100 colpi di spazzola prima di andare a dormire (11 page)

BOOK: 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire
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4 aprile 2002

Diario, ti scrivo da una camera d'albergo; sono in Spagna, a Barcellona. Sono in gita con la scuola e mi sto divertendo parecchio anche se la prof acida e ottusa mi guarda storto quando dico che non voglio visitare i musei, che secondo me sono una perdita di tempo. Odio visitare un luogo solo per conoscerne la storia, sì, OK, anche quella è importante ma dopo che me ne faccio? Barcellona è così viva, allegra ma con una malinconia di fondo. Sembra una bella donna, affascinante, con occhi profondi e tristi che scavano dentro l'anima. Sembra me. Vorrei poter girare per le strade notturne affollate di locali e gremite di gente di ogni tipo, ma mi obbligano a dover passare le serate in discoteca dove, se va bene, riesco a conoscere qualcuno che non sia ancora fuso d'alcol. Non mi piace ballare, mi infastidisce. Nella mia camera c'è casino: chi salta sul letto, chi scola sangria, chi vomita nel cesso di là; adesso vado, Giorgio mi trascina per un braccio... 

7 aprile

Penultima giornata, non voglio ritornare a casa. E questa la mia casa, mi sento a mio agio, sicura, felice, compresa dalla gente di qui sebbene non parliamo la stessa lingua. È confortante non sentire il telefono squillare per una chiamata di Fabrizio o Roberto e dover trovare una scusa per non incontrarsi. È confortante parlare fino a tardi con Giorgio senza dover essere costretta a infilarmi nel suo letto e dare il mio corpo.

Dove sei finita Narcisa che tanto ti amavi e tanto sorridevi, tanto volevi dare e altrettanto ricevere; dove sei finita con i tuoi sogni, con le tue speranze, le tue follie, follie di vita, follie di morte; dove sei finita immagine riflessa allo specchio, dove posso cercarti, dove posso trovarti, come posso trattenerti?

4 maggio 2002

Oggi all'uscita di scuola c'era Letizia. Mi è venuta incontro con il volto rotondo incorniciato dai grandi occhiali da sole, assai simili a quelli che vedo sulle foto di mia madre degli anni Settanta. Con lei c'erano due ragazze, chiaramente lesbiche.

Una si chiama Wendy, ha la mia stessa età ma dai suoi occhi sembra molto più grande. L'altra, Floriana, è appena più piccola di Letizia.

«Avevo voglia di vederti», mi ha detto Letizia mentre mi guardava fìssa negli occhi.

«Hai fatto bene a venire; anche io ne avevo voglia», ho risposto.

Nel frattempo la gente usciva dalla scuola e prendeva posto fra le panchine della piazzetta; i
ragazzi
incuriositi ci guardavano e parlottavano ridendo fra loro, le "comari di sant'Ilario" bigotte, acide e ignoranti come non mai invece ci guardavano storcendo il naso e gli occhi. Mi sembrava di poter cogliere le loro frasi: «Ma hai visto quella con chi va in giro? L'ho sempre detto che era strana...», magari sistemando la treccina che mammina le aveva fatto quella mattina prima di andare a scuola.

Letizia sembrava aver capito il mio disagio così ha detto: «Noi stiamo andando a pranzo all'associazione, vuoi venire anche tu?».

«Che associazione?», ho chiesto.

«...Lesbico-gay. Ho le chiavi, saremo sole».

Ho accettato, così ho preso il mio scooter e Letizia salita dietro appiccicando il suo seno sulla mia schiena e il suo fiato sul mio collo. Abbiamo riso molto per strada, io sbandavo di continuo perché non sono abituata a portare un altro peso, lei faceva le linguacce alle vecchiette mentre mi cingeva la vita con le braccia.

Sembrava un mondo speciale quello che si è presentato ai miei occhi quando Letizia ha aperto la porta. Non era altro che una casa, una casa che non era proprietà di nessuno ma della intera comunità gay. Era provvista di tutto e anche di più dal momento che sulla libreria assie-

me ai libri c'era un grande contenitore riempito di preservativi; e sul tavolo riviste gay e riviste di moda, qual-cuna di motori, altre di medicina. Un gatto girava per le stanze e si strusciava contro ogni gamba e l'ho accarezzato come accarezzo Merino, il mio amato e bellissimo gatto (che adesso è qui, acciambellato sopra la mia scrivania, lo sento respirare).

Avevamo fame così Letizia e Floriana si sono proposte di andare a comprare le pizze alla gastronomia all'angolo della strada. Mentre stavano per uscire Wendy mi ha guardata con il viso allegro e un sorriso ebete, camminava come se stesse saltando, sembrava una specie di folletto impazzito. Avevo paura di rimanere sola con lei, così sono uscita dalla porta e ho chiamato forte Letizia dicendole che volevo farle io compagnia, mi rompeva rimanere dentro. La mia amica ha subito intuito tutto e con un sorriso ha invitato Floriana a rientrare. Mentre aspettavamo che le pizze si cuocessero abbiamo parlato poco, poi ho detto: «Cazzo, ho le dita gelate!».

Lei mi ha guardata maliziosamente ma anche ironicamente e ha detto: «Mmm... ottima informazione, ne terrò conto!».

Mentre c'incamminavamo sulla strada del ritorno abbiamo incontrato un
ragazzo
amico di
Letizia.
Tutto in lui era tenero: il volto, la pelle, la voce. La dolcezza infinita che aveva mi ha messo tanta felicità dentro. È entrato con noi e per un po' siamo rimasti a parlare sul divano mentre le altre preparavano la tavola. Mi ha detto che è un impiegato di banca anche se la sua cravatta decisamente troppo osé sembrava in netto contrasto con il freddo mondo bancario. Sembrava triste dalla voce, ma mi è parso troppo avventato chiedere cosa avesse. Mi sono sentita come lui. Poi Gianfranco se n'è andato e siamo rimaste noi quattro attorno al tavolo a chiacchierare e a ridere. O meglio, chiacchieravo solo io, senza fermarmi mentre Letizia mi guardava attenta e a volte sconcertata quando parlavo di qualche uomo con cui ero stata a letto. 

Dopo mi sono alzata e sono andata nel giardino, ordinato ma non propriamente curato, dove erano piantati palme alte e strani alberi dal busto spinoso e dai fiori grandi e rosa sulla chioma. Letizia mi ha raggiunta e mi ha abbracciata da dietro mentre con le labbra mi sfiorava il collo con un bacio.

Mi sono girata istintivamente e ho incontrato la sua bocca: calda, morbida, estremamente soffice. Adesso capisco perché gli uomini amano tanto baciare una donna: la bocca di una donna è talmente innocente, pura, mentre gli uomini che ho incontrato io mi hanno sempre lasciata con una scia viscida di saliva, riempendomi volgarmente con la lingua. Il bacio di Letizia era diverso, era vellutato, fresco ma intenso allo stesso tempo.

«Sei la donna più bella che abbia mai avuto», mi ha detto trattenendomi per il volto.

«Anche tu», ho risposto, e non so perché l'abbia fatto, era superfluo dirlo dal momento che lei è stata la mia unica donna!

Letizia ha preso il mio posto e questa volta ero io a dirigere il gioco, strofinando il mio corpo al suo. L'ho abbracciata forte respirando il suo profumo, poi mi ha condotta nell'altra stanza, mi ha abbassato i pantaloni e ha finito la dolce tortura che aveva cominciato qualche settimana fa. La sua lingua mi scioglieva, ma il pensiero di provare un orgasmo nella bocca di una donna mi faceva rabbrividire. Mentre la sua lingua mi leccava, mentre lei era in ginocchio sotto di me, protesa al mio piacere, ho chiuso gli occhi e con le mani ripiegate come le zampette di un coniglio impaurito, mi è venuto in mente l'omino invisibile che faceva l'amore con me nelle fantasie da bambina. L'omino invisibile non ha volto, non ha colori, è solo un sesso e una lingua che uso a mio godimento. E stato lì che il mio orgasmo è arrivato forte e ansimante, la sua bocca era piena dei miei umori e quando ho aperto gli occhi ho visto lei, meravigliosa sorpresa, con una mano dentro gli slip che si contorceva per il piacere che anche per lei arrivava, forse più cosciente e sincero di quanto non lo sia stato il mio. 

Dopo ci siamo sdraiate sul divano e per un po' credo di avere dormito. Quando il sole era ormai sceso e il ciclo inscurito mi ha accompagnata alla porta e le ho detto: «Lety, sarà meglio non vederci più».

Ha annuito con la testa, ha sorriso lievemente e ha detto: «Lo penso anch'io».

Ci siamo scambiate un ultimo bacio. Mentre tornavo a casa in motorino mi sono sentita usata per l'ennesima volta, usata da qualcuno e dai miei cattivi istinti.

18 maggio 2002

Mi sembra di sentire la voce calda e rassicurante di mia madre che mi raccontava ieri mentre ero a letto con l'influenza questa storia:

«Una cosa difficile e non desiderata può rivelarsi un grande dono; sai, Melissa, spesso riceviamo regali a nostra insaputa. Questo racconto narra la storia di un giovane sovrano che assunse il governo di un regno; egli era

amato già prima di diventare re e i sudditi, felici per la sua incoronazione, gli portarono numerosi doni. Dopo la cerimonia il nuovo re stava cenando nel suo palazzo; all'improvviso si sentì bussare alla porta. I servi uscirono e trovarono un vecchio miseramente vestito, dall'aspetto di un mendicante, che voleva vedere il sovrano. Fecero il possibile per dissuaderlo, ma inutilmente. Allora il re uscì per incontrarlo; il vecchio lo coprì di lodi, dicendogli che era bellissimo e che tutti nel regno erano felici di averlo come sovrano. Gli aveva portato in dono un melone, il re detestava i meloni ma, per essere gentile con il vecchio, lo accettò e lo ringraziò e l'uomo si allontanò contento. Il re rientrò nel palazzo e consegnò il frutto ai servi perché lo gettassero in giardino. 

La settimana successiva alla stessa ora bussarono ancora alla porta. Il re venne di nuovo chiamato e il mendicante lo encomiò e gli offrì un altro melone. Il re lo accettò e salutò il vecchio e, nuovamente, gettò il melone in giardino. La scena si ripetè per diverse settimane: il re era troppo gentile per affrontare il vecchio o disprezzare la generosità del suo dono.

Poi, una sera, proprio quando il vecchio stava per consegnare il melone al re, una scimmia saltò giù da un portico del
palazzo
e fece cadere il frutto dalle sue mani; il melone si spaccò in mille pezzi contro la facciata del palazzo. Quando il re guardò, vide una pioggia di diamanti cadere dal cuore del melone. Ansiosamente, corse nel giardino sul retro: tutti i meloni si erano sciolti intorno a una collinetta di gioielli». 

L'ho fermata e ho detto: «Posso evincere io la morale?», esaltata dalla bella storia.

Mi ha sorriso e ha detto: «Certo».

Ho respirato così come respiro ogni volta che mi preparo per ripetere la lezione a scuola: «Talvolta le situazioni scomode, i problemi o le difficoltà nascondono opportunità di crescita: molto spesso nel cuore delle difficoltà brilla la luce di un prezioso gioiello. È perciò saggio accogliere ciò che è scomodo e diffìcile».

Ha sorriso di nuovo, mi ha accarezzato i capelli e ha detto: «Sei cresciuta, piccola. Sei una principessa».

Volevo piangere ma mi sono trattenuta, mia madre non sa che i diamanti del re sono stati per me le crude bestialità di uomini rozzi e incapaci di amare.

20 maggio

Oggi il prof mi è venuto a trovare nuovamente fuori da scuola. Io lo aspettavo, gli ho dato una lettera allegata a un paio di mutandine particolari. 

Queste mutande sono io. Sono la cosa che mi ha meglio descrìtto. Di chi potrebbero essere così disegnate e strane con quei due laccetti fendenti se non di una piccola Lolita?

Ma oltre che appartenermi sono me e il mio corpo.

Mi è capitato molte volte di fare l'amore indossandole, forse con te mai, ma non importa... Quei laccettiostacolano i miei istinti e i miei sensi, sono dei legacci che oltre a lasciare il segno sulla pelle bloccano i miei sentimenti... Immagina il mio corpo seminudo che indossa solo questi slip: slacciato un nodo, si libererà come spirito solo una parte di me, la Sensualità. Lo spirito d'Amore è ancora ostacolato dal nodo posto sul fianco sinistro. Ecco allora che colui che ha slacciato la parte della Sensualità vedrà in mesolamente la donna, la bambina, o genericamente la femmina, in grado solo di ricevere sesso, niente di più. Mi possiede soltanto per metà ed è probabilmente quello che voglio nella maggior parte dei casi. Quando poi qualcuno slaccerà solo la parte dell'Amore anche in quel caso darò unicamente una parte di me, una parte minima sebbene profonda. Poi nella vita, un giorno qualsiasi magari arriva quel carceriere che ti offre entrambe le chiavi per liberare i tuoi spiriti: Sensualità e Amore sono liberi e volano. Ti senti bene, libera e appagata e la tua mente e il tuo corpo non chiedono, più niente, non ti tormentano più con le loro richieste. Come un tenero segreto vengono liberati da una mano che sa come accarezzarti, che ti sa fare vibrare, e il solo pensiero di quella mano ti riempie di calore il corpo e la mente.

Adesso odora quella parte di me che sta esattamente al centro fra Amore e Sensualità: è la mia Anima che esce e filtra attraverso i miei umori.

Avevi ragione quando mi dicevi che sono nata per scopare, come vedi anche la mia Anima ha voglia di sentirsi desiderata ed emana il suo odore, l'odore di femmina. Forse la mano che ha liberato i miei spiriti è la tua prof.

E mi azzardo a dire che solo il tuo olfatto è stato in grado di cogliere i miei umori, la mia Anima. Non mi sgridare per questo prof, se mi sono sbilanciata, sento che devo farlo perché almeno infuturo non avrò il rimorso di aver perso qualcosa prima di averla afferrata. Questa cosa cigola dentro di me come una porta non ben oliata, il suo rumore è assordante. Stando con te, fra le tue braccia, io e le mie mutande siamo prive di qualsiasi impedimento e catene. Ma gli spiriti nel loro volo hanno trovato un muro: l'orrendo e ingiusto muro del tempo che passa lento per l'uno, veloce per l'altra, una serie di cifre che ci tengono a distanza; spero che la tua intelligenza matematica possa offrirti spunto per risolvere la tremenda equazione. Ma non è soltanto questo: tu conosci solo una parte di me, sebbene ne abbia liberate due. E non è quella la parte che vorrei lasciare vivere, non solo. Sta a te decidere se dare una svolta al nostro rapporto, farlo diventare più... "spirituale", un tantino più profondo. Confido in te.

Tua, Melissa

23 maggio
15,14

Dov'è Valerio? Perché mi ha lasciata senza nemmeno un bacio?

29 maggio 2002
2,30

Piango, diario, piango di gioia immensa. L'ho sempre saputo che esistevano la gioia e la felicità. Qualcosa che ho ricercato in tanti letti, in tanti uomini, anche in una donna, che ho ricercato in me stessa e che dopo ho perso per colpa mia. E nel luogo più anonimo e banale l'ho trovato. E non in una persona, ma nello sguardo di una persona. Io, Giorgio e altri siamo andati al nuovo locale che è stato appena aperto proprio sotto casa mia, a 50 m dal mare. E un locale arabo, ci sono danzatrici del ventre attorno ai tavoli che ballano o servono le ordinazioni, e poi i cuscini a terra, i tappeti, la luce delle candele e il profumo d'incenso. Era strapieno, così abbiamo deciso di aspettare che qualche tavolo si liberasse per poter prendere posto. Ero poggiata a un lampione, pensavo alla telefonata di Fabrizio finita male; gli ho detto che non volevo niente da lui, che non volevo più rivederlo.

Si messo a piangere e ha detto che mi avrebbe dato tutto, specificando però che cosa: soldi, soldi e soldi.

«Se questo quello che vuoi dare a un essere umano, non sono proprio io a doverlo ricevere. Ti ringrazio per l'offerta comunque», ho esclamato ironicamente, poi gli ho sbattuto il telefono in faccia e non ho preso nessuna delle sue chiamate e non le prenderò mai più, giuro. Odio quell'uomo: è verme, è sudicio, non voglio più concedermi a lui.

Pensavo a tutto questo e a Valerio, avevo le sopracciglia aggrottate e gli occhi fissi in un punto non identificabile; poi, distogliendomi dai pensieri fastidiosi, ho incrociato il suo sguardo che mi osservava da chissà quanto tempo, era leggero e dolce. Lo guardavo e mi guardava a intervalli di tempo assai brevi, distoglievamo lo sguardo senza poter fare a meno di ripiombarci gli occhi addosso nuovamente. I suoi occhi erano profondi e sinceri, e questa volta non mi sono illusa creando assurde fantasie per farmi male e punirmi, questa volta c'ho creduto realmente, li vedevo i suoi occhi, erano lì, mi fissavano e sembravano dirmi di volermi amare, di volermi conoscere davvero. A poco a poco ho cominciato a osservarlo meglio: era seduto a gambe incrociate, una sigaretta fra le mani, due labbra carnose, un naso un po' pronunciato ma importante e gli occhi da principe arabo. Quello che mi stava offrendo era qualcosa di mio, solo mio. Non guardava nessun'altra, guardava me e non come qualsiasi uomo tende a osservarmi per strada ma con sincerità e onestà. Non so per quale oscuro motivo ma mi scappata una risata troppo forte, non potevo contenermi; la felicità era talmente grande da non limitarsi a un sorriso. Giorgio mi guardava divertito, mi chiedeva cosa avessi. Con un gesto della mano gli ho detto di non preoccuparsi e mi sono abbracciata a lui così da poter giustificare quella mia improvvisa esplosione. Mi sono voltata nuovamente e ho notato che mi stava sorridendo e mi stava offrendo la vista dei suoi splendidi denti bianchi; è stato lì che mi sono
calmata
e mi sono detta: «Mi raccomando Melissa, fallo scappare, eh? Fagli vedere che sei una stupida, una deficiente e un'ignorante... e soprattutto dagliela subito, non farlo aspettare!». 

Mentre pensavo questo una
ragazza
gli passata accanto e gli ha accarezzato i capelli; lui l'ha guardata per un misero istante e poi si spostato un po' per riuscire a vedermi meglio.

Giorgio mi ha distratta: «Meli, andiamo da un'altra parte. Io ho le rane allo stomaco, non mi va di aspettare ancora».

«Eddai, Giorgmo, altri dieci minuti, dai, vedrai che si libera...», gli ho risposto perché non volevo staccarmi da quello sguardo.

«Che tutta 'sta voglia di rimanere qui? Qualche maschio fra i piedi?».

Ho sorriso un po' e ho annuito.

Lui ha sospirato e ha detto: «Abbiamo parlato a lungo di questa cosa. Melissa, vivi tranquilla per un po' di tempo, le cose belle arriveranno da sole».

«Questa volta diverso. Dai...», gli dicevo come una piccola bambina viziata.

Ha sospirato ancora e ha detto che loro giravano per i locali vicini, se c'era posto negli altri non si discuteva, avrei dovuto seguirli. 

«OK», ho detto sicura che a quell'ora i posti col cavolo che li avrebbero trovati. Li ho visti entrare nella gelateria con gli ombrelloni giapponesi sopra ogni tavolo e mi sono riappoggiata al lampione, cercando il più possibile di non guardarlo. A un tratto l'ho visto alzarsi e penso di essere sicuramente diventata viola in viso, non sapevo che fare, ero in assoluto imbarazzo; così mi sono voltata verso la strada e ho fatto finta di dover aspettare qualcuno osservando tutte le macchine che arrivavano; e i miei pantaloni in seta indiana svolazzavano accompagnati dal leggero vento del mare.

La sua voce calda, profonda, l'ho sentita alle mie spalle e ha detto: «Cosa aspetti?».

Improvvisamente ho pensato a una vecchia cantilena che ho letto da piccola in una favola che mio padre mi portò da uno dei suoi viaggi. In maniera spontanea e inattesa l'ho pronunciata girandomi verso di lui: «Aspetto, aspetto, nella buia notte, e apro l'uscio se qualcuno batte. Dopo la cattiva viene la buona sorte, e vien colui che non sa l'arte».

Siamo rimasti in silenzio, con l'espressione dei visi seria; poi siamo scoppiati a ridere. Mi ha porto la morbida mano e gliel'ho stretta piano ma con determinazione.

«Claudio», ha detto continuando a guardarmi negli occhi.

«Melissa», sono riuscita non so come a dire.

«Cos'era quella cosa che hai detto prima?».

«Cosa...? ...ah, sì, prima! È la cantilena di una favola, la conosco a memoria da quando avevo sette anni».

Ha mosso la testa come per dire di aver capito. Ancora silenzio, un silenzio da panico. Un silenzio interrotto dal mio simpatico e maldestro amico che arrivava di corsa dicendo: «Scemotta, abbiamo trovato il posto, vieni, ti stiamo aspettando». 

«Devo andare», ho sussurrato.

«...Posso bussare al tuo uscio?», ha detto anche lui piano.

L'ho guardato stupita di tanta audacia che non era presunzione, solo volontà che tutto non finisse lì.

Ho annuito con gli occhi un po' bagnati e ho detto: «Mi trovi spesso da queste parti, sto proprio qua sopra», indicandogli il mio balcone.

«Allora ti dedicherò una serenata», ha scherzato strizzando l'occhio.

Ci siamo salutati e io non mi sono voltata per guardarlo ancora una volta anche se avrei voluto, avevo paura di sciupare tutto.

Poi Giorgio mi ha chiesto: «Ma chi era quello?».

Ho sorriso e ho detto: «È colui che vien e non sa l'arte».

«Ehhh?», ha esclamato.

Ho sorriso ancora, gli ho pizzicato le guance e ho detto: «Lo scoprirai presto, tranquillo».

BOOK: 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire
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