Gai-Jin (134 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“Rispetto? Maledetta impertinenza, per Dio...” Sir William si abbandonò alle invettive.

Quando si fermò per riprendere fiato, Johann concluse: “E' firmato “Nori Anjo, taira”. Se non erro, sir William, il titolo equivale più o meno a quello di un dittatore... un Anziano si è fatto strada”.

Capitolo 37


 

Kyòto, Giovedì, 4 dicembre

 

Toranaga Yoshi era livido.

“Quand'è avvenuta la nomina?”

“Ieri l'altro, signore, portata a Edo da un piccione viaggiatore al principe Anjo” rispose a voce bassa Wakura, primo ciambellano e capo degli ufficiali del palazzo.

La rabbia del suo ospite lo lasciava indifferente, anzi, si stava godendo quell'incontro che aveva architettato personalmente.

“Il rotolo ufficiale firmato dallo shògun su richiesta del Figlio del Cielo è stato spedito lo stesso giorno, credo, per essere consegnato al più presto al principe Anjo Nori.”

Quest'informazione ebbe l'effetto di fare arrabbiare Yoshi ancora di più. Il suo antenato, lo shògun Toranaga, aveva decretato che i piccioni viaggiatori erano proprietà esclusiva dello shògunato, e nel corso degli ultimi due secoli e mezzo la consuetudine di usarli come veloce mezzo di comunicazione era caduta in disuso perchè poco necessaria. Vi si ricorreva ormai soltanto per annunciare il decesso di uno shagun o di un imperatore.

Dal canto suo la Bakufu da tempo fingeva di non notare che alcuni usurai dello zaibatsu di Osaka usavano segretamente i piccioni viaggiatori, riservandosi di poter chiedere poi favori particolari o di imporre nuove tasse o applicare misure punitive ogniqualvolta lo ritenesse utile ai propri interessi.

“E lo sciocco ultimatum ai gai-jin? Quando arriverà l'ultimatum?” domandò Yoshi.

“Quanto prima, signore, La richiesta imperiale era nel messaggio insieme alla nomina, signore, confermata dallo shògun Nobusada e contrassegnata dalla dicitura: “Da recapitare al più presto”.

“E' un ordine idiota, ed eseguirlo con tanta precipitazione è ancora più idiota!” Yoshi si avvolse intorno alle spalle il mantello imbottito. La pioggerella che batteva sul giardino rendeva insopportabile il freddo già pungente.

“Mandate un altro piccione per revocare l'ordine.”

“Se fosse in mio potere farlo, signore, giacché siete voi a suggerirlo, lo farei immediatamente. Ne chiederò subito l'autorizzazione, signore, ma immagino che i vostri desideri si esprimano con un certo ritardo poiché il capo dei gai-jin deve aver già ricevuto l'ordine, con ogni probabilità lo ha ricevuto ieri.”

Wakura nascose la contentezza dietro un'espressione e un atteggiamento contriti: era giunto all'acme di anni d'intrighi a sostegno dei desideri dell'imperatore, di gran parte dei daimyo, dei nobili della corte, di Ogama, che al momento deteneva il potere a Kyòto,, era soltanto grazie al suo permesso infatti che gli uomini dell'odiato shògunato controllavano le Porte, della principessa Yazu e, cosa più importante di tutte, a sostegno dei propri interessi.

La sua abilità e il suo sagace tempismo alcuni giorni prima l'avevano piacevolmente stupito: aveva sorpreso la principessa durante la passeggiata mattutina nei giardini del palazzo e con una sola mossa aveva neutralizzato shògunato, Bakufu e Yoshi, il più pericoloso dei suoi nemici.

“Principessa imperiale, sento alcuni nobili molto vicini al Divino sussurrare, nel vostro interesse, che il vostro nobile consorte dovrebbe nominare il principe Nori Anjo tairò al più presto.”

“Anjo?” aveva ribattuto incredula la ragazza.

“Uomini di grande saggezza ritengono, principessa, che la cosa andrebbe fatta con discrezione e celerità. A

Edo sono in molti a complottare, e questa nomina otterrebbe l'effetto di impedire l'intromissione di... alcuni nemici ambiziosi” aveva aggiunto con delicatezza, “nemici che sono costantemente occupati a minacciare la sicurezza del vostro onorato consorte, e che forse intrattengono rapporti con i maledetti shishi.

Ricordatevi di Otsu!”

“Come potrei dimenticare? Tuttavia, Anjo... non che io possa esercitare un'influenza tale da modificare decisioni di tale importanza... tuttavia Anjo è un uomo ottuso e sciocco. E se fosse nominato tairò diventerebbe persino più arrogante di quanto già non sia.”

“E vero, ma elevarlo al di sopra degli altri Anziani è forse un piccolo prezzo da pagare in cambio della sicurezza dello shògun che fino a quando non avrà raggiunto la maggiore età sarà sempre in pericolo, e neutralizzare il suo... Il suo maggior rivale, il principe Yoshi.”

“Il tairò ha il potere di revocargli l'incarico di Guardiano?”

“E' probabile, principessa. I saggi sussurrano inoltre che Anjo è lo strumento ideale contro i gai-jin: non ha grilli per la testa e obbedisce ai desideri imperiali, e questo è un altro punto a suo favore. Al Divino non sfuggirà tanta lealtà e sarà senza dubbio lieto di compensare i suoi servigi. Ho sentito i saggi dire che la cosa dovrebbe essere fatta con la massima discrezione e con la massima celerità.”

Ed è stato così facile far germinare il seme piantato. E' cresciuto in fretta come le piante iperconcimate della mia serra... Com'è stato saggio agire sulla moglie dello shògun.

E' bastata qualche sua parola mormorata all'orecchio di quel giovane ottuso, l'aiuto di qualche nobile compiacente, il mio consiglio richiesto e subito elargito per arrivare al risultato voluto.

E adesso tocca a te, Toranaga Yoshi, pensò soddisfatto. Yoshi il bello, astuto, forte, altolocato usurpatore dal troppo potere, pronto a scatenare la guerra civile che io e tutti gli altri, eccetto pochi nobili radicali, temiamo; la guerra che stroncherebbe sul nascere il rifiorire della potenza imperiale imponendo ancora una volta alla corte il giogo di qualche brigante signore della guerra, padrone delle Porte, che ridurrà ulteriormente i nostri appannaggi costringendoci a mendicare.

Represse un brivido.

Non erano passati molti decenni da quando un ex imperatore era stato costretto a vendere la propria firma lungo le strade di Kyòto per guadagnarsi il denaro necessario alla sopravvivenza.

Non erano passati molti anni da quando le più belle fanciulle della corte venivano date in spose a daimyo ambiziosi, che spesso non appartenevano neppure alla classe dei samurai, uomini i cui unici titoli per aspirare a ranghi superiori erano le gesta compiute in guerra, e il denaro. Non erano passati molti decenni da...

No, pensò, cose simili non accadranno più. Quando sonno-joi sarà una realtà, i nostri fedeli alleati shishi scioglieranno le fila e torneranno ai loro feudi, e tutti i daimyo si prostreranno dinanzi all'imperatore e noi regneremo a corte mentre un'altra età dell'oro si aprirà per il paese.

Tossì e sistemò le enormi maniche del suo elaborato abito di corte senza perdere di vista Yoshi, gli occhi socchiusi nel volto grossolano e truccato secondo la tradizione di Kyòto.

“L'ordine di espellere i gai-jin è certo un buon ordine, signore. La saggia e antica avversione dell'imperatore per i gai-jin e i trattati avrà infine la meglio e la nostra Terra degli Dèi sarà per sempre libera dalla loro presenza. Ciò dovrebbe rendere felice anche voi, principe Yoshi.”

“Se l'ordine avesse senso ne sarei felice, certo. Se avesse qualche possibilità d'essere eseguito. Se disponessimo dei mezzi necessari per farlo rispettare. Ma niente del genere accadrà perchè non ne esistono i presupposti. Perché non sono stato consultato?”

“Consultarvi, signore?

“ Le sopracciglia dipinte di Wakura si corrugarono unendosi in mezzo alla fronte.

“Io sono il Guardiano dell'Erede per volere imperiale! Il ragazzo è minorenne e quindi non è responsabile della sua firma.”

“Oh, spiacente, signore... se fosse dipeso da me ovviamente avrei chiesto innanzitutto la vostra approvazione. Vi prego di non rimproverare me, signore, che non ho alcun potere salvo quello di suggerire, e sono soltanto un servo della corte, dell'imperatore.”

“Avrei dovuto essere consultato!”

“Ne convengo, spiacente, viviamo in tempi difficili.”

Il volto di Yoshi si era irrigidito. Ormai il danno era fatto.

Adesso toccava a lui togliere lo shògunato dal guaio in cui quegli inetti consiglieri l'avevano messo. Stupidi!

E in quale modo?

Innanzitutto Anjo... in un modo o nell'altro... mia moglie aveva ragione.

Ah, Hosaki, quanto mi mancano i tuoi consigli.

Pensando alla famiglia lasciò vagare lo sguardo e la sua furia sembrò placarsi in un istante.

Al di là della finestra vide le guardie in attesa sotto una tettoia di squisita fattura, i giardini alle loro spalle, la pioggia dolce che faceva scintillare le foglie, i cui studiati accostamenti di rosso, oro e verde rendevano il quadro tanto piacevole agli occhi e al cuore. Kyòto era molto diversa da Edo, pensò incantato.

A Hosaki piacerebbe trovarsi qui, sarebbe un bel cambiamento rispetto alla vita spartana che conduciamo nella nostra casa; lei apprezza la bellezza, si, qui le piacerebbe molto.

Sarebbe stato così facile lasciarsi andare, farsi conquistare dal clima e dai giardini, dal cielo gentile e dalla pioggia lieve, dall'ottima musica, dalla poesia, dal cibo esotico, dalle sete abbondanti e dagli abili sarti, dalle carpe guizzanti e dagli uccelli canterini, dalle dame di corte dalla pelle d'alabastro e dal Mondo Fluttuante di Kyòto, lo Shimibara, il più rinomato di tutto il Giappone; lasciarsi andare senza pensieri a un'inarrestabile ricerca del piacere.

Dal giorno del suo arrivo infatti, con l'eccezione della pace temporanea conclusa con Ogama, non aveva vissuto altro che momenti di piacere, assai rari in genere nella sua vita. Piacere in compagnia di Koiko, esercitazioni quotidiane con la spada e le arti marziali, stupendi massaggi, Kyòto ne andava famosa banchetti a ogni pasto, partite di go e scacchi, poesie.

Con quanta saggezza il mio antenato confinò l'imperatore e questi sicofanti vestiti come bambole a Kyòto facendo di Edo la sua capitale, molto lontana dalle loro seduzioni e manipolazioni, proibendo a tutti gli shògun di cadere in questa trappola dorata.

Devo partire. Ma come posso lasciare la città senza Nobusada?

Era evidente che la corte l'aveva escluso.

E Nobusada non era stato da meno. Per due volte il giovane aveva disdetto un appuntamento con Yoshi con la scusa di un raffreddore improvviso.

Il dottore aveva ufficialmente confermato il malessere anche se con lo sguardo aveva svelato che si trattava di una scusa.

“Comunque la salute dello shògun mi preoccupa, principe Yoshi; non è di costituzione forte e la sua virilità lascia molto a desiderare.”

“Non è colpa della principessa?”

“No, no, signore. La principessa è piena di vigore e il suo yin è abbastanza ampio e succulento da accontentare lo yang più esigente.”

Yoshi aveva interrogato il medico. Nobusada non era mai stato un amante della spada, della caccia e della vita all'aria aperta come suo padre e i suoi fratelli, ma preferiva invece la caccia col falco o il tiro con l'arco, attività meno faticose, o meglio ancora le gare di poesia e calligrafia. Tuttavia non si poteva dire che in ciò vi fosse qualcosa di male.

“Suo padre è ancora forte come una vecchia sella e i membri della sua famiglia sono noti per la loro longevità. Non avete motivo di temere, dottore. Prescrivetegli una delle vostre pozioni, fategli mangiare più pesce, meno riso e meno anche di quei cibi esotici che tanto piacciono alla principessa.”

Alcuni giorni prima la ragazza aveva presenziato all'unica udienza che Yoshi era riuscito a ottenere dal suo pupillo e l'incontro era finito piuttosto male. Nobusada si era rifiutato di prendere in considerazione l'ipotesi di far ritorno a Edo, anche in data da stabilirsi, e aveva rifiutato di ascoltare i consigli del Guardiano su qualsiasi argomento, limitandosi a punzecchiarlo a proposito di Ogama: I choshu controllano le strade, gli uomini di Ogama stanno schiacciando gli orribili shishi, Cugino.

Io non sarei al sicuro neppure circondato dai nostri guerrieri, sono al sicuro soltanto qui, sotto la protezione dell'imperatore!”.

“E' un'illusione. Voi siete sicuro soltanto nel castello di Edo.

“Spiacente, principe Yoshi” era intervenuta a quel punto la principessa con voce vellutata, “ma a Edo è così umido, il clima non è paragonabile a quello di Kyòto e bisogna avere riguardo per la tosse di mio marito.”

“Ciò è giusto, Yazu-chan, e poi mi piace stare qui, Cugino, per la prima volta nella mia vita mi sento libero anziché confinato in quell'orrendo castello!

Qui sono libero di girovagare e cantare e suonare e mi sento al sicuro, tutti e due ci sentiamo al sicuro. Forse resterò qui per sempre! Perché no? Edo è un postaccio immondo, governare da qui sarebbe bellissimo.” Invano Yoshi aveva cercato di far ragionare i due giovani e infine Nobusada si era lasciato scappare: “Ciò di cui ho più bisogno, Cugino, fino a quando non raggiungerò la maggiore età, e ormai non manca molto, ciò di cui ho bisogno è un capo forte, un tairò. E Nori Anjo sarebbe perfetto per l'incarico”.

“Sarebbe invece molto nocivo a voi e allo shògunato” aveva cercato di spiegare con pazienza Yoshi ancora una volta. Ma era stato tutto inutile.

“Assai poco saggio lasciare che...”

“Non sono d'accordo, Cugino. Anjo ascolta le mie parole, le mie parole, capisci, cosa che tu non fai mai. Ho detto che volevo inginocchiarmi davanti al Divino, mio cognato, lui era d'accordo ed eccomi qua, mentre tu ti opponevi al mio viaggio! Anjo mi dà retta! Mi ascolta!

Ascolta me, lo shògun! E poi non dimenticare che chiunque può ottenere più onori di te. E tu non sarai mai tairò, mai!”

E Yoshi si era congedato convinto a dispetto della risata derisoria di Nobusada che quella nomina di Anjo non sarebbe mai diventata realtà.

Invece era accaduto, pensò cupamente, consapevole d'essere scrutato dal capo cancelliere Wakura. “Lascerò Kyòto entro pochi giorni” disse, pervenendo a una decisione improvvisa.

“Ma siete appena arrivato, signore” ribatté Wakura, congratulandosi in realtà tra sé e sé per i risultati che stava ottenendo. “Mi auguro che la nostra accoglienza non vi sia stata sgradita.”

“No, non sgradita.

Dunque... quali altre infauste notizie tenete in serbo?”

“Nessuna, principe. Spiacente di avervi dovuto riportare un'informazione che vi ha infastidito.” Wakura suonò un campanello e quasi all'istante comparve un paggio con i denti dipinti di nero che portava il vassoio del tè e un piatto di datteri. “Grazie, Omi.” Il ragazzo sorrise e uscì.

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