Ritual (10 page)

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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Ritual
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Rolk seguì il sacerdote lungo una strada stretta e polverosa; Lopato teneva le spalle curve, notò il tenente, come chi ha passato un'intera vita a trasportare carichi pesanti. Nel seminterrato, padre Lopato premette un interruttore e una luce fluorescente inondò la stanza.

Una parete era coperta da bacheche di vetro contenenti scaffali stracarichi di manufatti. Al centro c'erano tre tavoli sistemati a forma di U, ingombri di oggetti di vario genere, taccuini e fotografie. «Sono impressionato,» mormorò Rolk.

Il sacerdote agitò in aria la mano lunga e snella. «Ecco davanti a lei il laboratorio dello scienziato pazzo, padre Joseph Lopato, dottore in antropologia.» Sorrise di nuovo, lievemente. «Quasi vent'anni di lavoro e solo una parte infinitesimale di quello che ancora c'è da fare.»

Rolk si avvicinò ai tavoli, li esaminò brevemente. «Allora che cosa ci fa qui a New York?»

«Mi è stato ordinato di tornare per occuparmi di questa parrocchia.» Una pausa, poi: «A causa della mia salute, capisce.» Si accostò anche lui ai tavoli, prese il frammento di quello che doveva essere stato un utensile domestico e lo soppesò con cura. «Vivevo nella giungla di Quintana Roo, non lontano dalle antiche rovine di Chichén Itzán. Forse la zona più desolata dello Yucatán.» Sorrise. «Almeno questa è l'impressione che dà. Vivevo in grande isolamento, e finii col contrarre la malaria. Ora vivo in condizioni molto migliori, ma periodicamente gli attacchi tornano a farsi sentire.» Si strinse nelle spalle. «Comunque ora sono qui e lavoro basandomi sui libri e sulle fotografie invece che sui reperti degli scavi, e assolvo al mio compito di sacerdote, così come mi è stato insegnato.»

«Perché, non svolgeva le sue funzioni di sacerdote nello Yucatán?» domandò Rolk.

«Sì, in parecchi villaggi indios. Ma temo che le loro convinzioni religiose fossero più maya che cristiane. Oh, sapevano dell'esistenza di Cristo e penso che alcuni di loro credessero in lui. Ma era soprattutto agli dei dei loro antenati che si rivolgevano.» Posò sul tavolo il reperto. «Immagino che questo conforti ulteriormente la sua teoria, e devo ammettere che la mia curiosità intellettuale si era risvegliata. Credo che i miei superiori fossero un po' infastiditi perché passavo più tempo a studiare la religione degli indigeni che a tentare di convertirli.» Scosse la testa e parve ritirarsi in se stesso, come spinto dal desiderio di allontanare il passato. «Ma non è di questo che mi occupo nella nostra organizzazione di assistenza ai profughi, quindi perché dilungarci tanto? Lasci che le mostri quello che è venuto a vedere.»

Si avvicinò a una delle bacheche e la aprì. «Le armi sono tutte qui tranne, naturalmente, quelle che ho prestato al museo. Può anche guardare nelle altre bacheche, se vuole, tenente,» lo invitò.

Rolk annuì distrattamente. «Grazie, padre. Lo farò.»

Prese una lunga lama di ossidiana verde i cui bordi smussati portavano ancora i segni della seghettatura di un tempo.

«Una spada,» spiegò il sacerdote. «Ovviamente l'impugnatura si è disintegrata secoli fa.»

«Di che epoca è?»

«Del dodicesimo secolo. È stata rinvenuta nei pressi dell'antica città di Tula, a nord di dove ora sorge Città del Messico.»

Rolk esaminò un'altra lama, poi un'altra e un'altra ancora. Dal fondo della bacheca ne scelse una quinta, piuttosto corta e con l'impugnatura di legno. Passò il pollice lungo il bordo e trasalì quando, abbassando gli occhi, scorse sulla pelle una sottile riga di sangue. «È stata affilata,» disse allora guardando il prete.

«Sì, mi dispiace. Avrei dovuto avvertirla. Vado a prendere un cerotto e del disinfettante.»

Ma Rolk lo trattenne. «Non importa. Ci penseremo più tardi.» Abbassò di nuovo gli occhi sulla lama verde. «Mi avevano detto che le lame antiche non vengono mai affilate per evitare che si danneggino.»

«Verissimo. Ma questo non è un reperto antico, bensì un'arma fabbricata dagli indios. Le tengono per proprio uso personale e, soprattutto, le vendono a commercianti che a loro volta le spacciano a turisti ignari persuasi di essere grandi collezionisti. Me l'ha regalata l'abitante di non so quale villaggio dopo avermi spiegato che non riteneva giusto nei confronti dei suoi antenati fabbricare questi oggetti per dei commercianti corrotti. Per un po' l'ho usata come tagliacarte, ma è così affilata che ho finito per chiuderla lì dentro.»

«Ci sono altri falsi in giro?» volle sapere Rolk.

«No, questo è l'unico.» Lopato cercò gli occhi del poliziotto. «Abitualmente gli antropologi non maneggiano copie. Questo è soprattutto un ricordo personale che mi riporta alla mente uno dei pochi successi ottenuti nella mia veste di sacerdote.»

Rolk annuì. «Le dispiace se la tengo io per un po'? Solo qualche giorno. Vorrei che la vedessero anche i miei uomini.»

Il sacerdote lo fissò e i suoi occhi dicevano che comprendeva molto più di quanto Rolk avesse detto. «Ma certo, tenente. La tenga quanto vuole.»

«E ora mi parli delle armi maya, padre. Mi spieghi come potrebbero, o no, avere a
che
fare con l'uccisa.»

Ancora una volta padre Lopato impallidì. «Ha detto che le è stata tagliata la testa, forse addirittura quando era ancora viva e in sé. Gliel'ho già chiesto e glielo chiedo di nuovo: avete riscontrato altre...» Esitò, come riluttante a pronunciare certe parole. «Altre mutilazioni?»

Rolk non rispose subito; cercava di decidere quanto fosse opportuno rivelare. «Dalla schiena le è stato asportato un grosso lembo di pelle,» disse alla fine.

«Oh, Signore.» Il sacerdote barcollò e si appoggiò al tavolo per non cadere.

«Le suona familiare?»

«Sì, temo proprio di sì.»

Rolk attese, fissando il viso turbato dell'altro. «Me ne parli.»

«È piuttosto complicato, ma cercherò.» Padre Lopato tirò un profondo sospiro; le labbra gli tremavano. «Per prima cosa, deve riuscire a comprendere la figura di Quetzalcoatl, raffigurato nella mitologia maya come il serpente piumato.

«Secondo la leggenda, Quetzalcoatl emerse un giorno dal mare e diffuse tra i toltechi quella che sarebbe diventata la loro religione. Di lui si diceva che era un uomo alto con una barba bionda; alcuni studiosi sono dell'opinione che fosse un marinaio mediterraneo caduto da una nave e trasportato fino allo Yucatán dalle correnti.» Per la prima volta da quando aveva cominciato a parlare il sacerdote guardò Rolk. Nei suoi occhi c'era un'espressione spaventata. «Deve ricordare,» continuò, «che stiamo parlando di un periodo non di molto posteriore alla morte di Cristo.»

«Ha detto che alcuni studiosi sono convinti di questa interpretazione. E gli altri?»

«Per altri era un orientale. Altri ancora, fra cui io stesso, ritengono che fosse l'apostolo Tommaso inviato a evangelizzare il nuovo mondo.» Sorrise appena. «Ci sono solide argomentazioni a conferma di questa teoria, ma forse serviranno solo a rendere ancora più oscuro quello che sto cercando di dirle.

«In ogni caso, Quetzalcoatl diffuse tra i toltechi una nuova religione, improntata soprattutto sulla gentilezza, ma che sfortunatamente venne in seguito profondamente alterata e corrotta dai sacerdoti, che decisero di introdurvi la pratica ben più antica dei sacrifici di sangue. Poi Quetzalcoatl se ne andò, sempre per mare, con la promessa di tornare durante l'anno sacro di Acatl. In quell'anno arrivò il conquistatore spagnolo Hernán Cortés e Montezuma, re degli aztechi - il popolo che aveva ereditato la religione tolteca - si convinse che fosse
lui
Quetzalcoatl e si rifiutò di resistergli con le armi.»

Questa volta il sorriso che rivolse a Rolk era soprattutto triste. «Penserà che sto divagando, ma volevo che lei capisse come in un primo tempo la religione tolteca non avesse in sé alcuna violenza.» Abbassò gli occhi. «Ma forse i popoli dell'antichità sentivano il bisogno dei sacrifici di sangue. Pensiamo al Vecchio Testamento, in cui sacrifici simili venivano offerti anche al
nostro
Dio. Comunque il sangue divenne il fondamento della religione tolteca e di quella dei maya e degli aztechi. E la testa della vittima con il lembo di pelle a forma di mantello veniva indossata dal sacerdote come parte del rito.»

Per qualche istante Rolk rimase in silenzio. «Ha detto che molti dei suoi parrocchiani maya credevano ancora nell'antica religione. Le risulta che praticassero anche sacrifici cruenti?»

Il tremito che scuoteva padre Lopato si era accentuato. «Circolavano delle voci,» cominciò, poi, con più foga: «Ma voci del genere non mancano mai in quei villaggi. Deve capire che si tratta di gente semplice, ignorante, incline alla superstizione. Qualcuno scompariva... di solito persone che volevano sfuggire alla povertà in cui vivevano... ed ecco che subito qualcun altro cominciava a mormorare che era stato sacrificato agli dei.»

«Ma non si sono mai trovate solide prove che suffragassero queste chiacchiere?»

Il sacerdote distolse lo sguardo. «Nulla che io potessi dare per certo.»

Rolk si strofinò lentamente le mani. «Ho la sensazione che lei stia cercando di proteggere quella gente,» osservò alla fine.

Lopato gli rivolse un'occhiata cupa. «È il mio lavoro.»

«No, padre. Non se significa proteggere un assassino. Grazie alla sua assistenza, quanti di loro sono arrivati nel nostro paese?»

«Forse una dozzina di famiglie. Una quarantina di persone, direi.»

«E quanti vivono a New York?»

«Due famiglie. Entrambe con bambini piccoli.»

«Mi piacerebbe conoscerle.» La voce di Rolk era piatta e non sembrava contenere alcuna minaccia.

«Temo di non poterla aiutare in questo, tenente.» Lopato aveva giunto le mani, in un atteggiamento di preghiera. «Quella gente è sotto la protezione della Chiesa e io ho giurato di badare alla loro sicurezza.
I
funzionari dell'Immigrazione li arresterebbero e li rimanderebbero a casa se solo scoprissero dove vivono.»

«Mi sembra che lei non capisca. C'è qualcuno in giro che si sta preparando a tagliare altre teste.»

«Da come ne parla lei, si direbbe un pazzo.»

«Dice?» Rolk sbatté più volte le palpebre, come se quell'osservazione l'avesse sconcertato.

«Permetta che le spieghi,» riprese padre Lopato. «Se la persona che lei cerca è davvero un maya, allora si tratta di un sacerdote tolteco.» Andò a una delle vetrine e ne estrasse una maschera di pietra che porse a Rolk. «Vede, erano i sacerdoti a effettuare il sacrificio. Indossavano la maschera di uno degli dei, come questa che è di Quetzalcoatl, e, automaticamente, diventava
quel
dio, si trasformava in lui. Era la divinità a uccidere e al sacerdote non sarebbe mai passato per la testa di esserne in qualche modo responsabile. Perché, vede, il sacrificio era considerato un atto d'amore, non un castigo. E solo un dio poteva essere capace di un amore tanto grande.»

«E lei crede che il sacerdote tolteco potesse perfino non ricordare di avere praticato il sacrificio?»

Padre Lopato annuì. «È possibile.»

Rolk prese la maschera e la studiò con attenzione. «Devo comunque parlare con i suoi profughi,» ribadì. «Almeno con quelli che vivono a New York.»

«Non sono sicuro di poterla aiutare.»

Lentamente gli occhi di Rolk si posarono su di lui. «Sì che può, padre,» lo contraddisse. «E le garantisco che io parlerò con quella gente.»

 

Padre Lopato sedeva solo nel suo studiolo; la maschera di pietra era davanti a lui, sulla scrivania. Ne sfiorò leggermente con le dita la superficie intaccata dal tempo. Si era rifugiato lì subito dopo la partenza del tenente e aveva portato la maschera con sé, come memento dell'orrore che sembrava essere tornato in vita.

Ma era impossibile. Anche se quello che il poliziotto aveva detto rispondeva a verità, quella cosa non avrebbe potuto seguirlo fin dallo Yucatán. Si fece il segno della croce e abbassò la testa, ma pregare gli era impossibile. Si sforzò tuttavia di farlo, cercando di pronunciare le parole memorizzate tanti anni prima, ma gli uscivano dalla bocca confuse, mescolate ad altre. Gli accadeva spesso ormai, quasi ogni volta che si ritirava in colloquio con Dio, ma fortunatamente mai durante la messa, quando le sue preghiere erano per gli altri e non per se stesso. Eppure, anche quando officiava il servizio religioso i dubbi continuavano a tormentarlo, dubbi che riguardavano la sua stessa fede.

Tutto aveva avuto inizio tre anni prima, nello Yucatán. Stava celebrando la messa e quando si era voltato per benedire la piccola congregazione del povero villaggio in cui allora viveva, i visi dei fedeli gli erano come balzati incontro, pieni di stupore e di curiosità, alcuni ansiosi, altri colmi di aspettativa, e poi si erano fusi in un unico volto, che sorrideva con aria di consapevolezza, come sorride chi ha visto un mago all'opera e ne ha scoperto i trucchi segreti.

Allora l'aveva colpito il pensiero che forse si trattava davvero di trucchi e di nient'altro. Forse gli insegnamenti della sua religione non erano che parole vuote che avevano l'unico scopo di dare un certo ordine all'esistenza. Forse non c'era un Essere Supremo che amministrava le vite degli uomini; forse era solo uno dei tanti, vieti espedienti escogitati dall'umanità per affrontare la realtà della morte. O forse gli indigeni, semplici e ignoranti, avevano ragione ed erano molti gli dei che avevano cura dell'uomo, finché lui si preoccupava di compiacerli e di non sfidare la loro volontà.

Se si eliminava il concetto di un unico dio che tutti amava, allora quel credo era davvero così diverso dalla dottrina che gli era stata insegnata? Ed esisteva davvero l'amore divino, considerati le sofferenze e i dolori che tormentavano il mondo? L'infelicità? Le barbarie insensate? La malattia?
I
crudeli colpi del destino?

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