Moll Flanders (Collins Classics) (21 page)

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Authors: Daniel Defoe

Tags: #Fiction, #Classics

BOOK: Moll Flanders (Collins Classics)
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Non posso negare che in quel frangente riflettei qualche volta sul modo vergognoso in cui tradivo il mio fedele cittadino, che mi amava sinceramente e che stava facendo tanta fatica per liberarsi di una indegna puttana dalla quale era stato trattato in modo davvero infame, e si riprometteva dalla sua nuova scelta tanta felicità: e la sua nuova scelta adesso si dava a un altro uomo in modo non meno indegno di quanto avrebbe potuto far sua moglie.

Ma l’abbagliante miraggio di una ricca rendita e di tante belle cose, che la turlupinata creatura diventata ora la mia turlupinatrice mi faceva balenare davanti agli occhi ad ogni istante, mi travolgeva e non mi lasciava il tempo di pensare né a Londra né ad altro, e tanto meno al debito che avevo con una persona di meriti tanto infinitamente più autentici di quella che ora mi trovavo accanto.

Ma era cosa fatta; e adesso ero fra le braccia del mio nuovo sposo, che sembrava ancora lo stesso di prima: grandioso fino alla megalomania, e non ci voleva una rendita minore di mille sterline l’anno per mantenere l’equipaggio col quale d’abitudine si faceva vedere in giro.

Eravamo sposati da circa un mese quando lui incominciò a parlarmi di andare a West Chester a imbarcarci per l’Irlanda. Non mi fece però troppa fretta, restammo infatti lì altre tre settimane, poi lui mandò a chiamare da Chester una carrozza che venisse a prenderci nel luogo che chiamano Black Rock, dirimpetto a Liverpool. Lì giungemmo con una bella barca a vela che si chiama bragozzo, con sei remi; servi, cavalli e bagaglio passarono col traghetto. Lui si scusò con me di non avere conoscenze a Chester, ma disse che andava avanti a cercare un bell’alloggio per me in una casa privata. Io gli domandai quanto tempo dovevamo restare a Chester. Pochissimo, disse lui, al massimo un paio di notti, avrebbe preso subito a nolo una carrozza per andare a Holyhead. Allora io gli dissi che non doveva assolutamente darsi pensiero di trovare alloggio in casa privata per un paio di notti, perché, visto che Chester era una cittadina piuttosto grande, io ero certa che c’erano buone locande e il modo di sistemarsi; così prendemmo alloggio in una locanda sulla West Street, non lontana dalla Cattedrale; il nome l’ho dimenticato.

Lì il mio sposo, parlando della mia partenza per l’Irlanda, mi domandò se non avevo affari da sistemare a Londra prima della partenza. Io gli dissi di no, o almeno che non si trattava di cose di grande importanza, si poteva benissimo farlo per lettera da Dublino.

“Mia cara,” dice, con grande garbo, “io suppongo che la parte maggiore della tua fortuna, che mia sorella mi dice esser quasi tutta in titoli della Banca d’Inghilterra, sia ragionevolmente al sicuro, ma nel caso vi sia bisogno di un trasferimento o, comunque, di un cambiamento di proprietà, potrebbe esser necessario andare a Londra e mettere a posto le cose prima di fare la traversata.”

Io feci mostra di stupirmi e gli dissi che non capivo che cosa voleva dire; non avevo, per quel che ne sapevo, titoli della Banca d’Inghilterra; mi auguravo che non potesse dire che io gli avessi mai detto una cosa simile. No, disse lui, non io glielo avevo detto, ma era stata sua sorella a dire che la gran parte della mia ricchezza era là depositata.

“E io vi ho accennato, mia cara,” dice lui, “solo per dire che se c’è il modo di metter a posto le cose, o provvedere in qualche modo, possiamo forse evitare il rischio e il fastidio di fare un viaggio per tornare qui.” Aggiunse, infatti, che non voleva farmi correre troppi rischi in mare.

Io fui meravigliata dal suo discorso, e cominciai a riflettere seriamente su quel che poteva voler dire; e subito mi saltò agli occhi che la mia amica, che chiamava lui fratello, aveva fatto di me un ritratto molto diverso dalla realtà; e pensai, visto che ero arrivata al dunque, che tanto valeva veder il fondo prima di lasciar l’Inghilterra, e prima di mettermi nelle mani di chissà chi in un paese straniero.

Dopo ciò, chiamai in camera mia la sorella, la mattina dopo, e mettendola al corrente della conversazione che il fratello e io avevamo avuto la sera prima, la scongiurai di dirmi che cosa gli aveva detto lei, e sulla base di che aveva messo in piedi quel matrimonio. Lei ammise di aver detto a lui che io ero molto ricca, e disse che glielo avevano detto a Londra.

“Detto?” dico io con veemenza. “Te l’ho mai forse detto io?”

No, disse lei, era vero che io non glielo avevo detto, ma più di una volta avevo detto che potevo disporre liberamente di tutto quel che avevo.

“Certo, l’ho detto,” dissi io prontamente e con durezza “ma quando mai ti ho detto che possedevo qualcosa che si potesse chiamare patrimonio? No, non ti ho mai detto che avevo cento sterline, né qualcosa del valore di cento sterline, al mondo. E come si accorda col fatto d’esser io così ricca,” dico, “l’idea di venirmene nel nord dell’Inghilterra, con te, al solo scopo di vivere spendendo poco?”

A quelle parole, che io avevo pronunciato gridando con veemenza, entrò nella stanza colui che era mio marito e (così lei diceva) suo fratello, e io volli che si fermasse lì e si sedesse, perché avevo da dire a tutti e due qualcosa di molto importante, che era assolutamente necessario sentisse anche lui.

Lui apparve turbato dalla sicurezza con la quale io avevo l’aria di parlare, e venne a sedersi accanto a me, dopo aver prima chiuso la porta; al che io incominciai, perché ero veramente esasperata, a rivolgermi a lui e “Ho paura,” dico, “mio caro (lui lo trattavo infatti con gentilezza), che ti sia stato fatto un torto molto grave, un danno del quale non sarai mai risarcito, facendoti sposare me; eppure io non ne ho colpa alcuna, voglio anzi essere chiaramente assolta da ciò, e vada il biasimo dove deve, e non altrove, perché io me ne lavo completamente le mani.”

“Che torto posso aver patito, mia cara, sposando te?” dice lui. “Io m’auguro che sia stata per me cosa onorevole e conveniente.”

“Te lo spiego subito,” dico io, “e ho tanta paura che non avrai motivo di sentirti trattato bene; ma ti convincerò, mio caro,” ripeto, “che io non ne ho colpa.” E lì feci una pausa.

Lui apparve allora spaventato e sconvolto e incominciò, credo, a sospettare quel che doveva seguire; comunque, rivolto a me, dicendo solo “Continua”, rimase seduto in silenzio, come per ascoltare che altro avevo da dire; e io continuai. “Ti ho chiesto ieri sera,” dico rivolta a lui, “se mi son mai vantata con te delle mie ricchezze, o se t’ho detto mai che avevo una rendita alla Banca d’Inghilterra o altrove, e tu hai riconosciuto che no, come è vero; e ora voglio che tu mi dica, in presenza di tua sorella, se ti ho mai dato nessun motivo di crederlo, o se ne abbiamo parlato mai.”

Lui di nuovo ammise che no, ma disse che io gli ero sempre sembrata una donna ricca, s’era regolato sul fatto che io lo fossi, e sperava di non essersi ingannato.

“Io non sto ancora cercando di sapere se sei stato ingannato oppure no,” dico io; “ho paura che tu lo sia stato, e io con te; ma sto soltanto respingendo l’accusa ingiusta di aver avuto parte io nell’ingannarti.

“Poco fa,” dico, “ho domandato a tua sorella se le avevo mai detto di possedere un patrimonio o delle rendite, se le avevo mai raccontato qualcosa di simile; e lei ha riconosciuto che no.

“Ti prego, signora mia,” dico rivolta a lei, “di farmi il favore, in presenza di tuo fratello, di accusarmi, se puoi, del fatto che io abbia mai finto d’esser ricca; e perché, se ero ricca, dovevo venire in questo paese al solo scopo di risparmiare quel poco che ho e di vivere spendendo poco?”

Quella non poté negare una sola parola, ma disse che le avevano detto a Londra che io ero molto ricca e che tenevo tutto alla Banca d’Inghilterra.

“E adesso, mio caro signore,” dico io, rivolgendomi da capo al mio nuovo marito, “vuoi farmi il favore di dirmi chi s’è approfittato di me e di te facendoti credere che io ero ricca e spingendoti a farmi la corte al punto da sposarmi?”

Lui non rispose una parola, ma fissò lei; e, dopo qualche altro istante di pausa, si scagliò contro di lei con la collera più furiosa che io abbia mai visto in vita mia, chiamandola puttana e quante altre parolacce sapeva; era lei che l’aveva rovinato, e diceva che lei gli aveva raccontato che io avevo più di quindicimila sterline, e doveva avere da lui cinquecento sterline per avergli combinato il matrimonio. Disse poi, rivolgendosi direttamente a me, che quella non era affatto sua sorella, ma era stata un paio d’anni prima la sua puttana, e aveva già avuto da lui cento sterline per quest’affare, e adesso lui era rovinato malamente se le cose stavano davvero come dicevo io; e nella sua rabbia disse che voleva immediatamente strapparle il cuore, cosa che spaventò lei e anche me. Quella pianse, disse che glielo avevano detto nella casa dove io ero a pigione. Ma questo fece andare ancora più in collera lui, il fatto cioè che lei si fosse spinta con lui fino a quel punto, e l’avesse fatto andare così avanti, senza altro fondamento di un pettegolezzo; poi, rivolto di nuovo a me, disse con tutta franchezza che temeva fossimo rovinati tutti e due. “Infatti, per parlar chiaro, mia cara,” dice, “io non ho un soldo. Quel poco che avevo, il diavolo me l’ha fatto buttar via per starti dietro e metter su quest’equipaggio.” Lei colse al balzo l’occasione che lui era occupato a parlare con me, uscì dalla stanza e non la vidi mai più.

Ero adesso stravolta come lui, e non sapevo che dire. Avevo già pensato d’aver la parte peggiore da ogni punto di vista, ma quando lui disse che era rovinato e che non aveva un soldo, mi sentii completamente sconvolgere. “Insomma,” gli dico, “è stato un imbroglio infernale, questo, perché ci siamo sposati in virtù di una duplice frode; tu, si vede, sei sconvolto dalla delusione; e se io fossi stata ricca, egualmente sarei stata truffata, perché tu ammetti di non aver niente.”

“Truffata sì, saresti stata, mia cara,” dice lui, “ma rovinata no, perché quindicimila sterline sarebbero bastate a farci vivere benissimo in questo paese; e ti assicuro” aggiunse, “che avevo già deciso di lasciare a te fin l’ultimo centesimo; non ti avrei truffata di un solo scellino, e tutto il resto l’avrei riempito del mio affetto per te, e della mia tenerezza finché avrei avuto vita.”

Questo era, per la verità, sincero, e io penso veramente che lui parlasse sul serio, e che fosse un uomo capace, per carattere e comportamento, di rendermi felice quant’altri mai; ma il fatto che non aveva un soldo, e che s’era riempito di debiti in quel paese per quel ridicolo motivo, non faceva intraveder nulla di buono, era soltanto spaventoso, e io non sapevo che dire, né che pensare di me.

Gli dissi che era molto triste che tutto l’amore e tutte le buone intenzioni che avevo trovato in lui dovessero sprofondare nella sciagura; davanti a noi non vedevo, dissi, altro che la rovina; per parte mia, mi rattristava molto l’idea che quel poco che possedevo non sarebbe bastato a mantenerci per una settimana, e a quel punto tirai fuori una banconota da venti sterline e undici ghinee, che gli dissi d’aver risparmiato sulla mia modesta rendita e che, in base a quanto m’aveva detto quella tale sul modo di vivere in quel paese, m’ero figurata potessero bastare a mantenermi per tre o quattro anni; se mi si portavano via quelle, io non avevo più nulla, e lui sapeva in che situazione si viene a trovare in un paese straniero una donna che non ha un soldo in tasca; però, gli dissi, se le voleva, erano sue.

Lui disse con grande commozione, e mi sembrò di scorgere le lacrime nei suoi occhi, che non voleva toccarle; gli ripugnava l’idea di strapparmi i panni di dosso e ridurmi in miseria; al contrario, aveva lui cinquanta ghinee, che erano tutto quanto gli restava al mondo, e le tirò fuori e le gettò sul tavolo, dicendomi di prenderle, dovesse pur lui morire di fame per il bisogno.

Non meno commossa di lui, io replicai che non sopportavo di sentirlo parlare così; al contrario, se lui poteva proporre un modo verosimile di tirare avanti, io ero pronta per parte mia a far qualsiasi cosa, restandogli accanto, stretta a lui, come voleva lui.

Lui mi pregò di non parlare più a quel modo, perché lo facevo star male; disse d’essere stato cresciuto come un gentiluomo, anche se era caduto così in basso, e disse che riusciva ora a vedere soltanto una via d’uscita, che però non serviva a nulla se io non rispondevo a una domanda, cosa alla quale tuttavia, disse, non voleva forzarmi. Io gli dissi che gli avrei risposto con tutta franchezza, sia che la risposta fosse di suo gradimento sia che non lo fosse, questo non potevo saperlo.

“Allora, mia cara, dimmi francamente,” dice lui, “può quel poco che hai bastare a mantenerci tutti e due in un modo qualsiasi e in un posto qualsiasi, oppure no?”

Per mia fortuna fino a quel momento non avevo rivelato nulla della mia vera situazione, nemmeno il mio nome; vedendo che da lui, per quanto simpatico fosse e addirittura sembrasse sincero, non c’era da aspettarsi altro che di vivere con quello che io capivo quanto presto sarebbe sfumato, decisi di tenergli nascosto tutto il resto, meno la banconota e le undici ghinee che avevo; sarei stata ben contenta di perderle pur di ritrovarmi al punto in cui m’ero imbattuta in lui. Avevo, per la verità, un’altra banconota da trenta sterline, che era tutto quel che m’ero portata con me per vivere in quel paese, non sapendo che cosa poteva succedermi; questo perché quella tale, che aveva fatto da tramite fra noi ingannandoci entrambi, m’aveva fatto credere strane cose circa la possibilità per me di maritarmi convenientemente in quel paese, e io avevo pensato fosse bene non trovarmi sprovvista di denaro, per qualsiasi evenienza. Nascosta quella banconota, potevo più liberamente disporre del resto, in relazione alla situazione in cui si trovava lui, perché sinceramente mi faceva compassione.

Ma, per tornare alla sua domanda, gli dissi che non avevo mai inteso ingannarlo e che non intendevo farlo mai. Mi dispiaceva moltissimo che quel poco che avevo io non potesse bastare a tutti e due; non bastava nemmeno a mantenere me sola nel sud, ed era questo il motivo per cui m’ero messa nelle mani della donna che diceva d’essere sua sorella e che m’aveva assicurato che avrei potuto star molto bene a pigione in una città chiamata Manchester, dove però non ero arrivata, spendendo sei sterline l’anno; e poiché l’intera mia rendita non superava le quindici sterline l’anno, io avevo pensato di poter vivere tranquillamente di quello e attendere tempi migliori.,

Lui scosse il capo e rimase zitto, e passammo una serata molto malinconica; tuttavia cenammo insieme e quella notte ci coricammo insieme, e, quand’avemmo quasi finito di cenare, lui ebbe l’aria di sentirsi meglio e più allegro, e ordinò una bottiglia di vino. “Su, cara,” dice, “anche se il momento è brutto, non val la pena di abbattersi. Su, cerca di star tranquilla; io farò di tutto per trovare un altro modo per vivere; se tu puoi pensare a mantenere te stessa, è meglio che niente. Io affronterò da capo il mondo; un uomo deve ragionare da uomo; scoraggiarsi significa arrendersi alla sventura.” Con ciò riempì il bicchiere e bevve alla mia salute, tenendomi stretta la mano nella sua mentre tracannava il vino, e dichiarando subito dopo che l’unica sua preoccupazione ero io.

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