Gli raccontai che il peggio m’era capitato perché in carcere mi avevano presa per una certa Moll Flanders, che era una ladra famosa e fortunata, della quale tutti avevano sentito parlare, ma che nessuno aveva visto mai; ma quello, come lui ben sapeva, non era affatto il mio nome. Misi tuttavia in conto ogni cosa alla mia malasorte, e al fatto che sotto quel nome ero stata trattata da vecchia delinquente, benché fosse quella la prima volta che si occupavano di me. Gli feci un lungo racconto di quel che m’era capitato dall’ultima volta che l’avevo visto; ma gli dissi che l’avevo visto un’altra volta che lui non s’immaginava, e gli raccontai come l’avevo visto a Brickhill; quanto accanitamente gli correvan dietro, e come, raccontando che io lo conoscevo, e che era un gentiluomo tanto per bene, il signor…, il piglia piglia era finito, e il capo gendarme se n’era andato via.
Lui ascoltò con la massima attenzione tutta la mia storia, e sorrise per molti particolari che eran tutte cose da poco, molto al di sotto di quel che aveva combinato lui; ma quando arrivai al fatto di Little Brickhill, si meravigliò.
“E così fosti tu, mia cara,” dice, “a dare scacco alla folla che a Brickhill avevamo alle calcagna?”
“Sì,” dissi, “fui proprio io.” E gli raccontai allora tutto quello che in particolare quella volta avevo visto di lui.
“Ma allora,” disse lui, “fosti tu quella volta a salvarmi la vita, e io sono contento di doverti la vita, perché adesso ti pagherò il mio debito, e ti libererò dalla situazione in cui ti trovi, a costo di morire nel tentativo.”
Ma no, io dissi; era un rischio troppo grande, non valeva la pena che lui ci si mettesse, per una vita che non valeva la pena di salvare.
Questo non c’entrava, disse lui, era una vita che per lui valeva il mondo intero; una vita che a lui aveva dato una vita nuova; “perché,” dice, “io non corsi mai veramente il rischio d’esser preso se non quella volta sola, fino al momento poi in cui m’hanno preso.”
Mi raccontò, infatti, che il pericolo quella volta stava nel fatto che non sapeva d’essere inseguito da quella parte; da Hockley se l’erano battuta per un’altra strada, e a Brickhill erano arrivati per i campi coltivati, non per la via, ed erano sicuri che nessuno li avesse visti.
Mi fece a questo punto un lungo racconto della sua vita, che sarebbe in verità una curiosissima storia, assai divertente per giunta. Mi raccontò che s’era messo a fare il bandito di strada una dozzina d’anni prima di sposare me; la donna che lo chiamava fratello non era, in realtà, sua sorella, non gli era nemmeno parente, ma era una che apparteneva alla loro banda e, mantenendosi in contatto con loro, viveva sempre in città, dove aveva una quantità di conoscenze; lei dava a loro informazioni precise sulle persone che uscivano dalla città; e grazie all’intesa con lei, loro avevano fatto diversi ottimi colpi; quella credeva d’avergli procurato una fortuna quando portò me da lui, ma le capitò di restar delusa, del che per la verità lui non poteva farle colpa; se il suo destino avesse voluto che io realmente possedessi il patrimonio di cui aveva saputo quella, lui aveva deciso di abbandonar la strada e mettersi a fare una vita onesta e ritirata, di non farsi più vedere da nessuno finché non fosse venuta un’amnistia generale o non fosse riuscito lui, naturalmente pagando, a far mettere anche il suo nome in qualche atto speciale di condono, in modo da potersene star tranquillo; ma, come altrove si è visto, s’era trovato costretto a disfarsi del suo equipaggio e a rimettersi a fare il suo vecchio mestiere.
Mi fece un lungo racconto di alcune delle sue imprese, e in particolare di una, quando rapinò le diligenze di West Chester vicino a Lichfield, facendo un grosso bottino; e poi, come rapinò cinque allevatori, nell’ovest, che andavano alla fiera di Burford, nel Wiltshire, a comprare pecore. Disse che in quelle due occasioni aveva fatto tanti soldi che, se avesse saputo dove trovare me, certo avrebbe abbracciato la mia proposta di andare insieme con me in Virginia o in qualche altra parte delle colonie inglesi in America.
Disse d’avermi scritto due o tre lettere, all’indirizzo che io gli avevo dato, ma di non aver avuto mie notizie. Questo io sapevo che era verissimo, ma siccome quelle lettere m’erano arrivate durante il periodo in cui stavo col mio ultimo marito, non avevo potuto farci nulla, e di conseguenza avevo preferito non rispondere, in modo da fargli magari credere che ero finita in malora.
Deluso da ciò, disse lui, aveva continuato da quel momento a fare il suo vecchio mestiere, anche se aveva ormai tanto denaro che non correva più, disse, gli stessi disperati rischi di prima. Mi narrò allora di alcuni duri e disperati duelli che aveva avuto per la via con alcuni signori, che non volevano separarsi dai loro soldi, e mi mostrò diverse ferite che aveva ricevuto; aveva, davvero, due o tre ferite terribili, specialmente una, causata da un colpo di pistola, che gli aveva spezzato il braccio, e un’altra di spada, che l’aveva passato da parte a parte, ma, siccome non furono toccati organi vitali, avevano potuto curarlo; uno dei suoi compagni gli era rimasto così fedele e così amico da assisterlo per una cavalcata di oltre ottanta miglia prima che gli mettessero a posto il braccio, e trovò poi un chirurgo in una città piuttosto grande, raccontando che erano signori in viaggio per Carlisle, e che per la strada erano stati attaccati dai banditi, e che uno di loro era stato ferito al braccio da un colpo di pistola, che gli aveva spezzato l’osso.
A far questo, disse, il suo amico s’adoperò così bene, che nessuno sospettò di loro, e restarono tranquillamente lì finché lui fu perfettamente curato. Mi fece tanti particolareggiati racconti delle sue imprese, che molto malvolentieri rinuncio a riferirle qui; ma mi rendo conto che questa non è la sua storia, è la mia. M’informai allora del modo in cui stavano le sue cose adesso, e di quel che lo aspettava quando sarebbe stato processato. Mi disse che non avevano prove contro di lui, o ne avevano pochissime; infatti, delle tre rapine per le quali erano accusati, lui s’era per fortuna trovato in una soltanto, e di quel fatto c’era un testimone solo, che non bastava, ma ci si aspettava che ne venissero altri a deporre contro di lui; seriamente aveva creduto, la prima volta che m’aveva vista, che io arrivassi proprio per quel motivo; ma, se non si presentava contro di lui nessuno, sperava di essere rimesso in libertà; aveva già ricevuto l’avvertimento che, se accettava la deportazione, potevano dargliela senza fargli il processo, però era quella un’idea che ancora non aveva voglia di accettare, ed era pronto piuttosto a farsi impiccare.
Io gli detti torto per questo, e dissi che gli davo torto per due motivi; in primo luogo, se lo deportavano, potevano esserci mille modi per lui, che era un signore, e un uomo coraggioso e intraprendente, di trovar la via del ritorno, e magari anche i mezzi per fare il ritorno prima dell’andata. Lui di questo sorrise, e disse che la seconda delle due ipotesi gli andava di più, perché gli faceva orrore l’idea d’essere deportato alle piantagioni, come gli antichi romani mandavano gli schiavi condannati a lavorare nelle miniere; se proprio doveva mutar condizione, comunque andassero le cose, tanto valeva farlo sulla forca, e così la pensavano in genere tutti i signori che erano stati condotti dal bisogno finanziario a mettersi a fare i banditi di strada; con l’esecuzione, almeno, giungeva la fine di tutte le presenti miserie, e quanto a quel che sarebbe venuto poi, secondo lui era più facile per un uomo pentirsi sinceramente nelle ultime due settimane di vita, sotto l’effetto e nell’agonia del carcere e dell’antro dei condannati a morte, più facile di quanto non sarebbe mai stato in mezzo ai boschi e ai luoghi selvaggi dell’America; la schiavitù e i lavori pesanti erano cose alle quali un signore non poteva piegarsi; era solo un modo di costringerli a farsi poi carnefici di se stessi, che era anche peggio; e perciò lui, ad essere deportato, non voleva nemmeno pensarci.
Io feci ogni sforzo possibile per cercare di convincerlo, e vi aggiunsi anche la solita retorica femminile, vale a dire le lacrime. Gli dissi che l’infamia di una esecuzione pubblica certamente sarebbe stata per l’animo di un gentiluomo un colpo più grave di qualunque umiliazione gli potesse capitare di subire all’estero; almeno, nel secondo modo, aveva una possibilità di salvarsi la vita, mentre nel primo non ne aveva affatto; era per lui la cosa più facile del mondo lavorarsi il capitano della nave, i quali, generalmente, sono persone piene di spirito e di larghe vedute; e a saperci appena fare, specialmente se c’era del denaro disponibile, gli sarebbe stato facilissimo pagarsi il riscatto appena arrivato in Virginia.
Lui mi guardò pensieroso, e io credetti di capire quel che voleva dire, e cioè che non aveva denaro; ma mi sbagliavo, lui intendeva un’altra cosa. “Hai appena accennato, mia cara,” disse, “che potrebbe esserci il modo di fare il ritorno prima dell’andata, dal che capisco che tu vuoi dire che si potrebbe pagare per questo. Io preferirei pagare duecento sterline per non partire, anziché pagarne cento per essere rimesso in libertà laggiù.”
“Questo perché, mio caro,” dico io, “non conosci quel posto come lo conosco io.”
“Può essere,” dice lui, “eppure io credo, per quel che ti conosco, che anche tu la penseresti nello stesso modo, se non fosse che laggiù hai tua madre.”
Gli dissi che, quanto a mia madre, era quasi impossibile che non fosse già morta da diversi anni; e quanto ad altre parentele che potevo aver laggiù, non ne sapevo niente; fin da quando la sventura mi aveva ridotto nello stato in cui mi trovavo da diversi anni, non m’ero più tenuta con loro in corrispondenza; potevo credere che avrei avuto da loro un’accoglienza piuttosto fredda se fossi andata a far loro la mia prima visita nella veste di delinquente deportata; di conseguenza, se andavo laggiù, ero decisa a non vederli; ma a proposito del fatto di andar là, se tale era la mia sorte, avevo certe mie vedute che facevano sparire il lato peggiore della faccenda; se mai si fosse visto anche lui costretto a partire, io avrei potuto insegnargli con facilità come comportarsi, in modo da riuscire, il servo, a non farlo per nulla, specialmente se non era privo di denaro, che in una situazione simile è l’unico amico che vale.
Lui sorrise, disse che non mi aveva detto di avere del denaro. Io andai al sodo, dissi che speravo non avesse inteso dalle parole che io m’aspettassi di ottenere da lui del denaro, se ne aveva; d’altra parte, io non ne avevo moltissimo, e tuttavia non me ne mancava, e, per quel tanto che avevo, avrei preferito aggiungerlo io al suo anziché togliergliene una parte, perché mi rendevo conto che, nel caso della deportazione, gli sarebbe servito tutto.
A quel punto, lui si espresse nel modo più affettuoso. Disse che il denaro che aveva non era gran cosa, ma lui non me l’avrebbe mai rifiutato, se lo volevo, e mi assicurò che non aveva nessun timore di quel genere; s’era soltanto fissato su quell’accenno mio di poter evitare la partenza; qui, lui sapeva come regolarsi, ma laggiù si sarebbe sentito il più sprovveduto e derelitto degli esseri viventi.
Gli dissi che s’intimoriva e si terrorizzava per una cosa che, in realtà, non poteva fare nessuna paura; se aveva soldi, ed ero lieta di sentire che ne aveva, non solo poteva evitare la schiavitù che era prevista come conseguenza della deportazione, ma poteva ricominciare una vita su basi nuove, una vita nella quale non gli sarebbe di certo mancato il successo, a patto soltanto di occuparsi della situazione con la normale diligenza; non poteva non venirgli in mente che questo era ciò che io gli avevo suggerito tanti anni prima, e che gli avevo proposto come mezzo per trovare entrambi di che sostentarci e per rifarci una fortuna al mondo; e adesso gli dicevo, per farlo convinto sia della sicurezza della cosa, sia del fatto che io sapevo bene di che cosa parlavo, che avrebbe visto come io mi sarei prima di tutto liberata dall’obbligo di partire, e poi sarei invece andata spontaneamente con lui, di mia scelta, e forse avrei portato con me tanto da dimostrargli che io non chiedevo questo perché non fossi in grado di vivere senza il suo aiuto, ma perché giudicavo che le nostre rispettive sventure potessero essere considerate sufficienti per metterci entrambi d’accordo nell’abbandonare questa parte del mondo, e nell’andare a vivere dove nessuno potesse rinfacciarci quel che era stato, dove potessimo vivere senza temere il carcere, senza passare più attraverso lo strazio dell’antro dei condannati a morte; un luogo dal quale potessimo volgerci indietro a considerare con infinita soddisfazione tutte le nostre trascorse sciagure, sicuri che i nostri nemici ci avrebbero totalmente dimenticati e che saremmo vissuti come persone nuove in un mondo nuovo, senza che nessuno avesse niente da dire a noi, né noi a nessuno.
Ribadii con lui quel punto portando tanti argomenti, e risposi così bene a tutte le sue vivaci obbiezioni, che lui mi abbracciò e mi disse che gli avevo dimostrato un affetto tanto sincero da aver ragione di lui; avrebbe seguito il mio consiglio, si sarebbe sforzato d’assoggettarsi al suo destino nella speranza di avere il conforto del mio aiuto, di avere nella sua miseria una ispiratrice e una compagna come me. Ma tornò ancora a parlare di quel che avevo detto io prima, e cioè che doveva esserci un modo di tirarsene fuori senza partire, il che, disse, sarebbe stato molto meglio. Io gli dissi che avrebbe visto, e si sarebbe persuaso, come anch’io avrei fatto per quello tutto il possibile, e, se non ci si riusciva, mi sarei comunque data da fare per il resto.
Dopo quel lungo colloquio, ci lasciammo con dimostrazioni di affetto e di tenerezza eguali, mi parve, se non maggiori, che alla nostra separazione di Dunstable; e ora capivo più chiaramente di prima la ragione per cui quella volta s’era rifiutato di avvicinarsi oltre Dunstable a Londra, e perché, quando c’eravamo salutati là, mi aveva detto che non era opportuno per lui accompagnarmi per un pezzo di strada verso Londra, come altrimenti avrebbe fatto. Ho già detto che il racconto della sua vita sarebbe una storia molto più piacevole della mia; e veramente la cosa più curiosa era proprio quella, e cioè che lui aveva fatto quel mestiere disperato per venticinque anni e non era stato preso mai, e il successo che aveva avuto era stato tanto fuor del comune, al punto che certe volte aveva fatto una gran bella vita, e s’era ritirato in qualche posto per un anno o due, e molte volte s’era seduto nei caffè a sentire i racconti di quelli che aveva rapinato che raccontavano com’erano stati rapinati, e dicevano i luoghi e le circostanze, sicché lui facilmente poteva rendersi conto che eran proprio quelli.