“Si, senhor.”
“C'è anche il giapponese dell'ultima volta?”
“Senhor?”
“Il giovane samurai che parlava un pò l'inglese?”
“Non ho partecipato alla trattativa, senhor, ero in licenza in Portogallo.”
“Ah sì, ora ricordo.”
Il salone dove venivano ricevuti gli ospiti di palazzo Struan era enorme e nel mezzo troneggiava un tavolo di quercia che poteva accogliere fino a quarantadue persone.
C'erano poi altri tavolini e cassettoni adatti all'argenteria, bacheche di vetro scintillante con alcune armi. McFay ne aprì una, ne estrasse una cintura con pistola nella fondina, allacciò la cintura intorno alla vita e si accertò che la pistola fosse carica e pronta per essere estratta. Era sua abitudine non incontrare mai i samurai disarmato.
“Per non perdere la faccia” spiegava ai subalterni, “nonché per ragioni di sicurezza.”
In sovrappiù appoggiò il fucile Spencer allo schienale di una sedia e andò accanto alla finestra per tenere sempre d'occhio la porta.
Vargas rientrò accompagnando tre uomini.
Uno di mezza età, grasso, unto e disarmato, Kinu, il loro fornitore. Gli altri due erano samurai, uno sembrava poco più di un ragazzo mentre l'altro aveva circa quarant'anni.
Erano entrambi piccoli e magri, con i volti duri, e armati, come previsto.
Si inchinarono.
McFay notò che a nessuno dei due era sfuggito lo Spencer sulla sedia. Ricambiò l'inchino. “Ohayo” disse. Buongiorno.
Poi aggiunse: “Dozo” prego, indicando le sedie a distanza di sicurezza.
“Buongiorno” rispose il più giovane senza sorridere.
“Ah, parlate inglese? Eccellente. Accomodatevi, prego.”
“Parlare un poco” disse il giovane prima di rivolgersi a Vargas in fugianese, il loro dialetto comune.
Poi i due si presentarono e dissero di essere emissari del principe Ogama di Choshu.
“Io sono Jamie McFay direttore della Struan and Company in Giappone e sono onorato di conoscervi.” Vargas tradusse.
Con pazienza Jamie si sottopose agli inevitabili quindici minuti di interrogatorio sulla salute del loro daimyo e sulla propria, su quella della regina, su che tempo faceva nel feudo di Choshu e in Inghilterra, niente di particolare, tutto secondo le loro regole. Il tè venne servito e apprezzato e infine il più giovane dei due emissari di Ogama venne al dunque.
Vargas si guardò bene dall'esprimere l'eccitazione che provava.
“Vogliono comperare un migliaio di fucili a retrocarica con un migliaio di cartucce di bronzo per ogni arma.
Dobbiamo fissare un buon prezzo e consegnarli entro tre mesi. Se ce la facciamo entro due pagheranno una maggiorazione del venti per cento.” McFay si dimostrò altrettanto calmo.
“Non desiderano altro per il momento?” Vargas tradusse la domanda. “No, senhor, ma chiedono mille colpi per fucile e un piccolo piroscafo.” McFay stava conteggiando l'enorme profitto che avrebbe ricavato da quell'affare.
Ricordò la conversazione avuta con Greyforth e la ben nota ostilità dell'ammiraglio e del generale, sostenuti da sir William, verso la vendita di qualsiasi tipo d'arma. Non poteva dimenticare i diversi omicidi avvenuti a opera di giapponesi.
Né Canterbury fatto a pezzi. Lui stesso non approvava la vendita di armi. Era giusto, trattandosi di una popolazione tanto bellicosa?
“Digli che potrò dargli una risposta soltanto fra tre settimane.”
Vide il bel sorriso svanire dal volto del giapponese più giovane.
“Risposta... adesso. No tre settimane.”
“Non avere fucili qui” gli rispose McFay sillabando le parole.
“Dovere scrivere a Hong Kong, alla direzione, nove giorni per andare e nove per tornare. Alcuni fucili sono là.
Il resto in America. Quattro o cinque mesi minimo.”
“Non capire.” Vargas tradusse.
Poi seguì una conversazione tra i due samurai e il mercante rispose alle loro domande con gravità. Altre domande a Vargas e cortesi risposte. “Dice molto bene, lui oppure un ufficiale di Choshu tornerà tra ventinove giorni.
Questa transazione deve restare segreta.”
“Ovviamente.” McFay guardò il giovane. “Segreta.”
“Hai! Segreta!”
“Chiedetegli come sta Saito, l'altro samurai.”
Vide i giapponesi irrigidirsi ma non riuscì a decifrare l'espressione dei loro volti.
“Non lo conoscono personalmente, senhor.”
Altri inchini e Jamie rimase di nuovo solo. Assorto nei suoi pensieri ripose il cinturone nella bacheca.
Se non glieli vendo io glieli venderà Norbert, pensò, a dispetto di qualsiasi considerazione di ordine morale.
Vargas ritornò molto compiaciuto. “Un'ottima occasione, senhor, ma anche una grossa responsabilità.”
“Si. Mi chiedo che cosa dirà questa volta la direzione.”
“Facile scoprirlo, senhor, e rapido. Non dovete aspettare diciotto giorni, non abita forse al piano di sopra il nostro capo?”
McFay lo fissò. “Io sia dannato.
L'avevo dimenticato! Difficile pensare al giovane Malcolm come al tai-pan, il padrone. Hai ragione.”
Sentirono un rumore di passi affrettati e la porta si aprì.
“Scusate se mi precipito in questo modo” disse Nettlesmith ansimando e con il cappello di traverso.
“Ma ho pensato che fosse meglio informarvi. Pochi minuti fa alla Legazione abbiamo visto la bandiera azzurra salire... poi scendere e risalire, poi ridiscendere ancora a mezz'asta e restare così.” Jamie lo guardò a bocca aperta.
“Che cosa diavolo vuol dire?”
“Non so, so soltanto che una bandiera a mezz'asta di solito significa una morte, non è vero?”
Molto nervoso, l'ammiraglio puntò un'altra volta il binocolo sul pennone della Legazione; gli altri erano dietro di lui sul ponte, i capitani della flotta, Marlowe, il generale, l'ammiraglio francese e von Heimrich, molto preoccupato, Seratard e André Poncin che invece fingevano soltanto di esserlo ma in realtà nutrivano una grande indifferenza per le difficoltà in cui versava sir William.
Quando un'ora prima l'uomo di vedetta aveva dato l'allarme, tutti si erano precipitati sul ponte abbandonando il tavolo della colazione.
Tutti eccetto il ministro russo.
“Se volete aspettare al freddo, accomodatevi, ma non pretendetelo da me.
Quando si capirà se la risposta è si, no, oppure guerra, per favore svegliatemi. Se cominciate a fare fuoco chiamatemi che vengo a darvi man forte...”
Marlowe osservava il rotolo di grasso sul colletto dell'ammiraglio.
Lo detestava e avrebbe tanto voluto essere a terra con Tyrer o a bordo della sua nave, la Pearl.
A mezzogiorno l'ammiraglio aveva sostituito il capitano temporaneamente in carica con una perfetta nullità, un certo tenente Dornfild, contro il parere di Marlowe. Maledetto vecchio bastardo, guarda come si gingilla pomposo con quel binocolo, lo sappiamo tutti che sono strumenti molto costosi dati in dotazione solo a capitani e ammiragli. Maledetto vecchio...
“Marlowe!”
“Sì, signore.”
“Dobbiamo scoprire subito che cosa diavolo succede. Andate a terra... No, ho bisogno di voi qua! Thomas, vorreste per cortesia essere così gentile da mandare un ufficiale alla Legazione? Marlowe, mandate anche un segnalatore.”
Immediatamente il generale fece un cenno col pollice al suo aiutante che si precipitò, seguito a pochi passi da Marlowe. Seratard si strinse intorno al corpo il pesante cappotto che lo proteggeva dal vento.
“Ho paura che sir William sia in trappola.”
“Ricordo di aver già sentito la vostra opinione in proposito questa mattina” tagliò corto l'ammiraglio.
Si riferiva a un incontro al quale avevano partecipato alcuni ministri ma che aveva prodotto, malgrado grida e strepiti, unicamente la proposta del conte Zergeyev di un immediato attacco in forze.
“Un attacco, mio caro conte” aveva sottolineato l'ammiraglio in tono acido, “che non possiamo sferrare se dobbiamo limitarci a un semplice bombardamento per distruggere la città e gli immediati dintorni.” Ketterer guardò Seratard con una smorfia; la loro antipatia era reciproca.
“Sono certo che sir William troverà una risposta ma vi dico francamente, per Dio, che se vedo ammainare la nostra bandiera Edo brucerà!”
“Sono d'accordo con voi” disse Seratard. “E' una questione di onore nazionale!” Il volto di von Heimrich s'indurì. “I giapponesi non sono stupidi come qualcuno di mia conoscenza. Non posso credere che sottovalutino le forze di cui disponiamo in questo momento.”
Il vento s'alzò all'improvviso facendo scricchiolare le sartie e tingendo il mare sotto le nubi grigie di una tonalità più scura. Tutti gli occhi si volsero alla linea nera del ciclone all'orizzonte orientale.
Il temporale si avvicinava minaccioso e la loro posizione in porto era troppo esposta.
“Marlowe, mandate un... Marlowe!” urlò l'ammiraglio.
“Sì, signore?” Marlowe ritornò correndo.
“Per l'amor di Dio, restate a portata di voce! Segnalate a tutte le navi: “Preparatevi a far fronte al temporale. Se le condizioni peggiorassero in fretta al mio ordine agite individualmente. Ci ritroveremo a Kanagawa quando le condizioni climatiche lo permetteranno”.
Voi capitani tornate sulle vostre navi sinché il tempo lo consente.” Gli ufficiali si allontanarono con piacere.
“Tornerò anch'io sulla mia nave” disse l'ammiraglio francese. “Bonjour, messieurs.”
“Verremo con voi, monsieur” disse Seratard. “Grazie per la vostra ospitalità, ammiraglio Ketterer.”
“E il conte Alexi? E' venuto con voi, non è vero?”
“Lasciatelo dormire. Meglio che l'orso russo dorma, n'est ce pas?” domandò Seratard con freddezza a von Heimrich. Entrambi erano perfettamente al corrente delle manovre segrete della Prussia che chiedeva allo zar di restare neutrale consentendole in questo modo di espandersi in Europa e soddisfare una politica di stato ormai evidente: una grande nazione germanica che riunisse popolazioni di lingua tedesca e guidata dalla Prussia.
Correndo per raggiungere il segnalatore Marlowe vide la sua nave all'ancora e si preoccupò per la sua sorte; detestava l'idea di non prenderne il comando. A disagio, gettò un'altra occhiata verso il mare cercando di valutare la direzione del temporale, il peso delle nubi che si addensavano, l'odore e il sapore del sale nel vento.
“Sarà una bella gatta da pelare.”
Nella sala delle udienze della Legazione sir William, attorniato da un ufficiale scozzese, da Phillip Tyrer e da alcune guardie, sedeva impettito davanti a tre ufficiali giapponesi piuttosto rilassati: erano Adachi, daimyo di Mito, l'anziano con i capelli grigi, il finto samurai Misamoto e per finire un piccolo ufficiale bakufu con la pancia prominente che conosceva l'olandese e il cui incarico ufficioso era di fare un rapporto privato a Yoshi sull'incontro e il comportamento degli altri due.
Come d'abitudine i giapponesi avevano declinato false generalità.
Nel cortile della Legazione erano arrivati cinque palanchini allo stesso modo del giorno prima, e un'uguale cerimonia era seguita.
Solo il numero delle guardie era aumentato. Il fatto che i palanchini fossero cinque per tre passeggeri aveva subito insospettito sir William che, già innervosito dal continuo andirivieni notturno di samurai intorno al tempio e alla Legazione, aveva deciso di inviare un segnale d'allarme parziale alla flotta mettendo una bandiera abbrunata nella speranza che Ketterer capisse.
Anche Hiraga, sempre travestito da giardiniere, era rimasto molto perplesso nel vedere i due palanchini vuoti e soprattutto nello scoprire che Toranaga Yoshi non faceva parte della delegazione.
Ciò significava che si doveva cancellare il piano d'attacco, studiato con tanta attenzione, per far cadere Yoshi in un'imboscata sulla strada del ritorno, nei pressi delle porte del castello.
Cercò di dileguarsi per avvisare i compagni ma un samurai gli ordinò in tono irritato di tornare al lavoro. Hiraga rimandò la fuga a un momento migliore.
“Siete in ritardo di due ore e mezzo” esordì gelido sir William, come saluto d'apertura. “Nei paesi civilizzati gli incontri diplomatici si svolgono all'ora stabilita, non in ritardo!”
Seguirono immediate e fiorite scuse, poi i soliti preamboli obbligatori e complimenti zuccherosi e sfoggio di gentilezza, e un'altra ora buona di perdite di tempo, di richieste respinte con calma, ponderose discussioni, richieste di rimandi e aggiornamenti, espressioni sbalordite dove non ce n'era alcun bisogno, domande ripetute all'infinito, fatti trascurati, verità negate, alibi, spiegazioni, ragionamenti e scuse cortesi.
Sir William era sul punto di esplodere quando con grande formalità l'anziano, Adachi, estrasse un rotolo sigillato che tese all'interprete che lo porse a Johann.
La stanchezza di Johann passò all'improvviso. “Gott im Himmel!
Porta il sigillo del Roju.”
“Come?”
“Il Consiglio degli Anziani. Riconoscerei questo sigillo tra mille, è lo stesso apposto sul rotolo dell'ambasciatore Harris. Vi consiglio di accettarlo formalmente, sir William, poi io ne leggerò ad alta voce il contenuto, se è in olandese, ma ne dubito.” Soffocò uno sbadiglio nervoso.
“Con ogni probabilità si tratta soltanto di un'altra tattica per rimandare.” Sir William fece come suggeriva l'interprete, furente di essere solo e di dover contare su interpreti mercenari e per di più stranieri.
Johann ruppe il sigillo e diede un'occhiata al documento. Il suo stupore fu evidente a tutti: “E' in olandese, per Dio! Tralasciando titoli, formalità eccetera dice:
Il Consiglio degli Anziani avendo ricevuto ciò che ritiene essere una giusta lamentela si scusa per l'incuria dei suoi sudditi e desidera invitare l'onorevole ministro degli inglesi e gli altri ministri accreditati a un incontro con il Consiglio a Edo fra trenta giorni da oggi allorché le proteste formali saranno presentate e la questione discussa.
E verranno deliberate le azioni da intraprendere e stabilito un indennizzo per l'accaduto che sarà giustamente pagato.
Firmato... Nori Anjo, Capo Ministro.
Sir William soffocò l'enorme sollievo che provava.
Quell'incredibile svolta gli dava la possibilità di cui aveva disperatamente bisogno per non fare una pessima figura, e se fosse riuscito a ottenere qualche altra piccola concessione... Con orrore vide che Tyrer stava sorridendo apertamente.