Moll Flanders (Collins Classics) (22 page)

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Authors: Daniel Defoe

Tags: #Fiction, #Classics

BOOK: Moll Flanders (Collins Classics)
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Era davvero un tipo schietto e pieno di garbo, ed era questa la cosa che mi dava più dolore. In fondo, è una certa consolazione rovinarsi per un uomo d’onore, anziché per un mascalzone; ma in quel caso il guaio più grosso l’aveva passato lui, perché davvero aveva speso una quantità di soldi, illuso dalla mediatrice. In primo luogo, va rilevata la bassezza di quella persona che, per prendersi lei un centinaio di sterline, aveva tranquillamente lasciato spendere a lui tre o quattro volte tanto, e forse più, quando poteva darsi non avesse altro al mondo; e l’aveva fatto senza possedere, al di fuori di un pettegolezzo fatto davanti a una tazza di tè, nessun fondato motivo per affermare che io avevo una rendita, o qualcosa di simile. Vero è che il disegno di imbrogliare una donna ricca, se così era stato, è piuttosto basso; travestire con un’apparenza grandiosa la povertà reale è un imbroglio, un gran brutto imbroglio; ma il caso era anche un po’ diverso, e questo giocava a suo favore, perché lui non era un avventuriero che facesse il mestiere d’imbrogliare le donne e, come certi fanno, arraffare sei o sette patrimoni uno dopo l’altro e, riempito il sacco, sparire abbandonandole; e benché, se fossi stata io davvero ricca, avrei dovuto andare in collera per quella porcheria d’imbroglio compiuto ai miei danni, pure, per l’uomo che era, poteva anche valer la pena di puntar su di lui un piccolo patrimonio, perché era veramente una persona gentile, di idee brillanti, intelligente e molto spiritoso.

Avemmo una lunga conversazione, quella notte, perché nessuno dei due dormì gran che; lui di avermi imbrogliata era pentito come un ladro alla vigilia di salire sul patibolo; di nuovo mi offrì tutto il denaro che aveva fino all’ultimo scellino, disse che si sarebbe arruolato nell’esercito e sarebbe andato in giro per il mondo in cerca di fortuna.

Io gli domandai perché era stato così cattivo da volermi condurre in Irlanda, dove capivo ora che non avrebbe mai avuto i mezzi per mantenermi. Lui mi prese fra le braccia. “Cara,” disse, “credimi, non ho mai pensato sul serio di partire per l’Irlanda, e tanto meno di condurvi te, ma sono venuto qui per sottrarmi agli sguardi della gente che mi conosceva per quel che io fingevo di essere, e al tempo stesso perché nessuno potesse chiedermi il denaro prima che io fossi in grado di sborsarlo.”

“Ma allora,” dissi io, “dove andremo adesso?”

“Bene, mia cara,” disse lui, “ti confesserò tutto il mio piano così come l’avevo concepito: io mi proponevo di farti qui qualche domanda sulle tue rendite, come hai visto che ho fatto, e quando tu, come mi attendevo, m’avresti dato qualche notizia, avrei trovato una scusa per rinviare di qualche tempo il viaggio in Irlanda e andare invece prima a Londra. Poi, mia cara,” dice, “avevo deciso di confessarti ogni trucco del mio comportamento con te, spiegarti che m’ero servito di quei trucchi per ottenere che tu mi sposassi, ma che ora mi rimaneva solo da chiederti perdono, e dirti quanto mi sarei dato ora da fare, come ho già detto, per farti dimenticare il passato grazie alla felicità dei giorni che dovevano venire.”

“Sinceramente,” io gli dissi, “penso che mi avresti conquistata facilmente; e mi addolora adesso non essere in grado di dimostrarti quanto facilmente io avrei fatto la pace con te, e ti avrei perdonato tutti i tuoi trucchi per l’allegria della storia. Ma, caro mio,” dico, “che possiamo fare adesso? Siamo rovinati tutti e due, e a che ci serve aver fatto la pace, visto che non abbiamo i mezzi per vivere?”

Facemmo molti progetti, ma non ne veniva fuori nessuno dal quale si potesse incominciare. Lui mi pregò alla fine di non parlarne più, perché, disse, gli spezzavo il cuore; così parlammo d’altre cose per un po’, finché lui si pigliò da me quel che come marito gli toccava, e ci addormentammo.

Lui al mattino si alzò prima di me; per la verità, poiché ero rimasta sveglia quasi tutta la notte, io avevo molto sonno e restai a letto fin quasi alle undici. In quel tempo lui prese i cavalli, i tre servitori, tutta la biancheria e tutti i bagagli e via se ne andò, lasciandomi sul tavolo la breve e commovente lettera che segue:

“Mia cara,

“sono un porco; ho approfittato di te; ma vi sono stato trascinato da una persona abbietta, contro ogni mio principio e contro ogni abitudine della mia vita. Perdonami, mia cara! Ti chiedo perdono con tutta sincerità; sono stato il più miserabile degli uomini ad illuderti così. Sono stato tanto felice di averti, quanto sono ora disperato d’essere costretto a fuggire da te. Perdonami, mia cara; ancora una volta te lo chiedo, perdonami! Non posso sopportare l’idea di vederti rovinata per causa mia, e di non poterti mantenere. Il nostro matrimonio non conta nulla; io non avrò mai più occasione di incontrarti; te ne sciolgo qui; se puoi maritarti di nuovo convenientemente, non rinunziarvi per causa mia; ti giuro qui sulla mia parola, e sulla mia spada di uomo d’onore, che non turberò il tuo rifugio, se mai ne verrò a conoscenza, il che tuttavia non è probabile. D’altra parte, se non ti mariterai, e se la buona fortuna mi sorriderà, sarà tutto tuo, dovunque tu sia.

“Ho messo nella tua tasca una parte del denaro che mi è rimasto; fissa i posti sulla diligenza per te e per la cameriera e vai a Londra; spero che ti basterà per pagare il viaggio fin là, senza che tu debba intaccare il tuo. Di nuovo ti chiedo sinceramente perdono, e lo farò ogni volta che penserò a te. Adieu, mia cara, per sempre! Sono il tuo affezionatissimo

J.E.”

Nulla di quello che mi è accaduto in vita mia mi ha mai ferito profondamente il cuore quanto quell’addio. Mille volte nel mio pensiero lo rimproveravo per avermi abbandonata, perché con lui sarei stata pronta ad andare in capo al mondo, avessi anche dovuto mendicare il pane. Misi la mano in tasca e trovai dieci ghinee, il suo orologio d’oro e due anellini, uno con un brillante, che poteva valere sei sterline, e l’altro un semplice cerchietto d’oro.

Rimasi seduta a fissare quegli oggetti per un paio d’ore, senza quasi dir parola, finché venne la mia cameriera a dirmi che il pranzo era servito. Mangiai qualcosa, ma, dopo pranzo, fui colta da una violenta crisi di pianto, e di quando in quando invocavo il suo nome, che era James. “Oh, Jemmy,” dicevo, “ritorna, ritorna. Ti darò tutto quel che ho. Te ne prego, farò la fame con te.” E giravo smaniosa per la stanza, ora gettandomi a sedere, ora alzandomi a passeggiare di nuovo, lo invocavo perché tornasse, e mi rimettevo a piangere; passai così il pomeriggio, fin verso le sette di sera, ed era quasi buio poiché si era d’agosto, quando, con mia indicibile sorpresa, eccolo tornare alla locanda, ma senza servitori, e sale direttamente in camera mia.

Io ero agitata come si può credere, e lui anche. Non riuscivo a immaginare la ragione di ciò, e incominciai a chiedermi fra me se dovevo esserne lieta o addolorata; ma il mio affetto prevalse su tutto il resto, e mi fu impossibile nascondere la mia gioia, troppo grande per poterla esprimere con i sorrisi, tanto che scoppiai in lacrime. Lui era appena entrato nella stanza che mi prese fra le braccia, tenendomi stretta, quasi togliendomi il respiro coi baci, ma non disse una parola. Alla fine incominciai io. “Mio caro,” dissi, “come hai potuto abbandonarmi?” al che lui non rispose, perché non riusciva a parlare.

Passato il momento dell’estasi per tutti e due, lui mi disse che aveva fatto quindici miglia ma non era stato capace di proseguire senza tornare a vedermi, per darmi ancora un saluto.

Io gli dissi come avevo trascorso il mio tempo, come l’avevo invocato ad alta voce perché tornasse. Lui mi disse che m’aveva udita perfettamente dalla foresta di Delamere, un luogo a dodici miglia di distanza. Io sorrisi. “Sicuro,” dice lui, “non credere che stia scherzando, perché, quant’è vero che conosco la tua voce, ti ho sentita che mi chiamavi forte, e in certi momenti mi pareva che mi stessi correndo dietro.”

“Ma,” dico io, “che cosa dicevo?” Infatti non gli avevo riferito le parole.

“Gridavi forte,” dice lui, “e dicevi: Oh, Jemmy, Jemmy, ritorna, ritorna.”

Io risi. “Mia cara,” dice lui, non ridere, perché, credimi, ho sentito chiaramente la tua voce come tu in questo momento senti la mia; se vuoi, andrò davanti a un magistrato e lo ripeterò sotto giuramento.”

Allora io incominciai ad essere sorpresa, meravigliata, quasi spaventata, e gli dissi che cosa avevo fatto realmente, e in che modo l’avevo invocato, come s’è detto.

Dopo che ci fummo ancora un po’ divertiti con ciò, io gli dissi: “Bene, adesso non te ne andrai. Piuttosto verrò io in capo al mondo con te.” Lui mi disse che sarebbe stato molto difficile per lui lasciarmi, ma poiché così doveva essere sperava che io riuscissi a prenderla nel modo migliore per me; quanto a lui, lo capiva benissimo, era rovinato.

Mi disse comunque di aver ripensato al consiglio che mi aveva dato di andare da sola fino a Londra, era un viaggio troppo lungo per me; e lui poteva benissimo andare in quella direzione anziché in un’altra, voleva sapermi sana e salva laggiù, o lì vicino; e se allora se ne andava senza darmi il solito saluto, non dovevo avermene a male; e questo me lo fece promettere.

Mi raccontò come aveva licenziato i suoi tre servi, venduto i loro cavalli, e detto ai servi di andarsi a cercar fortuna per conto loro, il tutto in pochissimo tempo, in una cittadina lungo la strada, della quale non so il nome. “E,” dice, “m’è venuto da piangere, solo com’ero, al pensiero che quelli eran tanto più felici del loro padrone, perché dovevano soltanto bussare alla prima casa di signori per cercar servizio, mentre io,” disse, “non sapevo dove andare né che fare di me.”

Io gli dissi che mi aveva dato un tale dolore separarmi da lui da non poter stare peggio; e adesso che era tornato non volevo più staccarmi da lui, e se mi teneva con sé l’avrei lasciato andare dove voleva e fare quel che voleva. Intanto ero d’accordo che andassimo tutti e due a Londra; ma non potevo accettare che lui alla fine se ne andasse senza nemmeno darmi un saluto, come aveva detto; gli dissi, scherzando, che se l’avesse fatto l’avrei richiamato indietro gridando forte, come avevo fatto prima. Poi tirai fuori il suo orologio e glielo restituii, con i due anelli e le dieci ghinee; ma lui non li volle indietro, il che mi fece sospettare che volesse riprender la strada e lasciarmi.

La verità è che la situazione in cui lui si trovava, le espressioni appassionate della sua lettera, il suo modo gentile e signorile di comportarsi con me, il fatto d’andarsene lasciandomi una gran parte di quel poco che aveva, tutto ciò mi aveva talmente impressionato che lo amavo ora veramente con tenerezza e non potevo accettare l’idea di separarmi da lui.

Due giorni dopo lasciammo Chester, io in diligenza e lui a cavallo. A Chester io licenziai la cameriera. Lui era contrario all’idea che io facessi a meno della cameriera, ma siccome quella era una serva assunta in quel paese, e a Londra avevo deciso di non tener servitù, gli dissi che sarebbe stato crudele portar via la povera ragazza e appena arrivati in città licenziarla; sarebbe inoltre stata un peso inutile durante il viaggio; così lo convinsi e mi dette ragione.

Venne con me fino a Dunstable, a meno di trenta miglia da Londra, e poi mi disse che la sua sorte e le sue disgrazie lo costringevano a lasciarmi e che non era opportuno per lui venire a Londra, per motivi che non aveva importanza io conoscessi, e mi accorsi che si preparava ad andarsene. La diligenza sulla quale ero non si fermava di solito a Dunstable, ma, siccome io avevo bisogno di un quarto d’ora, quelli accettarono di fermarsi alla porta di una locanda e noi entrammo dentro.

Nella locanda io gli dissi che avevo ancora un favore soltanto da domandargli e cioè che, visto che non voleva proseguire, mi consentisse di passare ancora un paio di settimane in quella città con lui, così da potere in quel frattempo escogitare qualcosa di meno disastroso per tutti e due che una separazione definitiva; e io avevo una proposta da fargli, di cui non gli avevo ancora parlato, e poteva darsi che lui la trovasse utile nella nostra reciproca convenienza.

Era quella una richiesta troppo ragionevole per poterla respingere, così lui chiamò la padrona e le disse che sua moglie s’era ammalata, tanto da non sentirsi di proseguire con la diligenza, che l’aveva affaticata mortalmente, e le domandò se poteva trovarci alloggio per due o tre giorni in casa privata, dove io potessi riposarmi un po’, perché il viaggio era stato troppo duro per me. La padrona, una gran brava donna, gentile e bene educata, venne immediatamente a trovarmi; mi disse che aveva due o tre stanze in una parte della casa lontana da ogni rumore, non dubitava che se le avessi viste mi sarebbero piaciute, e potevo avere a disposizione una delle sue cameriere, che non avrebbe dovuto occuparsi d’altro che di me. Ciò fu tanto gentile che io non potei fare a meno di accettare ringraziandola; così andai a dare un’occhiata alle stanze, mi piacquero molto, erano veramente un alloggio molto simpatico, con mobili molto belli; pagammo perciò la diligenza, ritirammo il bagaglio e decidemmo di fermarci lì per un po’.

Là io gli dissi che intendevo ora vivere con lui finché durava il mio denaro, ma non permettevo che lui spendesse un solo scellino del suo. Avemmo un bisticcio per questo, ma io gli dissi che era l’ultima volta che mi godevo la sua compagnia e volevo che lasciasse decidere a me su quel punto, per tutto il resto poteva comandare lui; e lui, così, acconsentì.

Là una sera, mentre passeggiavamo per i campi, io gli dissi che volevo fargli la proposta di cui gli avevo già parlato; gli narrai perciò che avevo abitato nella Virginia e che avevo laggiù mia madre, che pensavo fosse ancora viva, benché mio marito fosse morto da molti anni. Gli dissi che, se la roba mia non fosse andata in malora, roba che ad ogni modo vantai moltissimo, sarei stata ora ricca abbastanza per evitare a noi due di separarci così. Poi affrontai l’argomento della gente che va in quei paesi per stabilirvisi, e del fatto che le leggi del luogo assegnano loro una certa quantità di terra; d’altronde, la terra si può acquistare a prezzi così bassi che non vale la pena di parlarne.

Gli feci un quadro completo e preciso di quel tipo di coltivazioni: e del come, portando il valore di due o trecento sterline in merci inglesi, con servitù e attrezzi, un uomo di buona volontà poteva gettar le basi di una famiglia ed esser certo di crearsi in pochi anni un patrimonio.

Gli detti anche notizie sulla natura del terreno, sul modo in cui il terreno veniva trattato e preparato, e su che raccolto si aveva di solito; e gli dimostrai che, in pochi anni, con un tale inizio, potevamo esser certi di diventar ricchi quanto eravamo in quel momento certi d’esser poveri.

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