“Perché vi trovate in una condizione di pericolo mortale, principe, una situazione gravissima. Siete in trappola. Tra noi ci sono delle spie.
Ho bisogno di tempo per trovare le imbarcazioni a Osaka e preparare un piano di battaglia.” E alla fine Sanjiro aveva detto: “D'accordo. Negoziamo”.
Le trattative erano in corso già da sei giorni.
Nel frattempo Sanjiro se ne stava rintanato a Fushimi mentre le sue spie controllavano tutte le vie d'accesso a Kyòto. Come misura di mutua fiducia Sanjiro aveva acconsentito a trasferirsi con i suoi in una posizione meno difendibile e Ogama aveva ritirato tutte le sue forze dall'eventuale via di fuga dei satsuma lasciando solo un drappello simbolico. Poi entrambi avevano incominciato ad aspettare la prima mossa sbagliata dell'altro.
A Kyòto Ogama esercitava un potere assoluto ma discreto, e stringeva con soddisfazione la sua morsa sulle Porte, sostenuto da più di mille samurai, coltivava i daimyo e soprattutto i cortigiani che stavano dalla sua parte.
Riuscì a convincere questi ultimi a chiedere all'imperatore di “domandare” le dimissioni immediate di Anjo e di tutto il Consiglio degli Anziani, di convocare un'assemblea di daimyo a cui fosse conferito il potere di nominare un nuovo Consiglio, con Ogama stesso nel ruolo di tairò, che avrebbe regnato fino al giorno in cui lo shògun Nobusada non fosse giunto alla maggiore età e che in un colpo solo avrebbe sostituito tutti i sostenitori di Toranaga nella Bakufu.
Aveva accolto con grande soddisfazione la notizia dei colpi di cannone sparati dai suoi contro le navi gai-jin, le congratulazioni dell'imperatore e infine l'offerta di tregua di Sanjiro con quelle straordinarie concessioni.
La sua influenza a corte ne era uscita ulteriormente rafforzata.
“La tregua è accettata” aveva comunicato il giorno prima a Katsumata con autorità. “Ratificheremo l'accordo tra sette giorni a partire da oggi qui, nel mio quartier generale.
Poi potrete ritirarvi a Kagoshima.”
Ma quella mattina era giunta notizia della scandalosa iniziativa dello shògun Nobusada di recarsi in visita a corte. Sanjiro aveva immediatamente mandato a chiamare Katsumata. “Cosa mai può aver spinto Anjo e Yoshi a lasciargli commettere una simile follia? Sono forse impazziti?
Comunque vadano le cose per loro sarà una sconfitta.”
“Sono d'accordo con voi, sire, ma ciò rende la vostra posizione ancora più pericolosa. Più vulnerabile.
Finché Ogama ha il controllo delle Porte e quindi dell'accesso all'imperatore, ogni nemico di Ogama è nemico dell'imperatore. “
“Ovvio! Che cosa posso fare? Che cosa suggerisci?”
“Di inviare immediatamente a Ogama una lettera nella quale suggerite un incontro fra tre giorni per discutere le conseguenze della visita dello shògun, lui stesso deve essere sconcertato. Nel frattempo, cioè questa notte stessa, noi approntiamo il nostro piano di battaglia.”
“Non possiamo scappare all'insaputa di Ogama, siamo circondati di spie e le sue truppe sono poco lontano.
Nel momento stesso in cui sente dire che stiamo lasciando il campo si lancerà all'inseguimento.”
“Si, infatti noi lasceremo il campo esattamente com'è. Partiremo alla chetichella portando con noi soltanto le armi. Posso avere la meglio su di lui, lo conosco.”
“Se lo conosci così bene perchè non hai previsto l'attacco a tradimento, eh?” ribatté furibondo Sanjiro.
Oh, infatti ne ero al corrente, pensò Katsumata, ma per il momento mi conveniva di più che Ogama avesse il controllo delle Porte. Non siamo forse sfuggiti alla sua trappola senza subire danni ingenti? Ogama non sarà mai capace di misurarsi con la corte, i daimyo ostili, i tosa, la visita dello shògun Nobusada o la principessa Yazu... inoltre Nobusada non arriverà mai, e sarà Ogama a fare le spese della sua morte.
“Dolente, Sire” disse fingendosi avvilito. “Sto indagando sul perchè le nostre spie non sono state efficienti.
Cadranno alcune teste.”
“Bene.” Appena scesa l'oscurità Katsumata inviò un gruppo di uomini bene addestrati ad assassinare senza il minimo rumore gli ignari soldati choshu che li stavano spiando. Poi, seguendo il piano di battaglia di Katsumata, Sanjiro e il grosso delle forze satsuma, con l'eccezione di Katsumata stesso e dei suoi cento cavalieri, si affrettarono verso sud con l'ordine di lasciare cento uomini ogni tre ri.
Sicuro di sé Katsumata tese il suo agguato sulla strada per Kyòto. Era certo che se fosse sopravvissuto fino all'alba tenendo i choshu impegnati a combattere ben presto questi avrebbero dovuto abbandonare la battaglia e tornare a Kyòto per rafforzare la loro posizione laggiù lasciando soltanto un numero simbolico di uomini all'inseguimento dei satsuma. Già si diceva che le alleanze di Ogama stavano sfilacciandosi, e la notizia era amplificata da voci menzognere abilmente diffuse dagli alleati segreti di Katsumata.
Katsumata aveva scoperto con grande stupore che era lo stesso Ogama a guidare l'inseguimento e che già era arrivato il momento dello scontro definitivo. Karma.
“All'attacco!” gridò Katsumata, e ancora una volta durante la fuga girò di scatto il suo cavallo contro il nemico. Immediatamente la cavalleria che sembrava smembrata si riunì in falangi che si scagliarono con violenza contro i nemici disperdendoli.
L'aria fredda e umida si saturava dell'odore della paura, del sudore e del sangue bruciando le narici. Uomini cadevano a destra e a sinistra, sia nel drappello dei soldati scelti di Katsumata sia nelle schiere di Ogama. Ancora una volta Katsumata fu sul punto di aprirsi un varco fino a Ogama ma ancora una volta venne ingannato e costretto a lanciarsi coi suoi in una precipitosa ritirata. Dei suoi cento cavalieri ne erano sopravvissuti venti.
“Chiamate la riserva! Cinquecento koku per la testa di Katsumata!” gridò Ogama, “e mille per quella del principe Sanjiro!”
“Sire!” Uno dei suoi capitani più valenti gli indicò il cielo. Mentre l'eccitazione della battaglia teneva gli uomini impegnati, nubi di tempesta si erano addensate nel cielo oscurando in parte la luna. “Spiacente ma la strada per Kyòto è difficile e non sappiamo se quegli astuti cani ci stanno preparando un'altra imboscata.”
Ogama rifletté un attimo.
“Richiama la riserva! Prendi cinquanta uomini a cavallo e inseguili. Se mi riporti la testa di uno dei due ti nominerò generale e avrai diecimila koku.
Abbandoniamo la battaglia!” I capitani si precipitarono a trasmettere gli ordini del principe. Ogama scrutò nell'oscurità che si infittiva inghiottendo Katsumata e i suoi uomini. “Per i miei antenati” esclamò con rabbia, “quando sarò tairò il feudo di Satsuma diventerà un protettorato choshu, i trattati verranno cancellati e nessuna nave gai-jin passerà dal mio stretto!” Poi fece girare il cavallo e con le sue guardie personali si lanciò al galoppo verso Kyòto e il destino.
Quella sera nella Legazione francese di Yokohama la festa e il concerto che Seratard aveva organizzato in onore di Angélique stavano riscuotendo grande successo. Il cuoco aveva superato se stesso: pane fresco, ostriche stufate, aragosta fredda, gamberi, pesce allo zenzero e aglio con contorno di porri dell'orto privato di Seratard, tarte au pomme con le mele francesi essiccate che venivano usate solo nelle occasioni più speciali.
Champagne, La Doucette e un Margaux di cui andava particolarmente fiero perchè proveniva dal suo paese natale.
Dopo la cena e i sigari grandi applausi avevano accolto André Poncin, un pianista di talento ma avaro di sé, e altri applausi avevano fatto seguito a ogni pezzo. Ora, passata la mezzanotte, al terzo bis ci fu un applauso a scena aperta mentre l'ultimo dolce accordo di una suonata di Beethoven moriva nell'aria.
“Meraviglioso...”
“Superbo...”
“Oh, André” spasimò Angélique seduta al posto d'onore, accanto al pianoforte, grata alla musica di averle fatto dimenticare ansie e preoccupazioni.
“E' stato meraviglioso.” Agitò il ventaglio con garbo, bellissima come sempre nell'abito nuovo con crinolina e sottogonne che le lasciava le spalle nude e accentuava con una cascata di sottili pieghe di seta verde il vitino di vespa.
“Merci, mademoiselle” replicò Poncin. Si alzò e accennò a un brindisi, gli occhi leggermente velati. “A toi!“
“Merci, monsieur” disse lei. Poi si rivolse a Seratard circondato da Norbert Greyforth, Jamie McFay, Dmitri e altri commercianti, in abito da sera con le camicie di seta guarnite di increspature, panciotti colorati e cravatte, alcune nuove e altre vecchiotte, spiegazzate e stirate in fretta in onore di Angélique.
Erano presenti alla serata alcuni ufficiali della marina e dell'esercito francesi, con le loro uniformi cariche di galloni e mostrine e con i foderi della spada scintillanti, e non si pavoneggiavano meno degli ufficiali inglesi.
Due delle tre donne dell'Insediamento erano presenti nella sala affollata e illuminata da lampade a olio e candele. Mabel Swarin e Victoria Lunkchurch erano ragazzone senza figli sposate a due mercanti che, in preda ai fumi della gelosia a causa di Angélique, in quel particolare momento tenevano i due mariti al guinzaglio. “Adesso, caro signor Swarin” disse Mabel Swatin tirando su col naso indispettita, “Te ne andrai a letto a dire le tue preghiere con una bella tazza di tè inglese.”
“Se sei stanca, mia cara, tu e Vick ...“
“Subito!”
“Anche tu, Barnaby” disse Victoria Lunkchurch con un accento dello Yorkshire non meno pesante dei suoi fianchi, “e togliti qualsiasi pensiero sporco dalla testa, ragazzo mio, prima che te lo faccia passare io!”
“Chi, io? Ma cosa ho fatto?”
“Cos'hai fatto? Tu e quella puttanella straniera... che Dio ti perdoni” esclamò con un tono ancora più velenoso. “Fuori di qui!” Nessuno sentì la loro mancanza né si rese conto che se n'erano andati.
Erano tutti concentrati sull'ospite d'onore; chi si trovava lontano cercava di avvicinarsi a lei come attratto da una calamita, e quelli che le erano già vicino dovevano lottare con i gomiti di chi voleva spodestarli.
“Una splendida serata, Henri” stava dicendo Angélique.
“Grazie a voi. Con la vostra presenza rendete ogni cosa più bella.” Mentre pronunciava galanti luoghi comuni, tra sé e sé Seratard si rammaricava del fatto che Angélique, non essendo ancora sposata, non fosse pronta per una relazione con un uomo di mondo.
Povera ragazza: dovrà sopportare un immaturo e bovino scozzese... certo molto ricco... mi piacerebbe essere il tuo primo amante... sarebbe un piacere insegnarti l'arte dell'amore.
“Sorridete, Henri?” gli chiese lei, consapevole di dover stare in guardia.
“Stavo soltanto pensando al vostro splendido futuro e ciò mi rendeva felice.”
“Ah, come siete gentile!”
“Stavo pensando che...”
“Signorina Angélique, se posso avere l'ardire” li interruppe Norbert Greyforth. Era furente con Seratard che la monopolizzava e disgustato dal fatto che avesse la scortesia di parlare in francese, lingua che lui non conosceva. Detestava lui e tutto quello che riguardava la Francia, a eccezione di Angélique. “Se posso permettermi, questo sabato ci sarà una corsa di cavalli e noi... è una nuova corsa in... ehm... in vostro onore.
Abbiamo deciso di chiamarla la Coppa dell'Angelo, vero Jamie?”
“Sì” rispose McFay.
Anch'egli come Greyforth era membro del Jockey Club e come lui stregato da Angélique. “Noi, be', abbiamo deciso che sarà l'ultima corsa della giornata e la Struan pagherà il premio: venti ghinee per la coppa. Vorreste esserne la madrina, signorina Angélique?”
“Oh sì, con piacere, se il signor Struan è d'accordo.”
“Oh, certo che lo è.” McFay aveva già ottenuto il permesso da Struan, ma tutti quelli che avevano sentito la risposta di Angélique non poterono non chiedersi quali fossero le implicazioni, anche se le scommesse sul fidanzamento erano ormai chiuse.
Anche in privato Struan continuava a mantenere il massimo riserbo benché McFay si fosse sentito in dovere di riferirgli le voci che circolavano.
“Non sono affari loro, Jamie. Nel modo più assoluto.” McFay si era dichiarato d'accordo e aveva taciuto la sua inquietudine. Il capitano di un mercantile arrivato da poche ore, suo vecchio amico, gli aveva consegnato una lettera della madre di Malcolm nella quale gli si richiedeva un dettagliato rapporto confidenziale: Desidero sapere tutto quello che è accaduto dal giorno in cui questa Richaud è arrivata a Yokohama, Jamie.
Ogni cosa, voci, fatti, pettegolezzi, e non c'è bisogno che vi dica che resterà un segreto tra noi.
Dannazione, pensò Jamie, sono vincolato da un sacro giuramento a servire il tai-pan, chiunque egli sia, e ora sua madre vuole... Tuttavia una madre ha dei diritti, non è forse vero? Non sempre, ma la signora Struan ne ha perchè è la signora Struan e... be'... perchè sei abituato a obbedirle. Non esegui forse i suoi ordini da anni?
Per l'amor di Dio, smettila di ingannare te stesso, Tess Struan è stata per anni a capo della ditta al posto di Culum. Perché nessuno ha mai voluto affrontare apertamente questa realtà?
“E' vero” mormorò a voce alta, turbato da quel pensiero, che aveva sempre avuto paura di affrontare.
Subito si pentì di quella distrazione e sentendosi a disagio cercò di camuffare il lapsus. Nessuno sembrava averlo notato.
Nessuno eccetto Norbert Greyforth. “Su che cosa siete d'accordo, Jamie?” chiese nel brusio della conversazione con un sorrisetto insipido.
“Niente, niente, Norbert. Eccezionale serata, vero?” Con suo grande sollievo Angélique venne a trarlo d'impaccio.
“Buonanotte, buonanotte, Henri, signori” disse malgrado le proteste generali. “Mi dispiace ma devo andare a visitare il mio paziente prima di andare a dormire.” Tese la mano. Con un gesto esperto ed elegante Seratard gliela baciò; Norbert, Jamie e gli altri lo imitarono con minore eleganza.
Battendo tutti sul tempo André Poncin disse: “Posso accompagnarvi a casa?”.
“Naturalmente, perchè no? La vostra musica mi ha reso felice.”
Il cielo era coperto e la notte fresca ma piacevole. Lo scialle di lana di Angélique era drappeggiato con grazia intorno alle spalle, la guarnizione della lunga gonna sfiorava con noncuranza la polvere dei marciapiedi di legno, indispensabili durante i mesi in cui le piogge estive trasformavano le strade in pantani. Angélique camminava distrattamente.
“André, la vostra musica è magnifica, oh, come mi piacerebbe suonare come voi” disse sinceramente.