisbigliò tra sé mentre attraversava l'atrio e si appiattiva contro la parete di fronte.

Allungò la mano libera verso la maniglia della porta e ancora una volta perlustrò con gli occhi il corridoio. Moriarty non si vedeva.

Lentamente Waters aprì la porta, tenendosi accucciato, la pistola spianata davanti a sé mentre avanzava rapido. La figura era in piedi vicino al lungo tavolo di metallo e gli dava le spalle.

«Non muoverti,» intimò Waters.

Lentamente la testa si volse, uno sguardo fermo abbracciò l'uomo accovacciato, con la pistola in mano.

La guardia si lasciò sfuggire un lungo respiro, poi si alzò, lasciando ricadere il braccio. «Che diavolo sta facendo?» chiese; aveva la fronte imperlata di sudore.

La figura si girò appena; gli tese un fascio di carte.

Waters rinfoderò la pistola e allungò la mano per prenderlo. «Piove?» domandò, notando per la prima volta l'impermeabile di plastica.

«Sì,» rispose la figura con una voce in cui vibrava un sorriso.

Poi si voltò del tutto e solo allora Waters vide la maschera di pietra appesa al collo. Si irrigidì e una paura improvvisa gli artigliò il petto; automaticamente fece per estrarre di nuovo l'arma mentre la mano libera della figura saettava in avanti con sorprendente rapidità.

La lama verde del pugnale affondò nella gola di Waters, recidendo le vene e le arterie. Sangue rosso sgorgò dalla ferita e quasi immediatamente la sua vista cominciò a offuscarsi. La pistola gli cadde di mano e i fogli bianchi che stringeva nell'altra svolazzarono sul pavimento. Rimase in piedi ancora per qualche secondo, i muscoli contratti da spasimi convulsi, finché non cedettero facendolo crollare a terra.

La figura torreggiò su di lui, rimase a osservarlo sobbalzare incontrollabilmente, mentre il getto di sangue andava diminuendo, fino a trasformarsi in bolle rossastre che scoppiavano sulla superficie del profondo squarcio.

Da una tasca dell'impermeabile l'omicida estrasse una seconda maschera di pietra e la posò con cura sul corpo ormai immobile della guardia, poi scavalcò il cadavere e uscì nell'atrio, il pugnale ancora in mano, con la lama rivolta verso il basso che lasciava una scia di goccioline rosse sul pavimento.

 

Rolk stava in piedi accanto al cadavere e vicino a lui c'erano Jerry Feldman e Paul Devlin. La pelle color cacao di Waters aveva assunto una tonalità bruno-grigiastra e gli occhi e la bocca spalancati suggerivano l'idea di un ultimo avvertimento gridato e non udito da alcuno.

«Non avrebbe dovuto trovarsi qui,» disse Rolk, quasi a se stesso. «E se quel maledetto direttore non avesse insistito, non ci sarebbe stato.»

Feldman gli posò una mano sulla spalla, stringendo lievemente. «Non ho mai visto la vittima di un omicidio che non avrebbe potuto trovarsi altrove,» mormorò. «È una delle cose che s'imparano facendo questo lavoro. Succede. E nella maggior parte dei casi nessuno avrebbe potuto fare nulla per impedirlo.»

Rolk guardò fuori della Stanza degli insetti; la porta a molla era stata bloccata in modo da restare socchiusa. Vide Charlie Moriarty seduto nel piccolo ufficio che avevano usato per la sorveglianza, la testa tra le mani, le spalle curve sotto il peso del rimorso. Era stato Moriarty a trovare il corpo, e dopo aver chiamato aiuto si era precipitato dietro le tracce di sangue finché non si erano interrotte bruscamente sulle scale che portavano al seminterrato.

Sono solo andato a fare una pisciata e a prendere un po' di caffè. Gesù, oh, dolce Gesù, non sono stato via più di dieci fottutissimi minuti.

Rolk scacciò dalla mente il ricordo delle parole di Moriarty e si voltò verso Feldman. «Ho bisogno di un lavoro veloce, Jerry. Maledettamente veloce.»

«Lo avrai, Stan.»

Poi Rolk si rivolse a Devlin. «Voglio tutti in ufficio per le nove. E per tutti intendo Sousi, la Mallory, Kate Silverman e quel prete. Ai maya penseremo dopo. Se qualcuno fa storie, trascinatelo lì per le orecchie, facendovi aiutare da qualche agente in uniforme. Chiaro?»

I
suoi pensieri andarono a Kate. Si era addormentata tra le sue braccia solo poche ore prima e ora lui avrebbe voluto risparmiarle questa nuova prova. Ma non poteva.

«D'accordo,» assentì Devlin. «Ci saranno, in un modo o nell'altro.»

«Dove vai tu, Stan?» chiese Feldman.

«Io?» sbuffò Rolk. «Vado dalla moglie di Ezra. Poi farò un salto dal direttore del museo a raccontargli di questa nuova chicca che abbiamo per le mani e a dirgli che cosa possono fare lui e i suoi amici del municipio se non sono soddisfatti.»

 

27

 

Rolk camminava su e giù per il suo ufficio come un animale in gabbia, una sigaretta infilata in un angolo della bocca, gli occhi che scrutavano il pavimento di linoleum come in cerca di qualcosa da schiacciare sotto i piedi.

Seduto sul vecchio divano di pelle, Paul Devlin lo guardava, domandandosi il motivo di quella violenza repressa in un uomo abitualmente tranquillo.

Di colpo Rolk si fermò. «Chiunque sia stato,» ringhiò, «era qualcuno che Ezra non considerava una minaccia, qualcuno con cui ha creduto di potere abbassare la guardia.» Tornò a fissare il pavimento, la testa piegata di lato. «Stamattina ho controllato negli archivi del dipartimento, Ezra era cattolico, quindi con tutta probabilità davanti a un prete avrebbe reagito proprio così. E verosimilmente avrebbe fatto lo stesso con una donna, il che lascia fuori soltanto Sousi.» Scosse la testa. «Ezra gli avrebbe dato un'occhiata e avrebbe pensato che uno così poteva farselo fuori a colazione. Merda!»

Riprese il suo inquieto andirivieni. Si era arrotolato le maniche sopra il gomito e i muscoli degli avambracci guizzavano mentre apriva e chiudeva i pugni. Aveva la cravatta a sghimbescio e non si era rasato. Guardandolo, a Devlin venne in mente un orso con il mal di denti.

«Quei fogli bianchi,» riprese Rolk sollevando un dito. «Erano tutto un trucco, un modo per distrarre Ezra. Soltanto un momento, ma era più che sufficiente.»

«Aveva estratto la pistola,» gli ricordò Devlin.

«Sì, ma non del tutto.»

«Come l'hai stabilito?»

«Sappiamo tutti e due che quando un'arma è nella fondina, il ponte del grilletto rimane coperto, almeno nel tipo di fondina usato da Ezra. Questo significa che quando viene estratta, occorre qualche frazione di secondo per poter infilare il dito nel ponte. È stato allora che l'hanno colpito.»

«Spiegati meglio.»

«A meno che un uomo non venga ucciso all'istante... e Jerry Feldman mi ha assicurato che questa volta non è successo, c'è una reazione automatica. Tu sai che in un poliziotto questa reazione si traduce inevitabilmente nel premere il grilletto, anche quando è troppo mal ridotto per prendere la mira. Invece il dito di Ezra non è neppure arrivato a sfiorare il ponte, il che significa che stava estraendo la pistola quando è stato pugnalato.» S'interruppe, riflettendo. «E questo significa anche che in precedenza l'aveva messa via, perché non sarebbe mai entrato in quella stanza a mani nude.»

«D'accordo, mi sembra accettabile,» annuì Devlin. «Ma perché lui? E perché l'assassino è tornato? Certo deve avere saputo della perquisizione, si sarà reso conto che una mossa del genere sarebbe stata pericolosa.»

«Forse era preoccupato per le teste.»

«No. Se le avesse considerate tanto importanti, le avrebbe tenute con sé.»

«È tornato perché voleva punire qualcuno,» ipotizzò Rolk. «Noi.»

Devlin annuì lentamente, come valutando quella possibilità. «Probabile,» ammise alla fine. «O forse voleva solo dimostrare che il suo potere è tale che nessuno è al sicuro.»

Rolk si lasciò cadere sul divano accanto a lui. «Se è così, allora c'è qualcosa che non capisco. La settimana scorsa ho rifilato una storiella a un giornalista... una storiella piuttosto offensiva per il nostro killer.»

«Sì, ho visto. Immaginavo che dietro ci fossi tu.»

«Pensavo che questo l'avrebbe spinto a uscire allo scoperto, forse addirittura a darci la caccia. O meglio, a darla a me.»

«Una mossa pericolosa,» commentò Devlin.

«Infatti. Ma non ha sortito alcun effetto, contrariamente alle mie previsioni. È una tattica che ha funzionato in passato e avrebbe dovuto funzionare anche ora.»

«Sono d'accordo. Ma forse la risposta è semplice. L'assassino non ha letto quel quotidiano.»

Rolk sbuffò. «Sarebbe una maledetta sfortuna, eh? Se avessi scelto il giornale sbagliato per stanarlo, voglio dire.» Scosse lentamente la testa e si alzò. Con il mento accennò all'ufficio esterno. «Greenspan dovrebbe arrivare a momenti. Poi potremo cominciare.»

 

Prima di passare di là, Rolk si fece la barba e cercò di dare una parvenza d'ordine al suo abbigliamento.
I
quattro indiziati erano sparpagliati per la stanza e parevano tutti piuttosto inquieti... tutti tranne Kate Silverman, che parlava a voce bassa con Paul Devlin. Nathan Greenspan si ritirò in attesa nell'ufficio di Rolk.

Rolk aveva pensato di interrogare gli uomini per primi, ma in quel momento si rese conto di voler soprattutto separare Devlin da Kate. Lei non avrebbe mai capito quello che stava per farle; non era sicuro di capirlo neppure lui stesso. Sarebbe rimasta ferita, scioccata, e lui poteva solo sperare di riuscire a spiegarle tutto in seguito, di farle comprendere che non aveva potuto evitarlo. Oppure sì? E se fosse emerso qualcosa che la accusava, se non avesse resistito alla pressione? Ma non c'era nulla che potesse fare per evitare il rischio. Non in quel momento. Né mai.

«Dottoressa Silverman,» chiamò con voce irosa. «Vuole accomodarsi, per favore?»

Kate sedette tranquilla sulla sedia metallica destinata ai visitatori. Alle spalle di Rolk c'era il dottor Greenspan; dalla sua pipa si levavano dense volute di fumo grigio-blu. Venne presentato semplicemente con il suo nome, senza alcun accenno alla sua qualifica di psichiatra. Solo un altro poliziotto, perché così era più comodo e nessuno si sarebbe impensierito, aveva deciso Rolk.

Posò i gomiti sulla scrivania; aveva gli occhi cerchiati e stanchi, ma quando si protese in avanti sul suo viso c'era un'espressione spietata. «Mi dica, dottoressa Silverman,» cominciò con voce gelida, «che effetto le farebbe tagliare la testa a qualcuno?»

Kate si irrigidì, la sua bocca si spalancò in un oh sorpreso. «Mio Dio, ma di che cosa sta parlando?» domandò, tornando istintivamente al lei. «È una cosa a cui non ho mai pensato.» Lo fissava, incredula e ferita.

«Neppure da quando sono cominciati gli omicidi?» insistette Rolk.

«Naturalmente no. Perché avrei dovuto?»

«Io l'ho fatto. Credo che sia logico. Si sente parlare di un episodio particolarmente macabro e ci si chiede che sensazione debba provocare.»

«Be', a me non succede, tenente.» Kate sottolineò quell'ultima parola nella speranza di urtarlo, di fargli capire che si stava comportando nel modo sbagliato. Non poteva fare così. Non dopo il Messico. Non dopo quella notte. Avrebbe voluto ricambiare lo sguardo duro di lui, farlo sentire a disagio proprio come si sentiva lei. «Fa parte del suo lavoro pensare in questi termini, ma non del mio.» Aveva creduto di parlare in tono irato, ma la sua voce suonò semplicemente sorpresa e ferita.

«Ha mai ucciso un essere vivente, dottoressa? Un animale?»

«No,
tenente.
A meno che non voglia considerare ragni e zanzare.»

Rolk si limitò a un grugnito. «Il suo lavoro le dà sicurezza, dottoressa? Le piace la gente che collabora con lei?»

Quel repentino cambiamento sconcertò Kate. «Mah, sì,» rispose un po' esitante. «Anche se credo di non averci mai pensato seriamente. Capisce, mi concentro sul lavoro. È questa la cosa importante.»

«Ci tiene molto, eh?»

«Certamente. È per questo che l'ho scelto.»

«Quindi la sconvolgerebbe se qualcuno minacciasse in qualche modo il suo lavoro? O le sue idee su come dev'essere svolto?»

«Le divergenze professionali non sono certo rare. Ma non si uccide per questo.»

«È un'esperta di omicidi?»

Kate parve momentaneamente turbata. «Be', no, naturalmente no. Ma sono sicura che ci vorrebbe molto di più che...»

Rolk non la lasciò finire. «La gente a volte si uccide per una parola scortese, signorina. Quindi, per piacere, non venga a dirmi che cosa ci vuole per arrivare all'omicidio.» La vide irrigidirsi, sempre più confusa. «Mi parli della sua famiglia,» riprese. «Suo padre e sua madre l'hanno mai picchiata? Ha avuto qualche insegnante particolarmente duro?»

Quella nuova, brusca sterzata nell'interrogatorio colse Kate di sorpresa. «Non... non sono sicura di capire che cosa intende dire.»

«Non mi racconti storie,» scattò Rolk. «Nessuno l'ha mai maltrattata?»

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