100 colpi di spazzola prima di andare a dormire (9 page)

BOOK: 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire
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24 febbraio

Stamattina non sono andata a scuola, ero troppo stanca. E poi stasera avrò la prima dello spettacolo, sono giustificata.

Verso l'ora di pranzo ho ricevuto un messaggio da Letizia in cui mi diceva che alle 21 in punto sarà lì a guardarmi. Già, Letizia... ieri l'ho scordata. Ma come si fa ad assemblare la perfezione con la perfezione? Ieri avevo Valerio e mi bastava; oggi sono sola e non mi basto (perché da sola non mi basto più?), voglio Letizia.

P.S.: Quel cretino di Fabrizio! Si era messo in testa di venirmi a vedere con la moglie! Meno male che non è tanto presuntuoso, alla fine l'ho convinto a restarsene a casa.

Stasera non sono stata particolarmente agitata, anzi mi attraversava una leggera apatia, non vedevo l'ora di finire. Tutti gli altri saltellavano chi per paura chi per contentezza, io stavo dietro il sipario a spiare la gente che arrivava, attentissima osservavo se
Letizia era
già entrata. Non l'ho vista e Aldo, lo scenografo, mi ha chiamata dicendomi che si doveva iniziare. Allora si sono spente le luci della platea e si sono accese quelle del palco. Mi sono lanciata in scena come una freccia scoccata dall'arco, sono arrivata sul palcoscenico schizzando esattamente nel modo in cui il regista mi ha sempre pregato di fare durante le prove senza però che io ci sia mai riuscita. Eliza Doolittle ha stupito tutti, persino me stessa, è venuta fuori una naturalezza di gesti e di espressione assolutamente nuova, ne ero entusiasta. Dal palco cercavo di scorgere Letizia senza però riuscirci. Così ho aspettato che finisse lo spettacolo, i saluti, gli applausi e da dietro il sipario ormai chiuso ho continuato a scrutare gli ospiti per incontrare il suo volto. C'erano i miei genitori, alle stelle, che battevano forte le mani, c'era Alessandra che non vedevo da mesi, e per fortuna di Fabrizio nemmeno l'ombra.

Poi l'ho vista, il suo volto era illuminato e allegro, batteva le mani come una forsennata; mi piace anche per questo, perché è spontanea, allegra, mette dentro una gioia di vivere estrema, guardarla in viso significa esasperare la propria contentezza.

Aldo mi ha tirata per un braccio e ha esclamato forte: «Brava, brava tesoro! Dai, dai sbrigati, vai a cambiarti, andiamo a festeggiare fuori con gli altri», aveva un'espressione folle e particolare, mi sono messa a ridere rumorosamente.

Gli ho detto che non potevo, dovevo vedere una persona. Nello stesso momento è arrivata Letizia con il suo volto sorridente; quando si accorta di Aldo la sua espressione è mutata, il suo sorriso è scomparso e gli occhi si sono rabbuiati. Ho visto Aldo e ho notato la stessa espressione seria calare sul volto sbiancato. Mi sono girata come una scema due o tre volte per osservare prima l'uno e poi l'altra, dopodiché ho chiesto: «Ma che c'? Che avete?».

Sono rimasti in silenzio, guardandosi adesso con occhi duri, quasi minacciosi.

Aldo ha parlato per primo: «Niente, niente, andate. Dirò agli altri che non sei potuta venire. Ciao bella», mi ha baciata in fronte.

Confusa l'ho guardato mentre scappava via, mi sono voltata verso Letizia e le ho chiesto: «Ma si può sapere che succede? Vi conoscete?».

Adesso era più rasserenata, è stata un po' titubante, cercava di sfuggire ai miei occhi e ha abbassato il viso coprendolo con le mani lunghe e affusolate.

Poi mi ha guardata dritta negli occhi e ha detto: «Penso che tu sappia che Aldo è omosessuale»

Lo sappiamo tutti a scuola, lui ne parla ormai liberamente e ho risposto di sì.

«E allora?», ho cercato di farla continuare.

«Allora, qualche tempo fa stava con un ragazzo, poi... be' poi ci siamo conosciuti, io e il
ragazzo
intendo... Aldo sospettava già qualcosa», le sue parole erano lente e frammentate. 

«Sospettava cosa?», ho chiesto contemporaneamente curiosa e isterica.

Mi ha guardata con i suoi occhioni lucidi: «No, non posso dirtelo, scusami... non posso...».

Ha rivolto lo sguardo altrove e ha detto: «Che non sono solo lesbica...».

E io cosa sono? Una donna e nemmeno, all'anagrafe sono ancora troppo piccola, dunque una femmina che cerca riparo e amore fra le braccia di una donna. Ma sto mentendo, diario, non permetterei mai alla mia metà di somigliarmi così tanto, devo essere l'unico membro femminile dello stesso insieme. Ciò che di
Letizia
guardo e ardisco solo il corpo, l'essenza carnale ma, devo dire, anche quella spirituale. Lei mi piace tutta, m'intriga e mi affascina, da qualche tempo è diventata la protagonista di molte mie fantasie. L'amore, quello che cerco da sempre, a volte mi sembra così lontano, così diverso da me.. 

1 marzo 2002
23,20

Quando oggi sono uscita di casa mio padre era seduto sul divano che guardava con espressione assente lo schermo. Con aria apatica mi ha chiesto dove stessi andando e a me è sembrato superfluo rispondere dal momento che qualsiasi cosa gli avessi detto non avrebbe cambiato espressione del volto, sarebbe rimasto lì supino.

Se gli avessi detto: «Vado nella casa che ha appena comprato un uomo sposato con cui scopo», gli avrebbe provocato lo stesso effetto della mia risposta: «A studiare a casa di Alessandra».

Ho chiuso la porta piano, non volevo disturbare i suoi astratti pensieri lontani da me.

Fabrizio mi ha già provvista delle chiavi dell'appartamento, mi ha detto di aspettarlo lì che lui sarebbe arrivato dopo il lavoro.

Non l'avevo ancora visto, figurati quanto me ne importa. Ho posteggiato lo scooter davanti al
palazzo
e sono entrata nell'androne semibuio e deserto.

La voce della portinaia che mi chiedeva chi cercassi mi ha fatta sobbalzare e un caldo improvviso mi ha sorpresa.

«Sono la nuova inquilina», ho detto forte e scandendo le parole pensando scioccamente che la portinaia fosse sorda. Lei infatti ha subito chiarito: «Non sono sorda. A che piano deve andare?».

Ho pensato un po' poi ho detto: «Al secondo, la casa che ha appena preso il signor Laudani».

Ha sorriso e ha detto: «Ah, sì! Suo padre mi ha detto di dirle che è meglio se chiude la porta a chiave una volta dentro».

...Mio padre? Ho lasciato correre, era inutile spiegare che non lo era e anche piuttosto imbarazzante.

Ho aperto la porta e nello stesso momento in cui la chiave ha schioccato, ho pensato a quanto fosse stupido e insensato quello che mi stavo accingendo a fare. Stupida io a fare una cosa che non volevo assolutamente iniziare.

Tutto contento con quella voce da ebete, Fabrizio mi aveva detto che questo pomeriggio sarebbe stato particolare, che avremmo inaugurato il "nostro rifugio d'amore" con qualcosa di memorabile. L'ultima volta che ho fatto qualcosa che qualcuno mi aveva annunciato memorabile ho succhiato i cazzi di cinque persone in una stanza buia che odorava di spinello. Spero che almeno oggi il tema cambi. L'ingresso era piuttosto piccolo e alquanto scialbo, solo un tappeto rosso donava un po' di colore; da lì ho potuto vedere tutte le altre camere, sebbene in parte: la camera da letto, un piccolo soggiorno, un cucinino e uno sgabuz-zino. Ho evitato di andare in camera da letto per non vedere da vicino quello scempio che aveva fatto montare di fronte al letto, mi sono diretta verso il soggiorno. Passando di fronte allo sgabuzzino non ho potuto fare a meno di notare tre scatole colorate poggiate sul pavimento, così ho acceso la luce e sono entrata. Davanti alle scatole c'era un bigliettino su cui a caratteri grandi c'era scritto:
APRI LE SCATOLE E INDOSSA UNA FRA LE COSE CHE CI SONO.
La cosa mi ha catturata parecchio, la mia curiosità si accesa.

Ho frugato fra le scatole e tutto sommato devo riconoscere che la fantasia non gli manca; nella prima c'era biancheria intima bianca e candida di pizzo, sottana in velo, slip sensuali eppure casti, reggiseno a balconcino. Un altro bigliettino posto dentro diceva:
PER UNA BIMBA CHE HA BISOGNO Di COCCOLE.
Prima scatola scartata.

La seconda conteneva un perizoma rosa con delle piume dietro come se fosse la coda di un coniglio, un paio di '.'.) calze a rete, scarpe rosse con il tacco vertiginoso e un altro bigliettino:
PER UNA CONIGLIETTA CHE VUOLE ESSERE CATTURATA DAL CACCIATORE.
Prima di scartarla volevo vedere ciò che riservava la terza scatola.

Mi piaceva questo gioco, questo scoprire le sue voglie. La terza scatola quella che ho scelto: una lucida e nera tuta in latex accompagnata da lunghi e alti stivali in pelle, un frustino, un fallo nero e un tubetto di vasellina. Nella scatola oltre ad alcuni cosmetici c'era il bigliettino che diceva:
per una padrona che vuole punire il suo SCHIAVO
. Punizione migliore di questa non sarebbe potuta esserci, me l'aveva proposta con i suoi stessi mezzi. Poi più in basso un post scriptum:
SE deciderai di indossare QUESTA DOVRAI CHIAMARMI SOLO DOPO AVERLA INDOSSATA.
Non ho capito il perché di questa richiesta eppure mi andata bene, il gioco si faceva più interessante: l'avrei fatto venire e andare quando avrei voluto... bello! 

Potevo mandarlo affanculo senza rimorsi o sensi di colpa. Però mi scocciava fare quell'intrigante gioco con lui, non lo reputavo all'altezza, immagino che avere tutte quelle opportunità con il professore sarebbe fantastico. Ma dovevo, ha fatto troppe cose per garantirsi alcune scopate con me, la casa prima, adesso questi regali. Ho visto lo schermo del cellulare lampeggiare, mi stava chiamando. Ho rifiutato la chiamata e gli ho mandato un messaggio in cui dicevo che avevo scelto la terza scatola e che l'avrei chiamato io, dopo.

Sono andata in soggiorno, ho aperto la finestra che dava sul balcone e ho lasciato che un po' d'aria fresca mandasse via l'odore di chiuso, poi mi sono sdraiata sul tappeto dai colon caldi e avvolgenti; l'aria fresca, il silenzio, la luce soffusa che proveniva dal sole morente mi hanno accompagnata in un sonno. Ho chiuso piano le palpebre e ho respirato a pieni polmoni finché il mio stesso respiro lo percepivo come un'onda che viene e va, s'infrange sullo scoglio e poi si ritira nuovamente nella vastità del mare. Un sogno mi ha cullata e mi ha tenuta fra le braccia la passione. Non riuscivo a scorgere l'uomo sebbene nel sogno sapessi bene chi fosse, ma la sua identità nella realtà mi sfugge, i suoi tratti erano indefiniti, eravamo incastrati l'un l'altra come una chiave con la sua serratura, come la vanga del contadino conficcata sulla terra ricca e rigogliosa. Il suo membro eretto dopo essersi assopito per qualche tempo stava ricominciando a darmi gli stessi sussulti di prima e la mia voce spezzata gli faceva capire quanto quel gioco mi stesse piacendo. La mia voglia lo faceva intorpidire quasi io fossi uno spumante fresco e frizzante che donava l'ebbrezza necessaria perché i sensi andassero a toccare il punto più alto del cielo.

Dopo si sentiva sempre più spossato dal mio corpo e dai miei movimenti così rapidi eppure così lenti da fargli perdere la concezione del tempo. Ho staccato piano i miei glutei dal suo sesso perché la freccia non uscisse improvvisa dalla ferita aperta e rossastra e ho cominciato a osservarlo con il mio sorriso da lolita. Ho ripreso i legacci di seta che poco prima avevano serrato i miei polsi, questa volta per cingere i suoi; le sue palpebre chiuse facevano intuire il desiderio di possedermi forte e violento, ma ho capito che volevo attendere... attendere ancora...

Ho poi preso le mie autoreggenti nere, quelle con la balza in pizzo, e ho legato le sue caviglie ai piedi delle due sedie che avevo avvicinato ai bordi del letto. Adesso era aperto al suo e al mio piacere. In mezzo a quel corpo nudo si erigeva l'asta dell'amore, sicura, dritta e inesorabile, che non avrebbe tardato a volersi impadronire della mia rosa segreta ancora una volta. Sono salita su di lui, ho strusciato la mia pelle alla sua percependo i miei e i suoi brividi ugualmente scossi da leggere ondate di piacere, i miei capezzoli irti carezzavano lievemente il suo torso percorso da peli che punzecchiavano la mia pelle liscia, il suo respiro si scontrava caldo con il mio. 

Ho passato la punta delle dita sulle sue labbra massaggiandole piano; poi le mie dita entravano nella sua bocca, piano, dolcemente... i suoi mugolìi mi facevano capire quanto le dita nel loro viaggio di scoperta lo stessero eccitando. Ho portato un dito alla mia rosa bagnata e l'ho inumidito con la sua rugiada, poi l'ho riportato alla cima del suo pene, rossa ed eccitata, che al tocco ha vibrato legger-mente nell'aria come la bandiera del comandante vincitore della battaglia. A cavalcioni su di lui, con le natiche rivolte verso lo specchio che si riflettevano nei suoi occhi, ho abbassato il busto e gli ho sussurrato «Ti voglio» all'orecchio.

Era bello vederlo in balìa dei miei desideri, lì steso nudo con le lenzuola bianche che facevano da contorno al suo corpo teso ed eccitato... ho preso la sciarpa profumata con la quale ero entrata in casa e ho bendato i suoi occhi perché non potessero vedere il corpo che lo lasciava attendere.

L'ho lasciato lì molti minuti. Troppi minuti. Io impazzivo dalla voglia di cavalcare quell'asta perennemente eretta, non stanca dell'attesa, eppure volevo farlo aspettare, sempre aspettare. Finalmente mi sono alzata dalla sedia della cucina per entrare nuovamente nella camera da letto dove lui mi attendeva legato. E riuscito a sentire i miei passi volutamente felpati e silenziosi e ha emesso un sospiro di gratitudine, si è mosso un poco prima che il mio corpo lentamente lo inghiottisse dentro di sé...

Mi sono svegliata che il cielo era di un blu intenso e la luna già visibile
attaccata
come una sottile unghia al tetto del mondo, ero ancora eccitata dal sogno. Ho preso il cellulare e l'ho chiamato.

"Pensavo non ti saresti fatta sentire»» ha detto preoc cupato.

«Ho fatto i miei comodi», ho risposto cattiva.

Mi ha detto che sarebbe arrivato in un quarto d'ora e che dovevo aspettarlo sul letto.

Mi sono spogliata e ho lasciato i miei indumenti per terra nello sgabuzzino, ho preso il contenuto della scatola e ho indossato quella stretta tuta che mi si è attaccata addosso e tirava la pelle pizzicandola. Gli stivali mi arrivavano esattamente a metà coscia. Non ho capito bene perché avesse inserito anche un rossetto rosso fiammante, un paio di ciglia finte e un fard molto acceso. Sono andata in camera da letto per specchiarmi e quando ho visto la mia immagine ho avuto un sussulto: ecco la mia ennesima trasformazione, il mio ennesimo prostrarmi ai desideri proibiti e nascosti di qualcuno che non sono io e che non mi ama. Ma questa volta sarebbe stato diverso, avrei avuto una degna ricompensa: la sua umiliazione. Anche se, in realtà, gli umiliati eravamo entrambi. È arrivato un po' più tardi dell'orario che mi aveva detto, si è scusato dicendo che aveva dovuto inventare una balla con la moglie. Povera moglie, ho pensato, ma stasera la punizione l'avrà anche da parte tua.

Mi ha trovata stesa sul letto mentre ero intenta a osservare un moscone che sbatteva contro la lampadina appesa al soffitto producendo un rumore fastidioso e ho pensato che la gente sbatte convulsamente contro il mondo allo stesso modo di quello stupido animale: crea rumore, scompiglio, ronza intorno alle cose senza mai poterle afferrare completamente; qualche volta confonde un desiderio con una trappola e ci rimane stecchita, marcendo sotto il riflettore blu dentro la gabbia.

Fabrizio ha poggiato la sua ventiquattrore per terra ed è rimasto fermo sull'uscio della porta osservandomi in silenzio. I suoi occhi parlavano in maniera eloquente e l'eccitazione sotto i suoi pantaloni mi confermava tutto: avrei dovuto torturarlo piano ma con cattiveria.

Poi ha parlato: «Tu mi hai già violentato la testa, mi sei entrata dentro. Adesso dovrai violentarmi il corpo, dovrai far entrare qualcosa di te nella mia carne».

«Non ti sembra che a questo punto non si distingue più chi è lo schiavo e chi il padrone? Decido io cosa devo fare, tu devi solo subire. Vieni!», ho esclamato come la migliore delle padrone.

Si è diretto a lunghi e frettolosi passi verso il letto e osservando lo scudiscio e il fallo sopra il comodino ho sentito il sangue ribollire e una frenesia che mi stava eccitando. Volevo sapere che orgasmo avrebbe provato, e soprattutto volevo vedere il suo sangue.

Nudo sembrava un verme, aveva pochi peli, la sua pelle era lucida e molle, il suo ventre gonfio e largo, il suo sesso improvvisamente eccitato. Ho pensato che donargli la stessa dolce violenza del sogno sarebbe stato troppo, lui meritava una punizione cruda,
malvagia,
forte. L'ho fatto stendere per terra a pancia in giù, il mio sguardo era altero e freddo, distaccato, gli avrebbe gelato il sangue nelle vene se solo lo avesse visto. Si è voltato con il viso sbiancato e sudato e io ho puntato il tacco del mio stivale in pelle con forza sulla sua schiena. La sua carne è stata flagellata dalla mia vendetta. Urlava, ma urlava piano, forse piangeva, la mia mente era in uno stato talmente confuso che mi era impossibile distinguere i suoni e i colori attorno a me. "chi sei?», gli ho chiesto gelida. 

Un rantolo prolungato e mi ha detto: "il tuo schiavo».

Mentre diceva così il mio tacco è sceso per la spina dorsale ed è finito fra le sue natiche, premendo.

«No Melissa... No...», ha detto ansimando forte.

Non sono stata capace di continuare, così ho preso gli accessori allungando la mano verso il comò e li ho poggiati sul letto. L'ho girato con un calcio obbligandolo alla posizione supina e ho riservato al suo petto lo stesso trattamento della schiena.

«Girati!», gli ho ordinato nuovamente. Lui l'ha fatto e mi sono messa a cavalcioni su una sua coscia e senza rendermene conto ho cominciato a sfregare leggermente il sesso trattenuto dalla tuta aderente.

«Hai la fichetta tutta bagnata, dai fammela leccare...», ha detto in un sospiro.

«No!», ho detto forte.

La sua voce si è spezzata e riuscivo a sentirlo mentre mi diceva di continuare, di fargli male.

La mia eccitazione cresceva, riempiva il mio animo e poi usciva nuovamente dal mio sesso provocando una misteriosa esaltazione. Lo stavo sottomettendo e ne ero felice. Felice per me e felice per lui. Per lui perché era quello che voleva, uno dei suoi più grandi desideri. Per me perché è stato come affermare la mia persona, il mio corpo, la mia anima, tutta me stessa su un'altra persona, risucchiandola completamente. Stavo partecipando alla festa di me stessa. Prendendo il frustino in mano ho passato prima l'asta e poi i fili in cuoio sul suo sedere, senza però colpirlo; poi ho dato un leggero colpo e ho sentito il suo corpo sussultare e tendersi. Sopra di noi sempre il moscone che sbatteva contro la lampadina e davanti a me la tenda che la finestra semiaperta tirava fino a strapparla. L'ultimo colpo violento alla sua schiena torturata e arrossata e poi ho preso il fallo. Non ne avevo mai tenuto in mano uno, e non mi piaceva. Ho cosparso il gel appiccicoso sulla superficie impregnandomi le dita della falsità, della non naturalità; era ben diverso dal vedere Gianma-ria e Germano entrare piano nei loro rispettivi corpi, farlo con dolcezza, tenerezza, essere dentro a una realtà diversa ma vera, confortante. Questa realtà invece mi ha fatto schifo: tutto falso, tutto miseramente ipocrita. Ipocrita lui verso la sua vita, verso la sua famiglia, verme nel prostrarsi ai piedi di una bambina. È entrato con difficoltà e sotto le mie mani l'ho sentito vibrare come se avesse spaccato qualcosa: le sue viscere. Lo penetravo ripetendomi in testa delle frasi, come delle formule da pronunciare durante un rito. 

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