Gai-Jin (41 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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André aveva alzato gli occhi dal fondo del bicchiere.

“Voi siete giovane e puro, resterete qui un anno o due e sembrate desideroso di imparare, perciò pensavo... ci sono così tante cose da imparare da loro, tante cose buone.” Poi era scomparso.

Questo qualche sera prima e adesso varcavano i cancelli dello Yoshiwara.

André estrasse dalla tasca una piccola pistola. “Phillip, siete armato?”

“No.”

André consegnò la sua pistola a un domestico viscido in cambio di una ricevuta. Il giapponese sistemò l'arma insieme a molte altre.

“Non si possono portare armi entro la recinzione, è una regola che vale per tutti gli Yoshiwara, persino i samurai devono separarsi dalle spade. On y va!” Davanti a loro si snodava una grande strada lungo la quale si affacciavano i vicoli affollati di casette strette una all'altra. In alcuni casi si trattava di bar e piccoli ristoranti, tutti costruiti in legno, con verande e porte scorrevoli di shoji, rialzati un poco da terra.

Ovunque macchie di fiori colorati, rumori e risate e lanterne, candele e lampade a olio. “Il fuoco è un grande rischio qui, Phillip. L'anno scorso è bruciato tutto il quartiere ma l'hanno ricostruito in una settimana.” Sulle case campeggiavano insegne che Tyrer non riusciva a decifrare; qualcuna aveva porte e finestre aperte.

All'interno vedeva molte ragazze vestite in modo ricercato o modesto, con kimono adeguati al rango della casa.

Alcune ragazze passeggiavano con ombrellini colorati, altre erano accompagnate da una cameriera e sembravano indifferenti agli uomini che passavano.

C'erano avventori d'ogni genere, e stuoli di servette che elencavano senza peli sulla lingua le virtù di ciascuna casa in un roco pidgin; ovunque risuonavano le battute scherzose dei clienti, che venivano spesso riconosciuti e accompagnati al loro luogo favorito.

Non c'erano giapponesi, solo le guardie, i portatori, i servi e i massaggiatori.

“Non dimenticate, gli Yoshiwara sono luoghi di gioia, per il piacere della carne, per bere e mangiare. In Giappone non esistono né il peccato originale né altri tipi di peccato.” Ridendo André fece strada. I rari ubriachi venivano respinti senz'astio ma in gran fretta da enormi ed esperti buttafuori, e poi costretti a restare seduti sugli sgabelli e riempiti di altro sakè da zelanti cameriere.

“Gli ubriachi sono benvenuti, Phillip, perchè perdono il conto dei soldi che spendono. Ma non mettetevi mai a discutere con un buttafuori, nel combattimento a mani nude non temono rivali.”

“Paragonato ai nostri bassifondi questo posto è disciplinato come la Regent's Promenade di Brighton.”

Un'impetuosa cameriera afferrò Tyrer per un braccio e cercò di attirarlo dentro una porta. “Sakè heya?

Molto buono...”

“Iyé, domo, iyé...” bofonchiò Tyrer. No, grazie, no, e si affrettò a raggiungere André. “Mio Dio, mi sono dovuto proprio liberare con la forza.”

“E' il loro lavoro.” André svoltò infilandosi in un passaggio tra le due case e si fermò davanti a una porta cadente con una insegna sudicia.

Bussò. Tyrer riconobbe gli ideogrammi che André aveva scritto per lui qualche ora prima: Casa delle Tre Carpe.

Una piccola grata si scostò.

Due occhi li scrutarono. La porta si aprì e Tyrer varcò la soglia di quello che gli parve il paese delle meraviglie.

Giardini minuscoli, lanterne a olio e candele. Pietre lucenti nel muschio verde, fiori, aceri piccolissimi, foglie rosse in campo verde, una pallida luce arancione che filtrava dallo shoji. Un ponticello su un fiume in miniatura, una cascata. Inginocchiata sulla veranda c'era una donna di mezza età, la mama-san, vestita e pettinata con grande arte. “Bonsoir, monsieur Furansu-san” disse, e appoggiate le mani sulla veranda, si inchinò.

André ricambiò l'inchino. “Raiko-san, konbanwa. Ikaga desu ka?” Buonasera. Come stai? “Kore wa watashi no lomodachi desu, Tyrersan.” Questo è il mio amico, il signor Tyrer.

“Ah so desu ka? Taira-san?” S'inchinò con gravità e Tyrer ricambiò l'inchino, a disagio. La donna fece cenno a entrambi di seguirla.

“Dice che Taira è un antico e famoso giapponese. Avete fortuna, Phillip, la maggior parte di noi deve accontentarsi di soprannomi. Io sono Furansu-san, più vicino di così a “il francese' non sono riusciti ad arrivare.

Togliendosi le scarpe per non sporcare l'immacolato e costoso tatami, André Poncin sedette a gambe incrociate e spiegò a Tyrer cos'era il takoyama, l'alcova dove si appende uno speciale rotolo e si dispongono i fiori che verranno poi cambiati quotidianamente, e gli illustrò le qualità della carta e del legno usati per le pareti scorrevoli.

Arrivò il sakè. La cameriera era una bambina di non più di dieci anni, non graziosa ma molto abile e silenziosa.

Raiko versò da bere ad André, a Tyrer e infine a se stessa.

Sorseggiò il sakè. André trangugiò in un solo colpo il contenuto della minuscola tazza che tese perchè fosse riempita nuovamente.

Tyrer fece lo stesso trovando il sapore del vino caldo non spiacevole ma abbastanza insipido. Entrambe le tazze vennero ripetutamente svuotate e riempite. Arrivarono altri vassoi e altro sakè.

Tyrer ne perse il conto ma ben presto si sentì avvolto da un piacevole calore, dimenticò il nervosismo e restò a guardare e ascoltare senza capire quasi niente di quello che si diceva.

I capelli di Raiko erano neri e lucenti e adornati con molti piccoli pettini decorati. Il suo volto era coperto da uno spesso strato di polvere bianca; Tyrer non sarebbe stato capace di definirlo né bello né brutto, era soltanto diverso, e la stoffa di seta rosa del kimono era intessuta di carpe verdi.

“Carpa si dice koi, un segno di buona fortuna” gli aveva spiegato André poco prima. “L'amante di Townsend Harris, Shimoda, la cortigiana che la Bakufu gli aveva dato per distrarlo si chiamava Koi. Purtroppo però la cosa non le portò fortuna.

“Oh? Cosa successe?”

“La storia che raccontano le cortigiane qui è che Harris la adorava e che quando se ne andò le lasciò abbastanza soldi perchè lei si potesse sistemare per sempre. Era stata con lui circa due anni. Poco dopo il ritorno di Harris in America lei scomparve. Probabilmente si tolse la vita o si rovinò con l'alcol.”

“Lo amava a tal punto?”

“Dicono che all'inizio, quando la Bakufu la contattò, lei avesse rifiutato con decisione di stare con uno straniero; si trattava di un'aberrazione inaudita, quasi un tabù, non dimenticate che Harris era il primo straniero non religioso autorizzato a vivere sul suolo giapponese.

La donna implorò la Bakufu di rivolgersi a un'altra donna, di lasciarla vivere in pace, disse che sarebbe entrata in un monastero buddista, minacciò persino di togliersi la vita. Ma gli uomini della Bakufu la implorarono di aiutarli a risolvere quel problema con il gai-jin, la pregarono per molte settimane e non si sa con quale mezzo alla fine riuscirono a convincerla.

Dunque lei acconsentì e la Bakufu ringraziò come se fosse stata la salvatrice del paese. Ma quando Harris se ne andò le voltò le spalle insieme a tutti gli altri: Ah, ci dispiace molto, ma una donna che è stata con uno straniero è contaminata per sempre eccetera eccetera.”

“Terribile!”

“Sì, dal nostro punto di vista è molto triste. Ma ricordate che questa è la Terra delle Lacrime. Adesso Shimoda è diventata una leggenda e viene onorata dalle altre cortigiane e anche da coloro che al momento giusto le voltarono le spalle dimentichi del suo sacrificio.”

“Non capisco.”

“Nemmeno io, nessuno di noi capisce. Ma loro si. I giapponesi capiscono.

Che strano, pensò Tyrer. Strano trovarsi in quella casetta in compagnia di un uomo e di una donna che chiacchieravano metà in giapponese e metà in pidgin ridendo, insomma la maitresse e il cliente che fingevano con tanto zelo d'essere altro da quello che erano. Sakè a fiumi. Poi la donna si alzò, si inchinò e scomparve.

“Sakè, Phillip?”

“Grazie. E' un bel posto, non è vero?” Dopo una pausa André disse: “Voi siete la prima persona che io abbia mai portato qui”.

“Oh? Perché proprio io?”

Il francese rigirò la tazza di porcellana tra le mani, trangugiò l'ultimo sorso, versò dell'altro liquore poi cominciò a parlare in francese con voce dolce e piena di calore: “Perché voi siete la prima persona che ho incontrato a Yokohama che... perchè parlate francese, perchè siete educato, perchè la vostra mente è come una spugna, perchè siete giovane, avete all'incirca metà dei miei anni, vero? Avete ventun anni e non siete come gli altri, siete puro, e resterete qua per qualche anno”.

Sorrise, chiudendo la trappola intorno a Tyrer e dicendogli soltanto una parte della verità: “Veramente voi siete la prima persona che io abbia incontrato che... alors, benché siate inglese e in effetti un nemico della Francia, siete il solo che in un certo senso sembri meritare di condividere con me l'esperienza che ho acquisito”.

Gli sorrise con aria imbarazzata.

“E' difficile spiegare. Forse perchè ho sempre desiderato insegnare, forse perchè non ho mai avuto un figlio, o non mi sono mai sposato, forse perchè presto dovrò tornare a Shanghai, forse perchè abbiamo già abbastanza nemici... forse voi potreste essere un vero amico...”

“Sarebbe un onore per me” si affrettò a rispondere Tyrer irretito, “e inoltre io ritengo... davvero, ho sempre ritenuto che noi dovremmo essere alleati, la Francia e l'Inghilterra voglio dire, non nemici e...” Lo shoji scivolò aprendosi su una stanza dove Raiko era in ginocchio sul pavimento.

Fece cenno a Tyrer di avvicinarsi. Il cuore del giovane sobbalzò.

André Poncin sorrise. “Andate da lei e ricordate quello che vi ho appena detto.”

Come in sogno Phillip Tyrer si alzò e la segui con passo incerto lungo un corridoio, dentro una stanza, attraverso la stanza su una veranda e in un'altra stanza vuota dove lei gli fece cenno di accomodarsi e dove, richiuso lo shoji, lo abbandonò.

Una lampada a olio schermata, un braciere per riscaldare, ombre e oscurità e macchie di luce, futon piccoli materassi quadrati, adagiati sul pavimento come un letto, un letto per due persone. Coperte lanuginose.

Due yukata, le vestaglie di cotone dalle ampie maniche, per dormire.

Al di là di una piccola porta un bagno illuminato dalle candele con una vasca alta e piena di acqua bollente.

Un sapone al profumo dolce.

Uno sgabello basso a tre gambe. Asciugamani minuscoli. Tutto come André aveva descritto.

Il cuore di Tyrer batteva molto in fretta.

Tra i fumi dell'alcol cercò di costringersi a ricordare le istruzioni dategli da André.

Metodicamente cominciò a svestirsi: giacca, panciotto, cravatta, camicia, maglia di lana, ciascun indumento piegato con meticolosità e appoggiato con nervosismo.

Sedendosi si sfilò le calze, poi, con molta riluttanza, i pantaloni, e rimase con i lunghi mutandoni di lana. Indugiò un attimo prima di superare l'ultimo imbarazzo, si sfilò i mutandoni e li ripiegò con maggior cura di quella dedicata agli altri indumenti.

Il freddo gli fece venire la pelle d'oca.

Entrò nel piccolo bagno.

Spillò dell'acqua dalla botte come gli era stato detto e si lavò. Sentendo i], fruscio della porta scorrevole si girò a guardare. “Dio onnipotente” mormorò.

Entrò una donna bassa e tozza, con avambracci di dimensioni spaventose, che indossava una corta yukata e un perizoma. Gli si avvicinò con aria determinata e un vacuo sorriso e gli fece cenno di sedere sullo sgabello. In preda a un imbarazzo che non lasciava scampo, Tyrer obbedì.

La donna notò immediatamente la cicatrice sul braccio non ancora perfettamente rimarginata e disse qualche cosa che lui non riuscì a capire.

Si sforzò di sorridere. Tokaidò.

“Wakayimasu.” Capisco. Prima che la potesse fermare lei cominciò a versargli acqua sulla testa, era una cosa del tutto inaspettata, lo insaponò e lavò i lunghi capelli, poi passò a lavargli il corpo con dita decise ed esperte prestando molta attenzione a non sfiorare la ferita.

Braccia, gambe, dorso, petto, poi gli tese la pezzuola indicando tra le gambe. Sempre in preda allo shock lui eseguì e restituì il cencio.

“Grazie” mormorò.

“Oh, mi dispiace, domo.” Altra acqua per togliere gli ultimi residui di sapone e a quel punto la donna indicò la vasca. “Dozo!” Prego.

André aveva spiegato: “Phillip ricordatevi soltanto che a differenza di quello che facciamo noi, qui ci si deve lavare e ripulire per bene prima di entrare nella vasca così anche altri potranno usarla dopo di noi.

Il legno è molto costoso e ce ne vuole tanto per riscaldare tutta quell'acqua, perciò non pisciateci dentro e non pensate a quella persona come a una donna mentre siete nella vasca ma soltanto a qualcuno che vi aiuta.

Vi pulisce prima fuori e poi dentro, giusto?” Tyrer si accomodò nella vasca.

L'acqua era calda al punto giusto.

Chiuse gli occhi perchè non voleva vedere la donna che riordinava. Cristo, pensò infelice, non sarò mai capace di fare niente con lei. André ha commesso un enorme sbaglio.

“Ma... be', io... ehm... non so quanto devo pagare, o devo dare i soldi alla ragazza prima?”

“Mon Dieu, non dovete assolutamente mai dare i soldi alla ragazza, sarebbe il massimo delle cattive maniere, ma si può invece contrattare all'ultimo sangue con la mama-san e a volte anche con la ragazza, ma soltanto dopo aver bevuto il tè o il sakè.

Prima di andarvene lascerete discretamente i soldi dove lei possa vederli. Nella Casa delle Tre Carpe non si lasciano soldi.

E un posto speciale, ce ne sono altri che funzionano nello stesso modo, soltanto per clienti molto speciali, e io sono uno di questi.

Loro mandano il conto due o tre volte l'anno. Ma fate attenzione, prima che vi ci porti dovete giurare davanti a Dio che pagherete il conto nel momento in cui vi verrà presentato e che mai, mai porterete qualcun altro nella casa o ne parlerete in giro.”

Perciò Tyrer aveva giurato e promesso tenendo per sé tutte le domande che avrebbe voluto fare. “E il... ehm... conto, quando arriva il conto?”

“Quando lo decide la mama-san. Come vi ho già detto, Phillip, potrete godere il piacere di un intero anno di credito. Ovviamente io rappresento una garanzia per voi...” Il calore dell'acqua l'aveva rilassato. Quasi non si accorse che la donna era uscita per tornare dopo qualche minuto.

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