Ritual (43 page)

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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Ritual
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«Anche tu devi avere sperimentato qualcosa del genere,» disse.

Lei sollevò la testa di scatto e lo guardò con un'espressione quasi spaventata. «Perché dici questo?»

«Be', eri l'obiettivo principale del rito, il sacrificio supremo. Ed era un rito che tu conoscevi e comprendevi. Sapevi che qualcuno voleva ucciderti non perché ti odiava, ma per amore. Tutto questo deve averti fatto un'impressione ben strana.»

Ancora una volta lei annuì con aria assente. «Sì, molto strana.» Scosse la testa, come per allontanare dei ricordi dolorosi, e lo guardò con un debole sorriso. «Mi terrorizzava, naturalmente, ma era anche affascinante. Da un punto di vista intellettuale, perlomeno. Continuavo a chiedermi perché qualcuno dovesse considerarmi così speciale, perché qualcuno... qualcuno che credeva
davvero
,
mi giudicasse degna. Poi naturalmente ho cominciato a spaventarmi, ma non riuscivo a smettere di pensarci.» Chiuse gli occhi per un istante e il suo viso si fece serio. «Grazie al cielo tu hai messo fine a tutto questo. Hai fermato il rito.»

«Sì,» disse Rolk. «Alla fine l'ho fermato.»

 

A differenza delle altre, l'ultima stanza che Devlin perquisì era polverosa e disordinata, una sorta di deposito con scatoloni impilati negli angoli, casse di libri e di vestiti e vecchi giornali mescolate a lampade scartate, a sedie e ad altri oggetti inutilizzati da tempo, molti dei quali estremamente vecchi. Forse i resti di un'eredità, pensò. Cianfrusaglie inutili, ma che tuttavia non si potevano gettare.

Cominciò a spostare le pile di scatole cercando di ignorare le fitte di dolore al braccio. Aveva la fronte imperlata di sudore, più per la sofferenza che per la fatica, e respirava con affanno.

Spostò un'ultima fila di scatoloni e rimase a guardare il lungo contenitore metallico fino a quel momento rimasto nascosto. Ne aveva visti di simili al museo, sigillati ermeticamente a protezione di manufatti antichi e fragilissimi. Si inginocchiò e cominciò ad armeggiare con le serrature, finché il sigillo si ruppe e ne uscì una folata di aria putrida.

Sollevò lentamente il coperchio e orripilato rimase a fissarne il contenuto. Un'ondata di nausea lo sopraffece e cadde all'indietro sugli scatoloni, rovesciandoli. Poi voltò la testa e cominciò a vomitare.

 

Uscirono in Columbus Avenue, rabbrividendo nell'aria frizzante. Con un sorriso, Kate prese Rolk sottobraccio.

«Ora che hai dato le dimissioni, potremo finalmente farci vedere insieme,» disse. «Non potranno più accusarti di fartela con una testimone, giusto?»

«No, infatti. A condizione che tu abbia più di sedici anni.»

L'idea la fece ridere. «Ne ho dodici di più. Un margine sufficiente a escludere qualunque errore.»

Si incamminarono lentamente lungo il marciapiede, ignari della gente che si affrettava intorno a loro, assorbiti dal piacere della reciproca compagnia. Neppure il freddo pungente aveva il potere di disturbarli.

Kate si strinse un po' di più al fianco di Rolk. «Non mi hai detto che abiti da queste parti?»

«A circa due isolati da qui.»

«Mi piacerebbe vedere la tua casa. Non me ne hai mai parlato, e questa forse è l'ultima possibilità che ho di visitarla.»

«Perché dici questo?» volle sapere lui.

«Be', se non tornerai da Seattle...»

Rolk la guardò con aria strana. «Certo che tornerò. Tutto quello che mi appartiene è qui, come potrei abbandonarlo?» La sua espressione mutò di colpo e sorrise. «In realtà stavo per proportelo io. Mi hai soltanto preceduto.»

«In questo caso preferirei avere aspettato.»

«Perché?»

«Sarebbe stato più giusto se fossi stato tu a invitarmi.»

Il sorriso di lui si fece più ampio. «Tu sei abbastanza giusta per me. Anzi, sei perfetta.»

 

Seduto sul pavimento, Devlin lottava contro la nausea e il crescente dolore al braccio. Era riuscito a chiudere la cassa, ma ora doveva muoversi, e in fretta. Doveva andare al museo e trovare Kate. E doveva riuscirci prima che lei andasse da Rolk.

 

Kate piroettò su se stessa, come a voler abbracciare con un unico sguardo il soggiorno e la zona pranzo. «Ma è delizioso,» esclamò con una certa sorpresa. «Mi vergogno di confessare che mi aspettavo qualcosa di molto più trasandato, più consono all'idea che mi ero fatta del poliziotto scapolo.»

«Ecco che affiorano i cliché di cui parlavamo a pranzo,» sorrise Rolk.

Anche lei sorrise, inarcando le sopracciglia in un'espressione di resa scherzosa. Era deliziosa e sembrava estremamente fragile mentre posava la ventiquattrore sul tavolo da caffè e si avvicinava alla libreria.

Quando si voltò a guardarlo, i suoi occhi splendevano di piacere. «Non mi aspettavo neppure questo,» disse. «Pensavo che i tuoi libri trattassero soprattutto di omicidi. Ma a quanto pare hai dei gusti molto eclettici.»

Rolk si avvicinò a una sedia a schienale alto e vi appoggiò le braccia. «Alcuni erano di mia moglie,» spiegò. «Ma li ho letti anch'io.» Per un attimo abbassò gli occhi a terra. «Capisci, era una donna molto colta. Laureata in storia dell'arte. Ha lavorato presso il tuo museo finché non mi ha lasciato.»

La notizia colse Kate di sorpresa. «Ma... possibile che nessuno abbia riconosciuto il tuo cognome? Grace, oppure...»

«Non usava il mio cognome, ma il suo da nubile. Diceva che professionalmente era più adeguato.» Parlando, evitava con cura di guardarla. «Credo che si vergognasse un po' della mia mancanza di istruzione. Soprattutto quando eravamo con i suoi collaboratori.» Ebbe un sorriso amaro. «Non partecipavamo mai ai ricevimenti e ai convegni organizzati dal museo, almeno non insieme. Poi scoppiò il caso della Stella d'India, quando il famoso gioiello venne rubato dal museo.»

«Sì, ne ho sentito parlare.» Kate avrebbe voluto che non ci fosse quella stupida sedia tra di loro, in modo da poterglisi avvicinare.

«Be', io allora ero nella Antirapine e il caso venne assegnato a me. Da allora andai al museo ogni giorno finché le indagini non si conclusero.» Si strinse nelle spalle. «Fu poco dopo che lei decidesse di lasciarmi.»

«Mi dispiace,» sospirò Kate. «Ne conosco, di persone così. Sfortunatamente il mondo accademico ne è pieno.» Fece un passo verso di lui. «Ma ora hai trovato tua figlia e tutto sarà diverso.» Si guardò intorno, alla ricerca di qualcosa che l'aiutasse a cambiare argomento, che li mettesse entrambi a proprio agio. Voleva vederlo tranquillo, voleva vederlo felice, rilassato. «Mi piacerebbe visitare il resto dell'appartamento,» suggerì. «O occupi tutta la casa?»

«No. Per me ho tenuto solo l'appartamento doppio. Ce ne sono altri due al terzo e al quarto piano, che ho affittato. Comunque non c'è molto da vedere.» Indicò la porta alle sue spalle. «Quella dà sulla cucina. Semplice, ma adeguata.» Si voltò verso il corridoio. «Per di là si va nel seminterrato e le scale portano alle due camere da letto. Una è mia, l'altra è di mia figlia.»

 

Devlin uscì di corsa dal Museo di Storia Naturale, il viso pallido e teso, la paura che gli dilaniava le viscere. Kate se n'era già andata, e se n'era andata con Rolk.

Fermo sul marciapiede, si accorse che le mani gli tremavano. Doveva trovarla prima che fosse troppo tardi, e questo significava che non poteva più agire da solo. Aveva bisogno di aiuto. Si precipitò a un telefono pubblico e in fretta compose il numero di Charlie Moriarty. L'angoscia che gli serrava lo stomaco aumentava di secondo in secondo.

 

Kate ascoltava Rolk che le parlava di sua figlia, degli anni passati a cercarla, impietosita dalla tristezza profonda che leggeva sul suo viso. Gli si fece più vicino, sorridendo; sapeva di dover fare qualcosa per disperdere quella sofferenza. Voleva aiutarlo a dimenticare il passato e a pensare soltanto alla gioia che lo attendeva, alla gioia che lei gli avrebbe regalato.

Gli accarezzò la guancia. «Sei un uomo magnifico,» sussurrò. «Ma non credo che tu te ne renda conto, e questo rende tutto ancora più perfetto.» Lo guardò ricambiare il suo sorriso, con una luce nuova negli occhi. Si voltò per prendere la ventiquattrore. «Ti ho portato un regalo,» annunciò in tono gaio. «Voglio mostrartelo.»

Dalla valigetta estrasse una piccola maschera di Quetzalcoatl. «È solo una copia, ma ho pensato che ti avrebbe fatto...»

«No.»

Perplessa, Kate si volse a guardarlo.

«Anch'io ho qualcosa per te,» disse lui.

Lei lo guardò avvicinarsi a una piccola scrivania collocata in un angolo e, voltandole la schiena, chinarsi ad aprire un cassetto. Quando tornò a girarsi, aveva la maschera di pietra di Quetzalcoatl al collo, con una mano impugnava un'elaborata ascia di bronzo e con l'altra un lungo pugnale di ossidiana.

«È il sacrificio supremo, Kate. Quello che entrambi stavamo aspettando. Quello che era scritto.»

Kate si accorse che non poteva muoversi. Gli occhi di Rolk erano fissi nei suoi, vitrei e selvaggi, eppure stranamente lucidi, come se la pazzia gli avesse donato una nuova, serena consapevolezza interiore.

Tentò di riscuotersi e cominciò a guardarsi intorno, in cerca di una via di scampo. Lui si era spostato al centro della stanza e non c'era modo di aggirarlo senza finire nel raggio di azione delle armi che impugnava.

Rolk dovette intuire i suoi pensieri, perché si oscurò in viso. «Non tentare di fuggire. Non devi fare nulla che distrugga la bellezza del rito.» Un lieve sorriso gli aleggiò sulle labbra. «Sei tu stessa la sua bellezza. Tu sei perfetta e capisci tutto così bene. Non sarei mai riuscito a trovare una più degna di te. Anche il tuo nome è perfetto. Katherine.» Il sorriso si fece più ampio, più folle. «Anche mia moglie si chiamava Katherine, sai. E aveva capelli biondi, soffici e belli come i tuoi.»

Kate tremava incontrollabilmente, rivoli di sudore le scorrevano sotto i vestiti. Le mancava il fiato. Avrebbe voluto fuggire, ma al tempo stesso ardeva dal desiderio di scoprire che cosa lo avesse portato a quel punto, e a lei. Non solo il nome. Doveva esserci dell'altro.

Lottò per trovare le parole giuste, perché voleva sapere e contemporaneamente voleva fermarlo. Ma un solo pensiero le balenò alla mente. «Il mantello,» sussurrò con voce rauca, quasi strozzata. «Non hai il mantello. E devi averlo.»

Per un istante gli occhi di lui si rannuvolarono, poi tornarono a brillare di sicurezza, di fiducia. «Era troppo grande. Non sono riuscito a portarlo fuori del museo. Ho preso qualche piuma. Ce l'ho in tasca. Basteranno.» Indicò il tavolino da caffè. «Quello sarà la pietra sacrificale. E ho fatto purificare tutto. L'impresa di pulizie ha lavorato due giorni per preparare ogni cosa.» La guardò e il suo sguardo era pieno di tenerezza. «Tutto è pronto,» ripeté.

Kate fece un passo indietro; avrebbe dovuto provocarlo in qualche modo, spingerlo a parlare ancora, ma temeva le sue reazioni. «Non è possibile che tu creda nel rito. Non sei un maya. Non ne hai mai neppure sentito parlare fino... fino...»

«Oh, sì, invece. Era tutto nei libri di mia moglie. Libri che ho letto anni fa.» Scosse la testa, come a deprecare la propria inadeguatezza. «Allora non li ho capiti, non come li capisco adesso. Ma sapevo tutto del rito, sì, sapevo tutto.» Fece un passo verso di lei, poi si fermò, la testa lievemente piegata di lato. «È stata la tua conferenza a farmi ricordare. A farmi capire.»

«Ma che cosa? Che cosa hai capito?» La voce di Kate si era fatta stridula.

Rolk esitò, abbassò le braccia e chiuse gli occhi, come per combattere la sofferenza che gli infuriava nella mente. Quando li riaprì avevano un'espressione distante, remota. «Anni fa, qualcosa di terribile accadde. O, almeno, io pensavo che fosse terribile. Ho vissuto con questa cosa molto a lungo, ma senza mai comprendere.» Sorrise di nuovo. «Senza comprendere che in realtà non era terribile, bensì magnifica... fino alla tua conferenza.» Di nuovo spalancò le braccia, le armi rigide nelle mani. «Quello che avevo fatto non era malvagio, ma un atto d'amore, il più grande che si possa offrire.» Fece un altro passo verso di lei, e ancora si fermò. «È grazie a te che ho saputo, e ti ho amata per questo. Sapevo anche che avrei dovuto darti il mio amore in cambio e che tutto doveva essere perfetto. In ogni particolare.»

Posò l'ascia sul tavolo e sollevò alto il pugnale. Con gli occhi Kate ne seguì la parabola ascendente, affascinata, incapace di muoversi. Era finita e non poteva impedire quello che stava per accadere. Le pareva quasi di sentire, in lontananza, il canto di centinaia di voci, non dissimile dal battito del cuore umano. Ma era solo il respiro di Rolk, comprese poi, il respiro che aveva già udito in passato, quel suo modo di inspirare e poi espellere l'aria con un ronzio quasi impercettibile.

«Ti ho amato,» sussurrò Kate, e la sua voce era appena un bisbiglio. «E so che anche tu mi hai amata.»

«Ti amo ancora,» disse Rolk; sulle sue labbra si disegnò un sorriso molto simile a quello della maschera che gli pendeva dal collo. «Perciò ti offro questo dono, che ti sacrifico agli dei. Ti seguirò, è una promessa. Presto ti seguirò. E saremo insieme per sempre. Solo tu, io e mia figlia. Perché così doveva essere, Kathy, e così sarà. Per sempre, per sempre.»

Devlin percorse il corridoio ed entrò in soggiorno. Rimase fermo sulla porta, la pistola appoggiata sulla coscia. Era rimasto ad ascoltare quell'atroce conversazione e aveva udito quello che aveva sperato di non udire mai, sforzandosi, ancora, di comprendere.

Rolk e Kate gli stavano davanti, impegnati in una strana danza di morte, inconsapevoli della sua presenza, come stretti nella morsa di un macabro credo che era sopravvissuto per secoli e che ora doveva morire rapidamente e per sempre.

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