Ritual (11 page)

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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Ritual
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Il viso aveva continuato a sorridergli e lui era rimasto immobile, raggelato sull'altare, cercando di scacciare quel dubbio oscuro e improvviso. Ma non ci era riuscito, e anzi il dubbio era cresciuto come un cancro nella sua mente, nutrendosi delle contraddizioni implicite nella fede a cui aveva dedicato tutta la sua vita.

E gli indigeni avevano avvertito quel dubbio, l'avevano visto crescere e fortificarsi dentro di lui. Allora era cominciato l'orrore, alimentato, credeva padre Lopato, dall'angoscia e dall'incertezza che lui non era riuscito a nascondere. Ma seguirlo fin lì? No, anche se i suoi dubbi si erano ulteriormente ingigantiti, questo non poteva crederlo.

Il viso del sacerdote era grigio, le rughe sotto gli occhi più profonde e pronunciate. Lentamente chinò la testa sulla maschera e profondi singhiozzi lo squassarono. Fu allora che riconobbe il suo tormento per quello che era. Disperazione, l'ultimo e il più grave dei peccati.

 

9

 

Seduta nel suo ufficio, Kate guardava ansiosa l'orologio e la porta aperta. Aveva chiamato il numero datole da Paul Devlin non appena tornata in ufficio, ma un tipo brusco con la voce aspra le aveva detto che l'agente era uscito per tornare a casa. Allora aveva chiesto di Rolk, ma era fuori anche lui. Disperata, aveva spiegato la situazione al suo interlocutore e in tono annoiato lui le aveva promesso di mandare qualcuno al più presto.

Cristo, pensò ora, quel maledetto idiota non le aveva neppure detto di non toccare niente.

Per ingannare il tempo, cominciò a fare l'inventario del suo ufficetto. La libreria che andava dal pavimento al soffitto traboccava di libri e ormai lei aveva cominciato ad accatastarli anche sui tavoli disposti negli angoli. Lungo tutta una parete correva un banco da lavoro e c'era una sola finestra, con il davanzale ingombro dei manufatti che stava esaminando in quei giorni. Una maschera di pietra del decimo secolo, un elaborato girocollo d'oro, un rilievo raffigurante Quetzalcoatl sulla Piramide del Sole a Teotihuacán, frammenti di un vaso Mochica... tutti gli annessi e connessi di una giovane antropologa ossessionata dal proprio lavoro. Sorrise al pensiero, o meglio sorrise di sé, prima di continuare il suo esame.

Un ufficio piccolo, pieno fino all'inverosimile e adeguato al tuo grado e al tuo sesso, pensò. Certo, quello di Malcolm Sousi non era più grande di un armadio, ma Kate sapeva che il collega si sarebbe trasferito altrove molto prima di lei. A meno che...

Allontanò quel pensiero fastidioso. Concentrati piuttosto sul fatto che c'è un pazzo maniaco che ti manda offerte amorose. E non proprio del tipo giusto. Poi un'altra idea la colpì. L'ultima offerta votiva e quella precedente erano praticamente identiche. E questo non corrispondeva.

Significava forse che il folle non comprendeva appieno il rituale, che non possedeva un'adeguata preparazione? Oppure l'intento era proprio quello di sviare le indagini e stornare da sé i sospetti?

Le tornò alla mente un'osservazione di Rolk. Secondo il poliziotto, forse si doveva cercare qualcuno che credeva
davvero
nel rituale. Ma questo non significava necessariamente che si trattasse di una persona con una conoscenza approfondita della religione tolteca. Perfino i maya con cui lei aveva lavorato possedevano nozioni confuse sulla liturgia del rito originale. Informazioni che per secoli erano state trasmesse solo per via orale erano ormai andate perdute. Ma l'idea di Rolk era pazzesca. In base alla sua teoria, il colpevole non poteva essere che uno dei maya trapiantati negli Stati Uniti grazie all'interessamento dell'organizzazione assistenziale di Lopato. E nessuno di loro era presente alla conferenza. Tranne...

Juan Domingo
avrebbe potuto
esserci. Aveva collaborato alla mostra come loro personale custode e la sua condizione di immigrato clandestino era stata tenuta nascosta a tutti salvo che agli organizzatori della mostra.

Rivide il viso gentile ma severo di Juan, un viso in cui non c'era traccia di malvagità o di desiderio di fare del male. Ma, d'altro canto, non erano mai i sacerdoti a fare il male. Erano gli dei.

Un brivido la attraversò mentre si chiedeva se dovesse parlarne alla polizia, se
potesse
parlarne, e il pericolo che questo avrebbe significato per Juan e per la sua famiglia. Solo se gliel'avessero chiesto, decise. Solo in risposta a una domanda diretta e non evitabile.

Avrebbe potuto indagare con Juan, chiedergli nel modo più innocente possibile se da piccolo gli fossero stati insegnati quei rituali. Forse l'uomo aveva semplicemente fatto confusione sul significato delle offerte votive.

Le offerte. Di colpo si accorse di non riuscire a ricordare se avesse chiuso o no la porta della biblioteca. Ne era uscita con tanta fretta! Se al suo arrivo la polizia non avesse trovato la piuma, certo l'avrebbe sospettata di aver inventato tutto, giudicandola una delle tante isteriche che, secondo gli uomini, popolano il mondo.

«Non io,» disse ad alta voce mentre si alzava.

La porta della biblioteca era chiusa; l'aprì con la sua chiave e sul tavolo vide la piuma, là dove l'aveva lasciata lei. Allora uscì, e richiusa la porta vi si appoggiò contro.

Almeno in questo caso ti sei comportata nel modo giusto, si disse, prima di riflettere che la regola di chiudere tutte le stanze che contenevano reperti di valore era così radicata in lei da essere ormai automatica. Ma perlomeno, pensò, questo significa che so fare il mio lavoro.

Stava percorrendo il corridoio quando notò la porta socchiusa di una delle stanze adibite a depositi. D'impulso entrò. La stanza era in penombra - l'unica luce veniva dal corridoio, alle sue spalle - e conteneva gli articoli più disparati, soprattutto grossi animali impagliati esposti in chissà quale vecchia mostra. C'era perfino un mantello maya, identico a quello che lei aveva indossato durante la conferenza, drappeggiato sulle spalle di un manichino che le dava la schiena e il cui colletto ne superava di parecchio la testa.

Non c'era nessuno. Evidentemente qualcuno si era dimenticato di chiudere. Qualcuno che non sapeva fare il suo lavoro bene come lei, pensò accingendosi a uscire.

«
Kate, sono qui.
»

Un rauco bisbiglio che parve turbinare intorno alla stanza, senza rivelare in alcun modo il punto da cui era partito.

Per un istante Kate s'immobilizzò, poi con un gesto rapido si accucciò dietro la grossa sagoma di un leone impagliato. L'odore dei conservanti chimici la aggredì, la ruvida criniera dell'animale le sfiorò la guancia. Scandagliò con gli occhi la stanza, tentando inutilmente di frenare il tremito che la scuoteva, senza quasi il coraggio di respirare nel timore di farsi scoprire. Con gesti cauti si tolse una delle scarpe a tacco alto e la sollevò, pronta a colpire, poi si sfilò anche l'altra in modo da potersi muovere più agevolmente.

Alla sua destra ci fu un fruscio e, quando si voltò, urtò con il piede sinistro il piedistallo di legno su cui stava il leone. Lottò per soffocare il grido mentre gli occhi le si riempivano di lacrime, poi lentamente cominciò a indietreggiare, tenendosi curva, scrutando ogni angolo della stanza. Andò a sbattere contro qualcosa e fece un salto in avanti, reprimendo un nuovo urlo di terrore. Quando, con estrema lentezza, si voltò, vide dietro di sé le mascelle spalancate di un coccodrillo africano; gli enormi denti affilati splendevano nella luce che filtrava dal corridoio.

Aggirò il rettile, abbassandosi fin quasi a sfiorare il pavimento. Udì ancora il fruscio, sempre alla sua destra, e le parve di scorgere un movimento vicino a un altro dei silenziosi ospiti del magazzino, uno struzzo. Guardò con più attenzione l'enorme uccello e, sì, le piume della coda si muovevano, si agitavano lievemente. Poi di nuovo la voce.

«
Il rito, Kate. Devi essere sacrificata perché sei perfetta.
»

Si voltò barcollando, nel disperato tentativo di allontanarsi dal suono di quella voce e dalle orribili parole che pronunciava. Davanti a lei la sagoma massiccia di un orso Kodiak in piedi sulle zampe posteriori si ergeva più imponente di un muro. Era alto quasi quattro metri e con la testa sfiorava il soffitto. Kate si tuffò sotto di esso e guardò attraverso le enormi zampe divaricate. Un dolore improvviso alla mano destra le ricordò la scarpa che teneva in mano e che stringeva con forza spasmodicamente. Allentò la stretta.

Alle sue spalle una mano si protese ad afferrarla per i capelli. Perse l'equilibrio, cadde a terra e una fitta di dolore le attraversò la schiena. La scarpa le sfuggì di mano, rotolò via e lei la seguì con gli occhi, pregando che non finisse troppo lontano.

«
Qui

sibilò la voce.

Inutilmente Kate cercò di divincolarsi. Ora sentiva il respiro dello sconosciuto vicino all'orecchio, il suono rauco, sibilante dell'aria risucchiata tra i denti e poi espulsa in brevi ansiti.

Di colpo la mano la lasciò e lei piroettò su se stessa, poi fu di nuovo spinta per terra finché non andò a fermarsi tra le zampe dell'orso Kodiak. Terrorizzata e attonita, guardò la figura che incombeva su di lei, appena visibile nella penombra.

Sembrava enorme, il corpo avvolto nel mantello piumato e iridescente, il volto nascosto da una maschera di pietra. Lentamente una mano emerse dalle pieghe del manto e la luce del corridoio strappò barbagli verdastri al pugnale di ossidiana.

«
Presto

sibilò ancora la voce.

A fatica Kate si rimise in piedi, ma le gambe minacciavano di tradirla. Passo dopo passo, cominciò ad aggirare l'orso impagliato e per un istante le parve che la figura volesse seguirla, ma poi la vide fermarsi. Allora si voltò e scattò via, saettando tra gli animali immobili, inciampando, rialzandosi e poi finalmente fuori, nel corridoio.

Senza esitare corse alla porta della biblioteca, frugò tra le chiavi che aveva in tasca, trovò quella giusta e la infilò nella serratura, senza mai smettere di guardarsi alle spalle, nel timore di vedere ricomparire la sagoma piumata. La porta si aprì e lei si infilò all'interno, richiudendola dietro di sé. Rimase lì, immobile, respirando affannosamente, gli occhi fissi sul solido pannello di legno, quasi sforzandosi di vedere attraverso di esso il pericolo che si avvicinava inesorabile.

«Un telefono,» bisbigliò, cercando di ricordare se ce ne fossero lì, nella vecchia biblioteca. Poi si rammentò di un'altra porta che si apriva su una passerella da cui si accedeva a un solaio in cui venivano conservate centinaia di ossa di elefante. Quel pensiero le strappò un brivido; a nessun costo doveva finire intrappolata lassù.

Il telefono. Si voltò, guardandosi intorno piena d'ansia. Vide la maniglia della porta abbassarsi leggermente, poi fermarsi, e un grido di terrore le scaturì dalla gola.

«Dottoressa Silverman?» La voce che arrivò fino a lei aveva una nota perplessa, quasi allarmata.

«Chi è?» bisbigliò Kate, il corpo premuto contro la porta nell'assurda speranza di ostacolare il passo
alla cosa
che l'aspettava dall'altra parte.

«Tenente Rolk.»

Di colpo il suo corpo cedette. «Oh, Dio,» ansimò.

Le mani le tremavano al punto che impiegò parecchi secondi per girare la chiave nella serratura. E lì c'era Rolk, identico a come l'aveva visto quel pomeriggio, trasandato, arcigno, ma per lei l'uomo più bello del mondo. Gli cadde letteralmente addosso, tremando per lo choc e il sollievo.

Per qualche istante Rolk la tenne stretta a sé. «In ufficio mi hanno detto che ha ricevuto un'altra di quelle offerte,» disse poi, scostandosi un poco e guardandola negli occhi. «È questo che l'ha spaventata, immagino. Dov'è?»

Kate tentò di parlare, non ci riuscì, allora indicò il tavolo su cui era stata lasciata l'offerta.

«Un'altra piuma?» domandò lui.

«E un... un biglietto.» Kate stava balbettando. «Ma è sbagliato,» proruppe all'improvviso. «È tutto sbagliato.»

Rolk la studiava con attenzione. «Che cosa intende dire?»

«È... è quasi identica alla prima. E non dovrebbe, invece.» Trasse un profondo sospiro per calmarsi. «Stando al rituale, l'importanza delle offerte deve crescere di volta in volta. È così... è così che si faceva.»

Gli occhi di Rolk si indurirono, come se solo in quel momento avesse compreso il significato delle sue parole.

«Ma non è stato questo a spaventarmi.» Lo afferrò per la manica del soprabito. «L'ho visto. Ho visto qualcuno con addosso un mantello cerimoniale e una maschera di pietra. E il pugnale. Il pugnale di ossidiana.»

«Dove?»

«Dall'altra parte del corridoio. In uno dei depositi, poche porte più in giù.»

Con gentilezza Rolk la spinse da parte. Estrasse di tasca una 38 e cominciò a caricarla.

«Va in giro con una pistola scarica?» mormorò Kate, stupefatta.

«Le armi non mi piacciono. A volte non la porto neppure con me.»

«Ma...»

«Non si preoccupi, so come usarla. Un poliziotto non può farne a meno. Lei resti qui. Chiuda la porta appena sarò uscito e non apra a nessuno finché non sarò tornato. Mi qualificherò come Stanislaus, così non ci saranno rischi. Se qualcuno tenta di aprire, urli con tutto il fiato che ha in gola.»

 

I
minuti si trascinavano, minuti lunghi come ore. Kate passeggiava nervosamente all'interno della stanza chiusa. Il biglietto diceva che era stata scelta perché era
meravigliosa
e lo sconosciuto con indosso il mantello le aveva detto che era
perfetta.
Rabbrividì. Perché proprio lei? Non aveva senso. Non era altro che una giovane antropologa che lottava per fare carriera, non un personaggio importante, e la sua estrazione non era certo aristocratica. Cristo, aveva fatto la cameriera per poter terminare l'università ed era andata avanti a forza di borse di studio e sussidi. Ed ecco che di colpo qualcuno la giudicava degna di diventare la vittima di un sacrificio maya.

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