Ritual (16 page)

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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Ritual
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Quando terminò di parlare, gli altri tre rimasero in silenzio, e allora decise di sferrare il
colpo di grazia.
«Ora, nulla mi vieta di andare sul leggero con alcuni degli indiziati, ma se metto le mani sulla persona sbagliata, ci ritroveremo con altri cadaveri sul gobbo - tra parentesi questo potrebbe accadere ugualmente - e il risultato sarebbe un casino ben peggiore di quelli che può scatenare un monsignore di St. Patrick o qualche zitella rimbecillita del Metropolitan.»

O'Rourke ribolliva di collera e, rendendosene conto, Dunne attaccò a parlare. «Stan, hai assolutamente ragione.» Ignorò l'occhiata velenosa del vicecomandante e continuò: «Tu sai, e lo so anch'io, che non c'è nessuno più esperto di te in fatto di omicidi. Cristo, non fai che studiarli; scrivi perfino articoli sull'argomento, se non sbaglio.» Tacque, offrendogli un sorriso falso. «Che diavolo, com'è che ti chiama la stampa? Lo studioso del delitto?» Quell'aggiunta era più a beneficio di O'Rourke che di Rolk stesso. «Ma facci un favore, d'accordo? Cerca di non farti nemici
tutti
i bastardi importanti che ti capita d'incontrare.»

«Ho un carattere di merda,» disse Rolk.

La risata di Dunne era priva di calore. «Proprio così, Stan, proprio così. Ma in questa occasione cerca di darci una mano, okay?» Si alzò e toccò O'Rourke sulla spalla per esortarlo a fare altrettanto. «Sforzati di tenere tutto un po' in sordina.» Sulla porta si voltò, e l'espressione dei suoi occhi era più dura della sua voce. «Un'altra cosa, Stan. Tieniti sempre in contatto. Qualunque buona notizia ci darai servirà a far sì che la stampa
e
il municipio non diano addosso a Marty.»

«È un miracolo se qualche volta riusciamo a inchiodare qualcuno,» brontolò Rolk rivolto a Devlin, quando i due furono usciti. «Con questi maledetti imbecilli che controllano il dipartimento...»

Devlin stava ridendo. La commedia di Rolk l'aveva divertito enormemente. «Spero di diventare un tritacarne come te, un giorno o l'altro,» asserì.

«Già, ma non sarebbe molto meglio se non ce ne fosse la necessità?» replicò l'altro. «Okay, come pensi di muoverti con il prete?»

«Conterei di lasciarlo perdere per stamattina.»

Rolk inarcò le sopracciglia con aria interrogativa.

«Il fatto è che non andrà da nessuna parte,» spiegò il collega. «Ho telefonato in canonica prima di venire qui e la governante mi ha detto che sarà occupato con i servizi religiosi tutta la mattina e con le confessioni il pomeriggio. Sembra che il parroco sia ammalato e che tocchi a lui sostituirlo.»

«E allora?»

«Allora ho pensato che non mi dispiacerebbe esaminare più a fondo quella faccenda delle offerte votive. Con la Mallory o con Wilcox. Te l'ho detto ieri, ho fatto fatica a bermi questa stronzata sul ti-lascio-un-regalo-prima-di-ammazzarti e mi piacerebbe capirne qualcosa di più.»

«Credi che sia tutta una montatura della Silverman?»

«Non lo so,» sospirò Devlin. «Ma le mie budella mi dicono che qualcosa non sta andando nel verso giusto.»

Rolk si strinse nelle spalle. «Allora fa' come ti dicono le tue budella. Ma non perdere di vista quel maledetto prete.»

 

12

 

«Se ho deciso di dedicarle parte del mio tempo è perché sono estremamente dubbiosa circa la vostra capacità di proteggere la dottoressa Silverman.» Seduta alla sua scrivania, Grace Mallory fissava Paul Devlin come se fosse un esemplare sul vetrino di un microscopio.

Per una buona mezz'ora si era addentrata tra le complessità del sacrificio rituale maya, enfatizzando la casualità con cui le nobili vittime venivano scelte.

«Non le sono stata di grande aiuto, vero?»

«Diciamo che le cose mi sembrano ancora più complicate,» rispose Devlin. «E anche se sappiamo di dover proteggere la dottoressa Silverman, non è detto che questo sia sufficiente a impedire il prossimo omicidio. La vittima successiva potrebbe essere chiunque. E pur proteggendo la dottoressa, siamo costretti a mettere altra carne al fuoco.»

«Ma la proteggerete, vero?» C'era una nota di urgenza nella voce di Grace Mallory.

«Sì, naturalmente. Ma non possiamo controllarla ventiquattr'ore su ventiquattro. Non disponiamo di personale sufficiente. E se vogliamo arrestare questo...» Con un sforzo trattenne la volgarità che gli era salita alle labbra.

«Santo cielo, siamo arrabbiati, eh?»

A parlare era stato Malcolm Sousi che entrava in quel momento con un sorrisetto furbo sul bel viso.

«Dove sei stato, Malcolm?» Il tono della Mallory era secco e Devlin colse un lampo di collera, subito smorzato, negli occhi di Sousi.

«Al Metropolitan. A lavorare, lavorare, lavorare.»

«George Wilcox era con te?» Ora Grace era apertamente insospettita e Devlin si chiese se Sousi non fosse il tipo che amava defilarsi dal lavoro, di tanto in tanto.

«No, il vecchio George se n'è andato prima. Pensa di essersi beccato l'influenza o qualcosa del genere.» Sousi si voltò verso Devlin. «Come mai è qui? C'è stato un altro omicidio?»

«Avevo qualche domanda da fare a proposito del pugnale di ossidiana... quello rinvenuto nell'ufficio della dottoressa Silverman.»

«Ah, così vi siete convinti che il killer sia la nostra piccola Kate.»

«Non fare l'idiota, Malcolm,» scattò la dottoressa Mallory.

«No, ma stiamo cercando di scoprire chi sarebbe potuto entrare nel suo ufficio,» rispose Devlin. «A proposito, lei ci è entrato?»

«Non mi sono neppure avvicinato,» replicò Sousi con un ampio sogghigno. «Ma le sono grato per avermi finalmente inserito nell'elenco dei sospetti. Cominciavo a sentirmi un po' tagliato fuori.»

Devlin lo studiava attento, meravigliandosi della sua capacità di rendersi tanto sgradevole. «Non la lasceremmo mai fuori, Malcolm,» disse poi. «Anzi, potrei addirittura decidere di darle un posto di maggiore rilievo.»

Vide il sogghigno sparire e decise che a quel presuntuoso non avrebbe fatto male restare un po' nell'incertezza. Si alzò per andarsene. «Grazie ancora,» disse a Grace Mallory. «Se dovessero venirmi in mente altre domande, la chiamerò.»

«Ma certo, agente.»

«Hai bisogno di me, Grace?» domandò Sousi.

«No, Malcolm. Ti ho visto abbastanza, grazie.»

L'espressione dell'altro si indurì. «In questo caso esco con lei, agente. Forse riuscirà a farmi confessare mentre siamo in ascensore.» Ecco che sorrideva di nuovo.

Non appena la porta si fu chiusa alle spalle dei due, Grace Mallory si abbandonò sulla sedia e tirò un profondo sospiro. Idiota, pensò. Quell'uomo è un idiota totale, come, d'altro canto, la maggioranza dei maschi. Poi raddrizzò le spalle e aprì il cassetto di mezzo della scrivania. E pensare che saranno proprio degli uomini a proteggere Kate.

Prese il diario che teneva nel cassetto e rilesse quello che aveva scritto in precedenza su Kate. Una pelle così morbida, pensò. Morbida e bella. Si inumidì le labbra e il sapore del rossetto le riempì la bocca. Di scatto richiuse il diario. Piantala, si ammonì. Piantala di pensare a lei.

 

13

 

«Che cosa fai? Per vivere, voglio dire.» La leggera inflessione nasale della donna s'intonava alla perfezione con il biondo artificiale dei capelli e il trucco pesante degli occhi.

A Sousi piaceva l'espressione quasi lasciva della sua grande bocca, quasi a sottintendere un'offerta non ancora espressa. Non ancora. Ma naturalmente erano già le sette passate e le donne che occupavano gli sgabelli di quel bar del West Side avevano già deciso che quella era una serata buona per abbordare qualcuno.

«Sono un chirurgo plastico,» rispose. «Datemi un bisturi e trasformerò qualunque donna in una dea.»

«Già, e io sono un chirurgo del cervello. Vogliamo riunirci in consulto?» La donna tornò a concentrarsi sul suo drink, dimenticandosi per il momento di lui.

Sousi le fece scivolare di fronte un biglietto da visita su cui era scritto soltanto: Dottor Malcolm Sousi, con l'indirizzo e il telefono di casa. «Oh, donna di poca fede,» bisbigliò.

Lei prese il cartoncino, lo occhieggiò, poi guardò lui con rinnovato interesse. «Io mi chiamo Nicole. Nicky.» Il sorriso era tornato. «Niente offerte speciali, questa settimana? Due al prezzo di uno, magari?»

«In effetti sì, proponiamo un'offerta speciale per i glutei. Possiamo aumentarli, ridurli, sollevarli o abbassarli. Come desidera la cliente.»

Nicky lanciò un'occhiata scherzosa al proprio fondoschiena. «E per chi è già soddisfatto dei suoi?»

«In questo caso offriamo attenzioni tenere, affettuose e personalizzate.»

Sentì la sua risata lievemente rauca e pensò che era perfetta in lei. «Ecco di che cosa hanno bisogno le ragazze. Un sacco di attenzioni tenere e affettuose.» Parlando, Nicky giocherellava con il bicchiere. «E dimmi, perché non sei a casa a fare compagnia alla mogliettina e ai figli?»

«Non ne ho. Sono un giovane chirurgo plastico che lotta per farsi strada e attualmente senza casa. Proprio non posso permettermi carichi extra.»

Lei lo guardò con aria sospettosa, poi gettò i capelli da un lato, con un gesto volutamente indifferente. «Ti accontenti di fartela con le infermiere, eh?»

«Detesto le infermiere. Non posso sopportare le donne in uniforme, mi ricordano le suore da cui andavo a scuola da ragazzino.» Le sorrise, facendosi un po' più vicino. «A me piacciono le donne con la bocca grande e grosse tette,» mormorò.

Nicky si irrigidì appena. «Non esagerare, Doc. A certa gente piace aspettare almeno cinque minuti prima di passare al concreto.» Teneva le labbra serrate in una linea dura e dai suoi occhi era scomparsa l'espressione scherzosa.

«Stavo solo portando la conversazione alla sua conclusione logica,» si scusò lui. La guardava mostrando apertamente il suo apprezzamento, sicuro che avrebbe finito con l'ottenere quello che voleva.

Nicky lo fissò incredula. «Sei un bel tipo, sai? Solo perché a una ragazza piace fare due battute pensi subito che sia un pezzo di carne in vendita. Faresti meglio a darti una controllata.»

L'espressione di Sousi si fece vacua. Con un gesto della mano indicò la stanza. «Ma
siamo
a una vendita di carne, non è così?»

La rabbia che trapelava dalla sua voce spinse la ragazza a scostarsi un po'. Il suo viso si era indurito. «Sei un
bastardo

dichiarò alla fine, e pronunciò l'ultima parola a voce alta, sottolineandola con enfasi; parecchi clienti si voltarono a guardarli.

Una vampata di rossore salì al viso di Sousi. «Cerca di controllarti, vuoi?» mormorò in tono beffardo.

Per tutta risposta Nicky gli offrì un sorriso che non aveva nulla di amichevole. «Sto solo dando la possibilità alle donne presenti di capire che tipo sei. Così non saranno costrette a sopportare le tue stronzate.»

Con uno sforzo lui mantenne calma la voce. «Una specie di codice Morse per puttane?» ironizzò.

«Stammi lontano, bastardo!» E questa volta Nicky pronunciò con forza ogni parola, scandendole con chiarezza.

Arrivò il barman e si affrettò a piazzarsi davanti a Sousi. «Che cosa succede qua?»

Lui lo guardò, poi guardò la ragazza, infine estrasse una manciata di banconote dal portafoglio e ne lasciò cadere cinque sul bancone. Ancora una volta un sorriso gli illuminò il viso. «Niente,» disse. «Ma non dovrebbe permettere l'accesso alle prostitute.» Poi si voltò di scatto e si avviò verso la porta, ed era già a metà strada prima che Nicky reagisse con un'esclamazione rabbiosa all'insulto.

Charlie Moriarty estrasse di tasca un taccuino e scarabocchiò in fretta:
Datemi un bisturi in mano e trasformerò qualunque donna in una dea.
A Rolk sarebbe piaciuta. Poi sollevò il corpo massiccio dallo sgabello e si affrettò a sua volta verso la porta. Un furbastro con le donne quel Sousi, pensò.

Uscì in tempo per vederlo salire su un taxi; allora piroettò su se stesso e scattò, con tutta la velocità che gli permetteva la sua mole, verso l'auto priva di contrassegni che aveva parcheggiato in divieto di sosta a poca distanza dal bar.

Si immise nel traffico e scorse il taxi due isolati più avanti. Pigiò sull'acceleratore. «Troppo lontano,» disse ad alta voce, sterzando per imboccare ad alta velocità la corsia. Quando scattò il rosso, fu costretto a inchiodare, scatenando una cacofonia di clacson alle sue spalle. Poi un autobus gli tagliò la strada, costringendolo a frenare di nuovo; sbatté con forza la mano sul volante e imprecò.

A bordo dell'auto pubblica, Sousi sedeva impassibile, ignaro dell'uomo che lo seguiva. Aveva il viso cupo e le mani strette a pugno. «Sporca puttana,» biascicò tra i denti. «Piccola lurida troia.» Poi la sua espressione si ammorbidì. «Ma l'ho rimessa a posto.» Pensò a Grace Mallory e immediatamente desiderò di poter fare lo stesso con lei. Prima o poi l'avrebbe fatto. Prima o poi avrebbe avuto
lui
il comando e lei non sarebbe diventata che un impaccio. E anche la dolce, piccola Kate Silverman avrebbe avuto la sua parte. Allora finalmente l'aristocrazia femminile del museo sarebbe miseramente crollata e tutte loro avrebbero finalmente avuto un assaggio della loro stessa medicina. Guardò una donna giovane, attraente, che camminava sul marciapiede. Tutte quante così maledettamente superiori, così controllate. Quello che aveva raccontato alla puttana del bar era vero. Riguardo alle suore che erano state le sue insegnanti, da bambino. Tutte così perfette nelle loro piccole abitudini inamidate. Sempre a fingere di non aver mai fatto nulla di meno che irreprensibile in tutta la loro vita, come se il pensiero di nuocere a qualcuno non le avesse mai neppure sfiorate. E sempre a fingere di essere le uniche benedette dal dono dell'intelligenza, mentre i loro allievi non erano che irrecuperabili piccoli idioti incapaci di afferrare il concetto più semplice. Perfino quelli che avevano raggiunto le posizioni più brillanti, che modificavano i percorsi mentali delle persone, che ne forgiavano la mente.

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