È impossibile esprimere l’orrore dell’animo mio mentre lo facevo. Uscita, non ebbi il coraggio di correre, appena quello di affrettare il passo. Attraversai la strada, camminai fino al primo incrocio che trovai, mi pare che fosse una strada che scendeva a Fenchurch Street. Di là attraversai di nuovo, e feci tante vie e tante svolte, da non saper dire che vie erano né dove andavo; non sentivo il terreno sotto i piedi, infatti, e più ero lontana dal pericolo, più svelta andavo, finché, stanca e senza fiato, fui costretta a sedermi su una panchina davanti a un portone, e allora incominciai a riprendermi e mi resi conto d’essere arrivata nella Thames Street, vicino a Billingsgate. Mi riposai un po’, e proseguii; avevo il sangue in fiamme, e il cuore che mi batteva come per uno spavento improvviso. Insomma, ero in un tale stato di sorpresa che ancora non riuscivo a capire dove andavo né che cosa dovevo fare.
Dopo essermi a quel modo stancata a camminare per un tragitto lunghissimo, e così in fretta, incominciai a pensare di tornare al mio alloggio, dove arrivai verso le nove di sera.
A che fosse destinato quel fagotto, e per quale motivo fosse lì dove io l’avevo trovato, non lo sapevo; ma, quando potei aprirlo, vi trovai dentro un corredo di biancheria da parto, molto buona e quasi nuova, con merletti molto belli; c’erano anche una scodella d’argento da una pinta, un piccolo calice d’argento e sei cucchiai, con altra biancheria, una bella camicia, tre fazzoletti di seta, e nel calice, avvolti in un pezzo di carta, diciotto scellini e sei pence in moneta.
Per tutto il tempo che impiegai a svolgere quelle cose fui in preda ad una orribile sensazione di paura, la mente oppressa da un terrore tale, benché fossi assolutamente al sicuro, da non potersi dire. Mi sedetti, e scoppiai in un pianto dirotto.
“Dio,” dissi, “e che cosa sono diventata adesso? Ladra! Ecco, la prossima volta mi prenderanno, mi porteranno a Newgate, e sarò a posto per tutta la vita!”
E così dicendo continuai a piangere a lungo, e son certa che, povera com’ero, se non fosse stato per la paura, sarei andata a restituire quella roba; ma dopo un po’ mi passò. Così quella notte mi misi a letto, ma dormii poco; avevo in mente l’orrore di quel fatto, e per tutta la notte, e il giorno seguente, non capivo che dicevo e che facevo. Poi fui curiosa di sapere qualcosa del derubato, mi venne voglia di sapere se quella roba apparteneva a un poveretto oppure a una persona ricca. “Magari,” dissi, “può trattarsi di una povera vedova come me, che aveva impacchettato la sua roba per andarla a vendere e procurarsi un pezzo di pane per sé e la sua povera creatura, e adesso tutte e due stanno crepando di fame, col cuore spezzato, perché non hanno nemmeno quel poco che speravano di ricavarne.” E quel pensiero mi tormentò più di tutti gli altri, per tre o quattro giorni.
Ma i miei guai fecero tacere ogni altra considerazione, e la prospettiva di essere io a crepar di fame, prospettiva che si faceva ogni giorno più spaventosa per me, m’indurì a poco a poco il cuore. Mi pesava in modo particolare il pensiero d’essermi emendata, e di essermi, o così avevo sperato, pentita di tutte le mie cattive azioni del passato; avevo condotto una vita per bene, seria, ritirata, per diversi anni, ma adesso ero spinta dalla tremenda necessità del mio stato fin sulla soglia della perdizione, della rovina dell’anima e del corpo; e un paio di volte caddi in ginocchio pregando, come sapevo, Dio, che mi salvasse; ma non posso fare a meno di dirlo, le mie erano preghiere senza speranza. Non sapevo che fare; avevo soltanto paura, ero nel buio assoluto; e risolsi che della mia vita passata non m’ero pentita con sincerità, e che il Cielo aveva ora incominciato a punirmi in questa vita, prima di farmi giungere alla tomba, e stava per farmi diventare tanto sciagurata quanto ero stata cattiva.
Fossi andata avanti così, sarei magari divenuta un autentica penitente; ma avevo dentro di me, un diabolico consigliere che mi spingeva sempre a cercare di aiutarmi con i mezzi peggiori; così una sera mi tentò di nuovo, con lo stesso impulso cattivo che m’aveva detto “Prendi quel fagotto”, a uscire in cerca di quel che poteva capitare.
Uscii che era ancora giorno, e girovagai non sapevo dove, in cerca di non sapevo che, finché il diavolo mise sui miei passi un trabocchetto di tipo tremendo, quale non avevo mai incontrato prima. Camminando in Aldersgate Street, ecco una bella bambina che era andata alla scuola di ballo e stava tornando a casa, tutta sola; e il mio consigliere, da vero diavolo, mi spinse verso quella creatura innocente. Io rivolsi la parola alla bambina, che chiacchierò con me, e io la presi per mano e la condussi fino a un vicolo lastricato che portava alla Bartholomew Close, e la guidai in quella direzione. La bambina disse che quella non era la strada di casa sua. Io dissi: “Ma sì, cara, è questa, ti mostrerò la via di casa.” La bambina portava una collanina di ciondoli d’oro, e io ci avevo messo l’occhio sopra, e nel buio del vicolo mi fermai, fingendo di accomodare la mantellina della bambina che era slacciata, e le presi la collana, e la bambina non se ne accorse, e io la ripresi per mano. Lì, confesso, il diavolo mi suggerì di uccidere la bambina in quel vicolo scuro, perché non potesse gridare, ma il solo pensiero bastò a spaventarmi tanto che fui sul punto di cadere svenuta; feci voltare la bambina e le dissi di tornare indietro, perché non era quella la strada di casa sua.
La bambina disse che andava bene, e io entrai nella Bartholomew Close, poi svoltai per un altro passaggio che porta in Long Lane, e poi in Charterhouse Yard e in St. John Street; poi, traversato lo Smithfield, feci Chick Lane e Field Lane fino allo Holborn Bridge, dove, mescolandosi alla folla che passeggia sempre lì, era impossibile esser pescati; e feci così il secondo colpo della mia vita.
Il pensiero della seconda refurtiva scacciò ogni pensiero della prima, e tutte le riflessioni che avevo fatto si dissolsero in fretta; la miseria, come ho detto, mi aveva indurito il cuore, e il mio bisogno non mi faceva aver riguardo per nulla. L’ultima avventura non mi procurò troppo pensiero perché, siccome alla bambina non avevo fatto del male, mi dissi che avevo dato ai genitori una buona lezione per la negligenza da loro dimostrata nel far tornare a casa tutto solo quel povero agnellino, avrebbero imparato a preoccuparsi di più la prossima volta.
La collanina di ciondoli valeva fra le dodici e le quattordici sterline. Penso che prima fosse stata della madre, perché era troppo larga per la bambina, ma evidentemente la vanità della madre, che voleva far fare bella figura alla figlia alla scuola di ballo, l’aveva indotta a mettergliela; e senza dubbio la bambina aveva qualche cameriera che era stata mandata a prenderla, ma costei, giovane incosciente, poteva essersi messa con qualche giovanotto trovato per via, e così la povera piccola aveva vagabondato finché era caduta nelle mie mani.
Comunque, io alla bambina non feci alcun male; non le feci nemmeno paura, perché ero ancora d’animo gentile e non facevo nulla più di quanto, vorrei dire, la necessità mi costringeva a fare.
Ebbi molte avventure dopo quella, ma ero giovane del mestiere, e non sapevo come regolarmi, se non quando il diavolo mi faceva venire in mente qualche idea; e per la verità non era affatto avaro di idee, con me. Un’avventura ebbi che fu per me un vero colpo di fortuna. Passeggiavo per la Lombard Street, nella mezza luce della sera, verso la fine della Three King Court, quando all’improvviso mi viene incontro uno che correva come il lampo e getta dietro di me un fagotto che teneva in mano, mentre io ero in piedi sull’angolo della casa, alla svolta col vicolo. Gettandolo dice: “Signora, che Dio ti benedica, lascialo lì un momento,” e via scappa veloce come il vento. Dietro lui arrivano altri due, e subito dopo un giovanotto senza cappello, che gridava “Al ladro!”, e, dietro, altri due o tre ancora. Inseguivano così da presso quei due, che questi dovettero lasciar cadere quel che avevano, e uno nella confusione fu preso, l’altro riuscì a scappare.
Per tutto quel tempo io rimasi immobile, finché quelli tornarono indietro, trascinando il poveretto che avevano preso, e raccogliendo le cose che avevano trovato, molto soddisfatti d’aver recuperato il bottino e preso il ladro; e così mi passarono davanti, perché io, finché la folla non se ne fu andata, ebbi l’aria di una che stava solo lì a guardare.
Un paio di volte domandai che cosa succedeva, ma nessuno si dette la pena di rispondermi, nessuno si occupò di me; ma, quando la folla si fu tutta dispersa, io colsi il momento adatto per voltarmi, prendere quel che c’era dietro di me e avviarmi. Questo lo feci, per la verità, con fastidio minore di quanto m’era accaduto le altre volte di provare, perché stavolta non ero io che rubavo, era soltanto roba che mi capitava in mano. Rientrai sana e salva al mio alloggio con quel carico, che era composto da una pezza di seta nera con lustrini e da una pezza di velluto; questa era solo una parte di una pezza, misurava undici iarde; l’altra era una intera pezza da cinquanta iarde. Pare che avessero svaligiato la bottega di un merciaio. Dico svaligiato, perché la roba era tanta che la persero per via; la roba che fu recuperata era moltissima, credo che ci fossero almeno sei o sette pezze di seta. Come fossero riusciti a prender tanta roba io non saprei dire; ma, siccome, in fondo, io avevo solo derubato il ladro, non mi feci nessuno scrupolo di tenermi quella roba, e ne fui contentissima.
Per parecchio tempo la fortuna mi assistette, ed ebbi alcune altre avventure, con buon successo anche se con scarso utile, ma vivevo quotidianamente nel terrore che mi capitasse una disgrazia, e che certamente sarei finita impiccata. L’impressione che questo pensiero mi faceva era troppo forte per prenderlo alla leggera, e mi trattenne dal tentare alcune imprese che, per quel che ne sapevo, si potevano compiere con tutta tranquillità; una cosa però non posso omettere, che un giorno fu una grossa esca per me. Mi recavo spesso a passeggiare per i villaggi intorno alla città, per vedere se mi capitava qualcosa a portata di mano; e passando davanti a una casa vicino a Stepney vidi sul davanzale di una finestra due anelli, uno con un piccolo brillante, e l’altro un semplice anello d’oro, certo lasciati lì da una signora distratta, più danarosa che previdente, magari mentre si lavava le mani.
Passai diverse volte davanti alla finestra per cercar di capire se nella stanza c’era qualcuno o no, e non vidi nessuno, ma non ne ero ancora sicura. Mi venne in mente all’improvviso di bussare al vetro, come se volessi parlare con qualcuno dentro, e se qualcuno c’era si sarebbe di certo affacciato, e allora io gli avrei detto di toglier di lì quegli anelli, perché avevo visto che due tipi sospetti li avevano notati. Era un’ottima idea. Bussai un paio di volte e non venne nessuno, finché, visto l’orizzonte sgombro da ogni nube, io picchiai forte contro il pannello di vetro, lo ruppi facendo pochissimo rumore, presi i due anelli e me ne andai sana e salva portandomeli via. L’anello col brillante valeva tre sterline, l’altro nove scellini.
Avevo ora il grosso problema di trovare un mercato per la mia roba, specialmente per le due pezze di seta. Non mi andava per nulla di darle via per una sciocchezza, come in generale fanno quei poveri infelici di ladri che, dopo aver rischiato la vita per un oggetto magari di valore, si contentano di rivenderlo a cose fatte al prezzo d’una canzonetta; ma io ero decisa a non regolarmi a quel modo, in qualunque strettezza mi dovessi trovare, a meno di giungere ad un caso estremo. Comunque non sapevo bene che strada prendere. Alla fine decisi di andare dalla mia vecchia governante e di riprendere rapporti con lei. Le avevo puntualmente fatto avere cinque sterline ogni anno per il mio ragazzo finché avevo potuto, ma alla fine ero stata costretta a smettere. Le avevo però scritto una lettera nella quale le dicevo che la mia situazione era molto peggiorata; avevo perduto il marito, non ero più in grado di sostenere quella spesa, e perciò pregavo lei di fare in modo che il povero ragazzo non dovesse troppo soffrire per le sventure della madre.
Le andai a far visita e trovai che faceva ancora in parte il mestiere di una volta, ma non era più nella situazione brillante di un tempo. Infatti l’aveva denunziata un gentiluomo al quale avevano portato via la figlia, con l’aiuto, pare, di lei; ed era stato di stretta misura che era scampata alla forca. Anche le spese del processo l’avevano rovinata, ed era così diventata poverissima; aveva in casa solo mobili scadenti, e non era più rinomata come una volta per la sua abilità; tuttavia si reggeva, come si dice, sulle gambe, e siccome era una donna attiva e dinamica, e le era rimasto un piccolo capitale, s’era messa a prestar denaro su pegno, e viveva piuttosto bene.
Mi accolse con la massima gentilezza e mi disse, col suo abituale garbo, che non avrebbe avuto minori riguardi adesso per me solo perché avevo mutato in peggio posizione; s’era presa cura lei che il mio ragazzo fosse trattato nel modo migliore anche se io non potevo più pagare per lui, la donna che lo teneva era piuttosto agiata, e non v’era bisogno che io adesso mi occupassi di lui fino al momento in cui non avrei di nuovo potuto farlo in modo concreto.
Io le dissi che non m’era restato molto denaro, ma possedevo alcune cose che potevano avere un valore immediato, se lei sapeva dirmi come trasformarle in denaro. Lei mi domandò che cos’era che avevo. Io le mostrai il laccio di ciondoli d’oro, e le dissi che era uno dei regali che mi aveva fatto mio marito; poi le mostrai le due pezze di seta, che le dissi di aver ricevuto dall’Irlanda e di avere portato con me in città; e l’anello col brillantino. Della piccola scorta di argenteria e cucchiai avevo già prima trovato il modo di disfarmi per conto mio; e il corredo di biancheria da parto che avevo, s’offrì di comprarmelo lei, credendo che fosse stato il mio. Mi disse che s’era messa ora a prestar su pegno, e avrebbe perciò venduto quegli oggetti come se io li avessi impegnati presso di lei; e mandò subito a chiamare le persone adatte, le quali, siccome la roba veniva dalle sue mani, l’acquistarono senza farsi il minimo scrupolo, e pagarono anche un buon prezzo.
Cominciai allora a pensare che quella indispensabile donna avrebbe potuto aiutarmi un po’ nella mia brutta situazione a trovare lavoro, poiché sarei stata lieta di mettermi a fare qualsiasi mestiere onesto mi fosse capitato sotto mano. Ma quella, da questo punto di vista, non funzionava; il lavoro onesto non faceva parte del suo giro. Fossi stata più giovane, avrebbe magari potuto aiutarmi a pescare un ganzo, ma la mia idea era che da quella strada e da quel modo di guadagnarsi la vita si è tagliati fuori quando, come era appunto il mio caso, si sono già passati da un po’ i cinquanta; e glielo dissi.