Ritual (41 page)

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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Ritual
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Passò nel bagno. Era sporco e vi aleggiava un odore stagnante di urina; i sanitari erano vecchi, trasandati e macchiati di ruggine. Tornò in soggiorno. C'era sangue sulle labbra di Caliento, ma lui lo ignorò. Guardò invece Moriarty, in piedi accanto alla porta. «Fruga questa stanza mentre io controllo la camera da letto,» disse mentre prendeva mentalmente nota di scoprire chi avesse affittato quel porcile per Caliento. Se era stato il prete, avrebbe dovuto prendere provvedimenti, si disse. Nel suo accordo con l'arcidiocesi non era compresa la protezione di chi nascondeva un assassino di poliziotti.

Dalla camera sentiva Lopez che interrogava il maya, la sua voce che si faceva sempre più minacciosa. Un altro pugno, un terzo. Caliento non avrebbe resistito ancora molto prima di spifferare tutto.

Afferrò per il bordo un vecchio materasso, lo sollevò e rimase a fissare la rete semisfondata.

Tornò in soggiorno, le mani dietro la schiena, ondeggiando avanti e indietro sui talloni. «Allora?» domandò.

Lopez, che teneva Caliento per il davanti della camicia, si voltò verso di lui. «Dice che ha partecipato ai riti, ma solo nello Yucatán, mai qui. Dice che è rimasto in casa tutto il giorno, da solo. Si nascondeva perché sapeva che lo stavamo cercando. Dice che è stato il prete ad avvertirlo e che aveva paura.»

«E tu gli credi?»

«Mai più,» ringhiò Lopez.

«Fai bene,» approvò lui calmo, scostando le braccia dal corpo.

Lopez lo guardò, poi abbassò gli occhi sulle buste di plastica che Rolk teneva in mano: la prima conteneva un'ascia di bronzo, la seconda un pugnale dalla lama verde.

«Sotto il materasso,» spiegò il tenente. «Non molto originale come nascondiglio, ma così li aveva sempre a portata di mano.»

«C'è sangue sopra?» volle sapere Lopez.

«Sì, c'è. E direi che è il sangue di Paul Devlin.»

Lopez si volse a fissare Caliento negli occhi. Poi serrò la mano a pugno e la calò ancora una volta sul viso dell'uomo.

 

35

 

Passarono due giorni prima che i medici permettessero a Paul Devlin di ricevere visite. Quando Rolk fece il suo ingresso nella stanza privata del Bellevue Hospital, Devlin gli indirizzò un sorriso debole; semintontito dai farmaci, non notò l'elegante vestito su misura e la cravatta regimental che l'amico indossava.

Rolk sedette sul bordo del letto e posò sul comodino una scatola di cioccolatini. «Tienila d'occhio,» disse. «Quelle maledette infermiere rubano.» Poi si chinò ad allungargli un colpetto sulla spalla sana. «Come va oggi?»

«Basta guardarmi per capirlo,» brontolò Devlin.
«I
medici non sanno ancora se riuscirò a recuperare interamente l'uso del braccio. In altre parole, non sanno se potrò restare nella polizia.» Scosse la testa. «Ma che diavolo! Mi beccherò la pensione per invalidità e non dovrò più preoccuparmi di pazzi vestiti di piume che mi inseguono per pugnalarmi.» Rise debolmente. «Cristo, pensavo che certe cose capitassero solo ai poliziotti che lavorano al Greenwich Village.»

Rolk grugnì e si guardò le mani, sforzandosi di soffocare l'amarezza. «Andrà tutto bene. Il dipartimento ti darà il tempo necessario per riprenderti.» Ammiccò. «In caso contrario, pare che al Queens i tappezzieri con un braccio solo siano molto richiesti.»

Devlin rise piano e si allungò a stringere la mano del compagno. «Grazie,» mormorò con voce soffocata. «Ma ora raccontami quello che è successo. Con tutte quelle dannate medicine che mi facevano ingoiare ero così intontito che non ho visto neppure un giornale.»

Rolk si strinse nelle spalle. «Caliento ha confessato. Abbiamo dovuto fare un po' di opera di persuasione, ma alla fine si è deciso.»

«Chi era il suo complice?»

«Domingo. Ma soltanto in quanto gli permetteva di entrare e uscire dal museo. Apparentemente Caliento lo aveva spaventato a morte e lui non osava disobbedirgli.»

«Il prete?»

«Caliento non ha voluto parlarne. E l'arcidiocesi l'ha spedito in non so quale casa di cura, parecchio lontano da New York. Nessuno riuscirà a mettergli le mani addosso per molto, molto tempo.» Alzò le spalle. «Ma ora questo è un problema del procuratore distrettuale, perché è così
che
funziona il gioco. È sempre stato così e sempre sarà.»

«A quanto pare mi ero sbagliato di grosso,» mormorò Devlin. C'era un'espressione perplessa nei suoi occhi.

«In che senso?» volle sapere Rolk.

«Il fatto è che mi sembrava così piccolo. Quando Lopez e io l'abbiamo interrogato, ricordo di aver pensato che era proprio basso. Ma il tizio che mi ha colpito l'altro giorno era più grosso, più pesante.»

«Perché portava quel mantello piumato. E il colletto alto e la maschera. Era il travestimento a renderlo tanto imponente.»

Devlin annuì con aria distratta. «Immagino di sì.» Spostò gli occhi sulla finestra, immerso in chissà quale riflessione, poi tornò a guardare Rolk. «Ha detto perché ha ucciso Sousi? Ecco un'altra cosa che proprio non riesco a immaginare.»

«Si è semplicemente trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato,» spiegò Rolk. «Come te.»

Ancora una volta Devlin assentì, ma la sua mente era lontana. «Sai,» disse alla fine, «per parecchio sono stato quasi certo che fosse Kate Silverman. Magari con qualcuno ad aiutarla, a coprirla.»

«Non quadrava.»

«Sì, alla fine me ne sono reso conto anch'io. Un po' troppo tardi, però.»

Rolk lo guardò sogghignando. «Forse stavi cominciando a innamorarti di lei. Ci hai pensato?»

«Ci ho pensato, e forse era proprio così. Come sta? Che progetti ha?»

«Resterà al museo, immagino.» Il sorriso di Rolk era insolitamente pieno di calore. «A meno che io non riesca a convincerla a fare diversamente.»

Devlin scoppiò a ridere. «Dovrò mandarle un biglietto di condoglianze, se deciderà di accettare la tua offerta. Poveretta. Mettersi con un tenente della Omicidi che passa metà delle sue notti in ufficio.»

«Non ce le passerò più,» annunciò Rolk, e guardò la perplessità sul viso dell'amico trasformarsi in comprensione.

«L'hai fatto? Vuoi dire che l'hai fatto davvero?»

«Ho dato le dimissioni oggi. Ufficialmente sono già in pensione. Le ho consegnate direttamente nelle mani di Jim Dunne. Mai visto quel bastardo più felice.»

Devlin rise. «Cristo, avrei voluto vedere la faccia di quel figlio di puttana.»

«Attento a come parli. Probabilmente un giorno o l'altro sarà capo del dipartimento. Forse addirittura comandante della polizia. Ha tutte le qualifiche necessarie.»

«Dimmi una cosa,» lo sollecitò Devlin. «Che cosa ti ha fatto decidere? Kate?»

Rolk si batté una mano sul taschino della giacca. «Un paio di giorni fa ho ricevuto una lettera da un investigatore privato che avevo ingaggiato un anno fa. Ha trovato mia figlia. A Seattle, pensa un po'. Ci vado domani.»

«Stan, ma è fantastico. Dio, non avrei mai pensato che potesse accadere sul serio. Ero convinto che stessi sprecando il tuo tempo, ma non avevo il coraggio di dirtelo.» Gli strinse la mano con affetto. «Quando me la farai conoscere?»

Rolk spostò oziosamente lo sguardo verso la finestra. «Quando torneremo. Cioè, se le cose tra noi funzionano.» Sorrise, un sorriso timoroso, pensò Devlin. «Ma chissà, forse sarò io a decidere di trasferirmi là. Vedremo.»

«Funzionerà,» gli assicurò Devlin, commosso. «E se dovessi decidere di andare a vivere a Seattle, uno di questi giorni salirò su un aereo e verrò a trovarti.»

Rolk gli sorrise. Sapeva che Devlin non l'avrebbe mai fatto. Dopotutto, aveva una figlia a cui pensare. Ma era contento che l'avesse detto.

Per lui era importante.

 

Rose Delacroix era seduta al tavolo di cucina quando Rolk entrò e il consueto disagio che provava nel vederlo si trasformò in sorpresa quando si accorse dei suoi nuovi vestiti.

«Madre di Dio,» ansimò. «Non dirmi che finalmente ti sei deciso a buttare via i tuoi stracci.»

«Ho comperato tre vestiti nuovi,» la informò lui mentre si sedeva. «E anche un paio di giacche e di pantaloni sportivi.»

«Non ci credo. Perché diavolo l'hai fatto?»

«Sono andato in pensione. E questa è la mia nuova immagine.»

«In pensione? Non credo neanche a questo.»

«È vero, invece. Ora non dovrai più temere che faccia circolare la voce sulla tua piccola attività di allibratore.»

«Mai avuto paura,» dichiarò lei. «È solo che mio marito mi ha insegnato a stare sempre sul chi vive quando c'è un poliziotto nei paraggi.»

«Probabilmente è questo che l'ha ammazzato. Troppa tensione.»

«Tu sai com'è morto.» replicò la donna, e c'era una nota tagliente nella sua voce. «Sei stato tu a condurre le indagini.» Lo fissò. «Ma non hai mai trovato il bastardo che l'ha fatto fuori.»

«Era un professionista. E non si beccano i professionisti. Ecco perché li chiamiamo così.»

Rose si versò da bere, ma non ne offrì a Rolk. Non era più un poliziotto, quindi che obblighi aveva? «Allora, che cosa ti ha spinto alle dimissioni?» chiese alla fine.

Rolk estrasse dal taschino la lettera ricevuta due giorni prima, ormai spiegazzata e sciupata dalle molte letture, e gliela porse.

Lei la scorse in fretta, poi sollevò la testa. «Così,» osservò, «alla fine l'hai trovata.»

«L'ha trovata un investigatore che avevo assunto perché seguisse delle tracce che non potevo controllare di persona.»

Rolk abbassò gli occhi sulla lettera, scritta a mano. «Che razza d'investigatore. Non ha nemmeno una macchina per scrivere.»

«Ma ha fatto il suo lavoro. Chissà, forse scrive a mano perché ama il tocco personale.»

Sorrise e Rose si rese conto che era la prima volta che lo vedeva sorridere. Prese un bicchiere e gli versò da bere. «Come sta il tuo socio, Devlin?
I
giornali non sono molto incoraggianti.»

«È al Bellevue, adesso. Ma si riprenderà.»

Lei pensava ancora alla lettera. «Seattle,» mormorò. «Ci vai?»

«Domani.»

«Sono contenta per te, Rolk. Eri un poliziotto... e i poliziotti non mi piacciono granché, ma non hai mai rinunciato a cercare tua figlia. Questo devo riconoscerlo.»

Rolk sorseggiava il drink, gli occhi fissi sul tavolo.

«Non hai un indirizzo?» gli chiese ancora lei. «Mi piacerebbe mandare qualcosa alla ragazza. Forse le farà piacere sapere che c'è qualcuno che tifa per voi due.»

Rolk prese il suo vecchio taccuino e scrisse l'indirizzo. Lasciò cadere il foglietto sul tavolo.

Rose lo fissò per parecchi istanti, poi alzò gli occhi su di lui.

Rolk riprese la lettera e si alzò per andarsene. «Ci vediamo, Rose. E grazie per il pensiero. Per mia figlia, voglio dire. Chissà, forse sarà di qualche aiuto.»

Lei lo guardò andare via, poi si portò il bicchiere alle labbra. La mano le tremava.

 

Devlin riattaccò e rimase a fissare la parete davanti a sé, senza vederla. Non si mosse quando Nathan Greenspan entrò nella stanza e parve accorgersi di lui solo quando lo psichiatra gli toccò il braccio.

«Tutto bene, Paul?» Il viso del medico esprimeva preoccupazione professionale mentre si chinava a guardarlo negli occhi. «Le hanno somministrato qualcosa?»

Con uno sforzo Devlin mise a fuoco la figura piccola e grassoccia dello psichiatra. Buttò le gambe fuori del letto e una smorfia di dolore gli attraversò il viso. «No, sto bene.»

Greenspan gli posò una mano sulla spalla. «Forse non dovrebbe alzarsi.»

Ma il ferito si limitò a scrollarsi la mano di dosso e inspirò profondamente, in attesa che il dolore passasse.

«Che cosa ne pensa di questo caso? Di Caliento?» Nella sua voce c'era una nota d'urgenza che stupì lo psichiatra.

Esitò, come incerto sulla risposta da dare. «Perché me lo chiede?»

«Non voglio parlarne, non ancora. Vorrei solo che mi dicesse che cosa ne pensa
lei.
»

Greenspan si voltò, fece qualche passo, tornò a guardarlo. «Difficile da dire. Non ho avuto la possibilità di parlare con l'imputato, e comunque perché avrei dovuto farlo? C'erano tutte le prove necessarie, e naturalmente la sua confessione.»

«Ma si sarà pur fatto un'opinione,» insistette Devlin.

«Be', non rientra nello schema che avevo abbozzato all'inizio delle indagini. Qualche trauma nel passato... soprattutto se a sfondo religioso... o una violenza, o forse una perdita molto grave che ha scatenato una reazione psicopatica... era questo che mi aspettavo, più o meno.» S'interruppe scuotendo la testa. «Ma il resto quadra, Paul. Una religione strana, oscura, trapiantata in una cultura completamente diversa...»

«Maledizione,» lo interruppe Devlin. «Non può piantarla con queste stronzate e dirmi semplicemente che cosa
ne
pensa
?
»

Greenspan sbatté le palpebre ed esitò, ma poi preferì trincerarsi dietro la sua professione. «Perché non mi dice che cosa ne pensa
lei
,
Paul? Così forse capirò a che cosa sta mirando.»

Con un gesto carico di frustrazione, Devlin sollevò il ricevitore del telefono e compose il numero di Charlie Moriarty.

«Sì, sto bene, Charlie. Dovrò stare a riposo ancora un mese, poi controlleranno di nuovo il braccio e se tutto è a posto tornerò al lavoro.» Per qualche istante ascoltò il collega parlare dell'ultimo pettegolezzo d'ufficio, le dimissioni di Rolk e l'incerta identità del loro nuovo capo, poi, un po' spazientito, lo interruppe. «Ascolta, Charlie, ho bisogno di qualche informazione. Quei controlli che avevi fatto per il caso Caliento... era saltato fuori qualcosa?»

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