Gai-Jin (213 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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A fatica Hiraga si alzò, si sforzò di respirare e di riordinare i pensieri e si guardò intorno per valutare il pericolo.

La casa accanto prese fuoco, poi divampò quella vicina tagliando loro ogni via di fuga.

Katsumata aveva ragione, pensò.

Con questo vento lo Yoshiwara è spacciato.

E anche l'Insediamento.

 

Al confine della Terra di Nessuno i soldati del drappello si fermarono impietriti e come tutti coloro che nella Città Ubriaca erano sobri guardarono oltre la recinzione, verso lo Yoshiwara. Tra il suono delle campane e le grida portate dal vento si levavano verso il cielo due alte colonne di fiamme e di fumo.

Sentirono il boato di una terza esplosione, seguito da un'altra vampata. Il fumo cominciò ad avvolgerli.

Scintille passarono sulle loro teste.

“Cristo santissimo” esclamò il sergente sporgendosi dal magazzino riparato per vedere meglio, “era una bomba?”

“Non lo so, sergente, potrebbe essere esploso un barile di olio combustibile, ma ci conviene tornare alla base, il fuoco sta venendo da questa parte...” La bomba che Takeda aveva collocato contro il muro esterno del magazzino esplose. D'istinto i soldati abbassarono la testa. Altro fumo, crepitò d'incendi, imprecazioni provenienti dalla Città Ubriaca, grida che sollecitavano secchi d'acqua e “Al fuoco! Al fuoco!

Presto per Dio!

Il deposito del combustibile sta andando in fiamme!”.

Uomini seminudi entravano e uscivano dalle case vicine per salvare i loro beni. In fondo alla strada i residenti e i clienti della casa della signora Fortheringill si precipitavano fuori imprecando e vestendosi in fretta e furia. Altre campane d'allarme. Gli sciacalli cominciarono a entrare in azione.

Samurai disciplinati accorrevano dalla porta Sud dirigendosi verso lo Yoshiwara muniti di scale e secchi e con i volti coperti dalle maschere bagnate. Un gruppo svoltò verso il magazzino, gli altri proseguirono.

Dal tetto del magazzino le fiamme alimentate dal vento piovvero nel vicolo e sulle baracche adiacenti che subito si incendiarono.

Dal suo rifugio nella Terra di Nessuno, Takeda osservava i soldati disorientati congratulandosi per il successo della sua azione. Gran parte dello Yoshiwara era in fuoco. Era venuto il momento di scappare. Si sistemò velocemente la maschera. Così sporco e con indosso quella maschera e il kimono coperto di fuliggine aveva un aspetto ancora più minaccioso.

Nell'oscillante alternarsi di buio e di luce corse verso il pozzo, riprese lo zaino, se lo infilò sulle spalle e si fece strada quanto più in fretta poteva attraverso i cumuli di immondizie.

Alle sue spalle sentì delle grida.

Temeva di essere stato visto, poi si rassicurò: l'allarme era per un muro del magazzino, che crollò con un boato scagliando fuoco e scintille sulla gente che fuggiva e sulle proprietà vicine. L'estensione dell'incendio gli permetteva di vedere meglio. Cominciò a correre. Vide in lontananza il villaggio e la salvezza.

“Ehi tu!” Non capì le parole, ma per istinto si fermò. I soldati britannici capeggiati da un ufficiale, che erano corsi dal villaggio per verificare i danni, si fermarono sbarrandogli la strada.

“Dev'essere uno sciacallo! O un incendiario! Ehi tu!”

“Mio Dio, attenti, è un samurai, è armato!”

“Sergente, coprimi! Tu! Samurai, cosa fai? Che cos'hai in quello zaino?” In preda al panico, Takeda vide che l'ufficiale apriva il fodero e i soldati si sfilavano i fucili dalle spalle. Avanzavano verso di lui mentre tutt'intorno imperversava l'olocausto e le fiamme disegnavano strane ombre. Si girò su se stesso e cominciò a correre.

I soldati si lanciarono all'inseguimento.

Sull'altro lato della Terra di Nessuno l'incendio del magazzino divampava incontrastato mentre i soldati si sforzavano invano di organizzare una squadra per difendere le strade e le case confinanti. Nella luce dell'incendio, ansimante e con lo zaino che gli batteva contro la schiena, Takeda si inoltrò correndo nel campo di spazzatura. Con un sussulto di speranza vide che il vicolo che fiancheggiava l'edificio in fiamme era deserto.

Allungò il passo e distanziò senza fatica gli inseguitori.

“Fermati o sparo!” Parole a lui incomprensibili, ma certamente ammonitorie. Proseguì. Non servivano più azioni diversive, era quasi arrivato. Ma dimenticava che la luce aiutava anche gli altri e che le fiamme sullo sfondo facevano di lui un bersaglio perfetto.

“Sergente, fermalo! Non lo uccidere, feriscilo soltanto.”

“Sì, signore... Dio santissimo, quella canaglia è l'uomo che sir William sta cercando, Nakama, il dannato assassino!”

“Maledizione, è proprio lui. Svelto, sergente, fermalo, feriscilo!” Il sergente prese la mira. Il bersaglio stava scappando nel vicolo.

Premette il grilletto. “L'ho preso” gridò esultante. “Andiamo, ragazzi!” Takeda era caduto a terra.

Il proiettile aveva colpito lo zaino, gli si era conficcato nella schiena bucando un polmone ed era uscito dal petto: una ferita non mortale. Ma si sentì perduto, terrorizzato da quel colpo che gli aveva reso il braccio inservibile, e pur non provando dolore gridò per lo shock. Il crepitio delle fiamme più vicine copriva le sue grida.

Riuscì a sollevarsi sulle ginocchia, sentiva il terribile calore dell'incendio che si avvicinava e vedeva la salvezza a pochi passi, in fondo al vicolo. Si trascinò avanti, poi tra le lacrime sentì le grida dei soldati dietro di lui. Era perduto.

I suoi riflessi si destarono. Facendo leva sul braccio sano si rialzò e con un grido acutissimo si lanciò nelle fiamme. Il giovane soldato che guidava gli inseguitori riuscì a fermarsi e arretrò con le mani alzate per difendersi da quell'inferno. La struttura del magazzino minacciava di cadere da un momento all'altro.

“Bastardo!” esclamò fissando le fiamme che sfrigolavano consumando la sua preda. Il fetore della carne bruciata gli dava il vomito.

“Lo stavo per prendere, signore, era lui, la canaglia che sir William...” Furono le sue ultime parole.

Le bombe nello zaino di Katsumata scoppiarono e il soldato fu colpito alla gola da una scheggia di metallo.

L'ufficiale e gli altri uomini caddero come birilli, qualcuno riportò una frattura. Come un'eco esplose con altrettanta violenza un fusto di combustibile, poi un altro e un altro ancora, e si scatenò il finimondo. Le lingue di fuoco e i tizzoni incandescenti lanciati in cielo dalle esplosioni venivano trasportati in ogni direzione dalla corrente d'aria generata dal calore.

Si incendiò la prima casa del villaggio.

Lo shoya, la sua famiglia e tutti gli abitanti del villaggio che avevano messo le maschere antifumo al primo allarme continuarono l'esercizio a loro ben noto di mettere al riparo i beni di valore nei ripostigli di mattoni a prova di fuoco presenti in ogni giardino.

I tetti degli edifici affacciati sulla strada principale cominciarono a bruciare.

 

Trascorsa meno di un'ora dallo scoppio della prima bomba, delle Tre Carpe non restava più traccia e lo Yoshiwara era bruciato quasi del tutto, tra mucchi di cenere e tizzoni ardenti rimanevano soltanto i camini in muratura, le armature di pietra delle case, i mattoni, le pietre e i rifugi di terra battuta. Qualche tazzina e qualche bottiglia di sakè nuovamente fusa e ormai rovinata.

Utensili da cucina di metallo.

Nei giardini distrutti gruppi di abitanti frastornati si aggiravano tra i cespugli bruciacchiati. Intorno alle due o tre locande miracolosamente rimaste in piedi si era creato un deserto.

Fino alla recinzione annerita e al fossato non si vedevano che ceneri e tizzoni.

Il villaggio al di là del fossato stava bruciando, e più lontano, nell'Insediamento, avevano già preso fuoco i tetti di tre edifici confinanti con la Città Ubriaca. Uno di questi, quello del “Guardian”, ospitava anche il nuovo ufficio di Jamie McFay.

Nettlesmith e i suoi impiegati passavano i secchi a Jamie, impegnato in cima alla scala a spegnere le fiamme del tetto. La casa accanto già bruciava. Altri uomini, gli inservienti cinesi e Maureen uscivano ed entravano coraggiosamente dalla porta d'ingresso portando carichi di documenti, matrici per la stampa e tutti gli oggetti di valore sotto una pioggia di tegole di legno infuocate.

Le ondate di fumo provenienti dalla Città Ubriaca li facevano tossire e rallentavano il lavoro. Sul tetto Jamie stava perdendo la sua battaglia: una folata di vento spinse le fiamme verso di lui facendolo quasi cadere dalla scala e fu costretto a scendere sconfitto.

Con il volto annerito e i capelli bruciacchiati mormorò: “E' inutile”.

“Jamie, aiutami con la stampatrice, per l'amor di Dio!” gridò Nettlesmith affacciandosi alla porta, prima di tornare subito dentro. Maureen accennò a seguirlo, ma Jamie la fermò. “No, stai qui! Attenta ai vestiti” aggiunse con un grido che soverchiò il rumore vedendola circondata da una pioggia di tizzoni, poi corse dentro.

Saggiamente lei si ritirò sul lato della strada che si affacciava sul mare dove aiutò gli altri a sistemare al meglio quanto era stato messo in salvo.

Adesso il tetto era completamente in fiamme e quando Jamie e Nettlesmith uscirono con la piccola stampatrice portatile furono bersagliati da una pioggia di tizzoni. Resosi conto che era impossibile salvare il tetto e che l'edificio era condannato, Jamie tornò dentro per aiutare l'editore a prendere i caratteri, colori, inchiostro e qualche rotolo di carta.

In breve non fu più possibile entrare nell'edificio di legno. I due uomini rimasero davanti alla facciata a imprecare, poi furono costretti ad allontanarsi per sfuggire alla caduta delle grandi travi.

“Dannato fuoco” esclamò Jamie sferrando un calcio contro una scatola di caratteri tipografici, poi sentì la mano di Maureen nella sua e si girò.

“Mi dispiace, amore” disse lei con le lacrime agli occhi.

Jamie l'abbracciò e la rassicurò con sincero trasporto: “Non importa, amore, tu sei salva, il resto non conta”.

“Jamie, non arrovellarti ora, aspetta fino a domani, ci penseremo con calma e a mente fredda. Forse non è un vero disastro.”

Furono superati da un gruppo di vigili del fuoco samurai. A segni Jamie chiese a uno di loro una maschera antifumo. L'uomo borbottò qualcosa, poi ne estrasse una manciata dalla manica e proseguì. Jamie infilò le maschere in un secchio d'acqua.

“Ecco, Maureen” disse porgendogliene una, poi ne diede un'altra a Nettlesmith, che imprecava tra sé seduto su un barilotto davanti al mare. Il tetto crollò trasformando l'edificio in una massa infuocata.

“Terribile” disse Jamie a Nettlesmith.

“Sì. Ma non ancora un disastro.” L'esile vecchio indicò il lungomare. Il settore nord dell'Insediamento non era ancora stato raggiunto dalle fiamme, i palazzi della Struan e della Brock e le Legazioni erano intatti. “Con un pò di fortuna l'incendio non si spingerà fin laggiù.”

“Questo vento è micidiale.”

“Sì. Ma qui sul mare siamo al sicuro...” Altri uomini, tra cui Dmitri, accorrevano muniti di scuri. Vedendo il relitto dell'edificio l'americano mormorò: “Jesù, mi dispiace” e senza fermarsi aggiunse: “Vogliamo creare uno spazio per fermare le fiamme”.

Maureen suggerì: “Jamie, vai ad aiutarli. Io qui sono al sicuro”.

“Qui non c'è più niente da fare” disse Nettlesmith, “mi occupo io di lei. Siamo al sicuro e se necessario ripareremo alla Struan.”

Prese carta e matita, sovrappensiero leccò la punta e cominciò a scrivere.

 

Quando le scuri si accanirono contro il tugurio di legno gli edifici a sud erano completamente in fiamme e il vento già fortissimo si rinforzava sempre più. I soldati raddoppiarono gli sforzi, poi una pioggia di tizzoni portati da una folata li costrinse ad arretrare, un'altra li investì e alla fine ripararono in un luogo protetto.

Sconcertato, Dmitri disse: “Cristo, avete mai visto una cosa del genere? Sono tutte polveriere, trappole mortali. Cosa facciamo?”.

“Guardate là!” gridò Jamie. Indicò lo Yoshiwara. Si unirono tutti alla sua corsa, ma mentre si avvicinavano alla recinzione il fumo, il calore e le fiamme diventarono sempre più intensi.

I soccorritori potevano fare ben poco. Niente, in verità. Gli incendi dilagavano troppo velocemente, la gente si affannava a portare secchi di qui e di là, ma non appena un incendio veniva domato ne scoppiavano altri dieci nelle case vicine. Dietro alle donne terrorizzate e ai servi che cercavano di mettersi al sicuro, qualcuno ingombrato di fardelli ma la maggior parte a mani vuote, le poche case da tè rimaste s'illuminavano brevemente come tante falene intorno a una candela: un attimo vive e l'attimo dopo già morte.

Mentre lo Yoshiwara svaniva sotto un cielo scuro di fumo, gli uomini sopraggiunti si confondevano con i sopravvissuti cercando una certa ragazza o la loro mama-san. Jamie si unì a loro scrutando ogni viso alla ricerca di Nemi. Se qualcuno è sopravvissuto Nemi sicuramente ce l'ha fatta, aveva pensato. Ma adesso non ne era più tanto sicuro. I sopravvissuti erano così pochi. Preoccupato, Jamie cercava qualcuno di noto.

Nessuno. “Gomen nasai, Nemi-sam, wakarimasu ka?” Chiedeva se l'avessero vista, ma tutti rispondevano con inchini più o meno formali e con sorrisi forzati: “Iyé, gomen nasai”. No, spiacente.

Tossendo e barcollando, Dmitri uscì da una nuvola di fumo. “I samurai sono bravi a domare il fuoco, abbiamo molto da imparare, ma neppure loro possono fermare questo inferno. Avete trovato Nemi?”

“No, stavo per chiederlo a voi.”

“Forse è dall'altra parte, o laggiù!” disse Dmitri ansimando e indicò il prato che conduceva all'ippodromo, dove qualche lampada a olio si muoveva nell'oscurità. “Alcuni sopravvissuti si stanno radunando là, altri dall'altra parte. Ascoltate, io faccio il giro dalla porta Nord e oltre il canale. Voi cercate nel prato. Se la trovo che cosa le dico?”

“Che sono contento che si sia salvata e che la cercherò domani.” Si accucciarono entrambi per evitare una palla di fuoco che andò a cadere alle loro spalle su una capanna del villaggio. Nella confusione che segui Jamie perse Dmitri e continuò la ricerca fermandosi ad aiutare ovunque potesse. Paradiso Skye lo superò gridando: “Jamie, mi hanno appena detto che Phillip è morto nell'incendio che ha distrutto le Tre Carpe”.

“Dio santissimo, ne siete sicuro? E...” Skye era svanito nel buio.

 

Le Legazioni situate a nord non erano ancora minacciate direttamente, né lo erano il palazzo della Struan, della Brock e gli edifici e i magazzini adiacenti, nonostante il vento fosse molto forte e sempre più caldo. Il lungomare e le strade erano affollati, tutti si preparavano a un'ultima battaglia e altri marinai sbarcavano a terra dalle navi della flotta da cui era partito l'allarme.

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