“Che cosa vi fa pensare che lo farà?” chiese Vervene.
“Mon Dieu, è ovvio!” ribatté con irritazione André al posto di Seratard.
“Sosterrà che Angélique ha “ucciso” suo figlio. Sappiamo tutti che la odiava già prima, cosa dovrebbe fare ora? E probabile che la accusi di chissà quali colpe anche a causa di quei suoi perversi dogmi sessuali anglosassoni, perlomeno in privato, se non in pubblico. Inoltre non dovete dimenticare che è una protestante fanatica.”
Si rivolse a Seratard: “Henri, forse è meglio che vada a trovare Angélique”.
Quando era riuscito a vederla per un istante le aveva suggerito di tornare nel palazzo della Struan anziché stare al palazzo della Legazione: “Per l'amor del cielo, Angélique, il vostro posto è con la gente di vostro marito!”. Era talmente ovvio che fosse necessario rafforzare la sua posizione all'interno della Struan, e a qualsiasi costo, che avrebbe voluto urlare, ma la sua ira improvvisa si era trasformata in pietà quando aveva visto la profondità della sua disperazione.
“E' meglio che vada.”
“Sì, ve ne prego.” André uscì e chiuse la porta. “Che cosa diamine gli ha preso!” chiese Vervene tirando su col naso.
Prima di rispondere Seratard rifletté un istante e poi decise che fosse giunto il momento di parlare. “Probabilmente si comporta così a causa della sua malattia... Il mal inglese.” L'impiegato lasciò cadere la forchetta, sbalordito.
“Sifilide?”
“André me ne ha parlato alcune settimane fa. Ritengo che fra tutte le persone che lavorano qui voi dobbiate esserne messo al corrente perchè queste esplosioni potrebbero diventare più frequenti.
Del resto i suoi servizi sono troppo importanti per rispedirlo in Francia.” André gli aveva sussurrato di aver appena stabilito un nuovo e importante contatto: “Il mio informatore sostiene che il principe Yoshi sarà di ritorno a Edo tra due settimane.
In cambio di una modesta somma quest'uomo e i suoi contatti alla Bakufu ci garantiscono un incontro privato con lui a bordo della nostra ammiraglia”.
“Quanto è modesta questa somma?”
“L'incontro varrà qualsiasi cifra.”
“D'accordo, ma quanto?” chiese Seratard.
“L'equivalente di quattro mesi del mio salario” aveva risposto con amarezza André, “un'inezia. A proposito, Henri, avrei bisogno di un anticipo o del premio che mi avevate promesso qualche mese fa. “
“Non avevamo stabilito niente di preciso, caro André. A tempo debito avrete ciò che vi spetta, ma per il momento niente anticipo, mi dispiace. D'accordo per quella cifra dopo l'incontro.”
“Metà prima e metà a incontro avvenuto. Il mio informatore mi ha anche detto, e gratuitamente, che il tairò Anjo è ammalato e che potrebbe non arrivare alla fine dell'anno.
“Ne ha le prove?”
“Suvvia, Henri, sapete che questo non è possibile!”
“Fate in modo che il vostro contatto organizzi una visita di Babcott a questo scimmione di tairò e... e io vi darò un aumento dello stipendio del cinquanta per cento.”
“Doppio salario da oggi, doppio salario, e avrò bisogno di dare al mio contatto un anticipo consistente.”
“Il cinquanta per cento dal giorno della visita e trenta mex d'oro, cinque in anticipo e il resto dopo. E questo è quanto.” Seratard aveva visto le speranze di André spegnersi.
Povero André, sta perdendo stile. Certo mi rendo conto che gran parte di quel denaro finirà nelle sue tasche, ma non importa, aver a che fare con le spie è una faccenda sporca e André è particolarmente sporco, anche se molto intelligente.
E molto sfortunato.
Allungò una mano e prese l'ultima fetta di un formaggio Brie che era arrivato impacchettato nel ghiaccio e a un prezzo esorbitante, con l'ultimo postale. “Siate paziente con il poverino, Vervene, capito?” Ogni giorno si aspettava di vedere i primi segni della malattia, ma ancora non era comparso niente; anzi André sembrava ringiovanito e aveva perduto quell'espressione tormentata.
Soltanto il suo carattere era peggiorato.
Mon dieu! Un incontro privato con Yoshi! E se Babcott potesse davvero esaminare quel cretino di Anjo, magari persino curarlo, dietro mio suggerimento, non importa che sia un inglese, patteggerò il colpo con sir William in cambio di un altro favore, avremo fatto un grande passo avanti.
Alzò il bicchiere per un brindisi: “Vervene, mon brave, all'inferno gli inglesi e vive la France!”.
Angélique giaceva irrequieta nel grande letto, adagiata su molti cuscini, più pallida ed eterea che mai. Hoag nella sedia accanto al letto si appisolava e si svegliava di continuo. Il sole del tardo pomeriggio perforò le nuvole e illuminò per un istante un giorno grigio e ventoso. In rada le navi si muovevano all'ancora.
Mezz'ora prima, ma per Angélique un minuto o un'ora erano la stessa cosa, il cannone aveva segnalato l'arrivo di un postale risvegliandola da quel torpore che oscillava tra coscienza e incoscienza senza distinguerne il confine. Lasciò vagare lo sguardo oltre Hoag e vide la porta che si affacciava sull'appartamento di Malcolm, non l'appartamento di Malcolm, né il loro, ma stanze vuote in attesa di un altro uomo, un altro tai-pan...
Le lacrime ripresero a scendere copiose.
“Non piangete, Angélique” le disse Hoag in tono tenero e dolce, ogni fibra concentrata a cogliere i primi segnali di un eventuale disastro, “va tutto bene, la vita continua e voi state bene ora, davvero.” Le stringeva una mano. Lei si asciugò le lacrime con un fazzoletto.
“Vorrei una tazza di tè.”
“Subito” rispose Hoag con un'espressione di sollievo dipinta sul brutto volto. Era la prima volta che parlava in modo coerente e i primi momenti di lucidità erano segni di vitale importanza.
Rallegrandosi Hoag aprì la porta; sebbene la voce di Angélique fosse fievole non v'era traccia di nessuna sotterranea isteria e la luce nei suoi occhi era buona, il volto non più gonfio a causa delle lacrime e il polso fermo a novantotto pulsazioni al minuto, finalmente non più irregolare come prima.
“Ah Soh” disse in cantonese, “porta alla tua padrona del tè ma non dire una parola, non dire niente ed esci subito.” Tornò al proprio posto accanto al letto. “Mia cara, sapete dove siete?” Angélique si limitò a guardarlo.
“Posso farvi qualche domanda? Se siete stanca ditemelo senza timore. Mi dispiace ma è molto importante per voi, non per me.”
“Non ho timori.”
“Sapete dove vi trovate?”
“Nel mio appartamento.” Il suo tono era incolore, gli occhi inespressivi. La preoccupazione di Hoag aumentò. “Sapete che cosa è accaduto?”
“Malcolm è morto.”
“Sapete perchè è morto?”
“E' morto durante la nostra prima notte di nozze nel nostro letto nuziale e io ne sono responsabile.” In Hoag suonarono molti campanelli d'allarme. “Vi sbagliate, Angélique, Malcolm è stato ucciso sulla Tokaidò mesi fa” ribatté con voce ferma.
“Mi dispiace ma questa è la verità, e da allora ha vissuto una vita e un tempo presi a prestito. Non avete colpa, non avete mai avuto colpe. E' stata la volontà di Dio, ma posso dirvi con tutta sincerità che noi, Babcott e io, non abbiamo mai visto un uomo con un'espressione più tranquilla e serena, mai, mai, mai.”
“Io sono responsabile.”
“L'unica cosa di cui voi siete responsabile è la gioia dei suoi ultimi mesi di vita. Vi amava, non è vero?”
“Sì, ma è morto e...” Si controllò per non aggiungere Come è morto l'altro uomo, di cui non conosco il nome, che però è morto e mi amava e adesso anche Makolm e...
“Smettetela!” Il suo tono brusco la fece tornare dal precipizio. Hoag riprese a respirare ma capì che doveva agire in fretta altrimenti lei, come altri che aveva visto durante la sua carriera di medico, sarebbe stata perduta.
Doveva liberarla da quella belva che annidata nella sua mente aspettava di balzarne fuori per trasformarla in una irrecuperabile demente o quanto meno per danneggiarla in modo grave e irreparabile. “Mi dispiace ma dovete capire bene questa cosa. Voi siete soltanto responsabile della sua felicità. Ripetetelo per me.
Siete soltanto res...”
“Io sono colpevole.”
“Dite insieme a me: sono soltanto responsabile della sua felicità” sillabò come un ordine notando con preoccupazione che le sue pupille non erano normali. Stava perdendo di nuovo il controllo.
“Sono colp...”
“Responsabile” ripeté lui fingendo una rabbia che non provava.
“Ripetetelo insieme a me: sono soltanto responsabile della sua felicità!
Responsabile della sua felicità! Ditelo!” Vide che il sudore le imperlava la fronte e la sentì ripetere la stessa frase sulla colpevolezza e ancora una volta la interruppe: “Responsabile, responsabile della sua felicità!” e ancora lei ripeté che era colpevole mentre Ah Soh portava il tè. Nessuno la vide e fuggì via terrorizzata mentre Hoag ripeteva il suo ordine ad Angélique e lei rifiutava con ostinazione di eseguirlo fino a quando, all'improvviso, in francese lei gridò: “D'accordo, sono soltanto responsabile della sua felicità però lui è morto, morto, morto... Il mio Malcolm è mortooooo!”.
Avrebbe voluto stringerla tra le braccia e tranquillizzarla e convincerla a dormire ma non lo fece perchè riteneva che fosse troppo presto.
Con voce dura ma non minacciosa in buon francese rispose: “Grazie, Angélique, ma adesso parliamo in inglese: si, dispiace terribilmente anche a me, a tutti dispiace che il vostro caro marito sia morto, ma non è colpa vostra. Ditelo!”.
“Lasciatemi in pace. Andatevene!”
“Quando l'avrete detto. Non è colpa mia.”
“Non... lasciatemi in pace!“
“Quando l'avrete detto. Non è colpa mia!” Lei fissò il suo torturatore con odio e poi gli gridò: “Colpa mia, non colpa mia, non è colpa mia, siete soddisfatto adesso? Fuori di qui!”.
“Quando mi direte che vi rendete conto che il vostro Malcolm è morto ma che in nessun modo voi ne siete responsabile!”
“Fuori di qui!”
“Ditelo! Dannazione, ditelo!”
All'improvviso la voce di Angélique divenne come l'ululato di un animale ferito. “Il vostro Malcolm è morto, morto morto morto ma non siete responsabile in nessun modo, nessuno stramaledetto modo, non responsabile in nessun modo, comunque non responsabile... non... no ...” Bruscamente com'era cominciato, l'urlo divenne un sussurro: “Non sono responsabile davvero, oh, mio caro, ma mi dispiace tanto, tanto, non voglio che tu sia morto, oh Madre Benedetta aiutami, è morto, io mi sento così male, così male, oh, Malcolm perchè l'hai fatto, ti amavo tanto, tanto... oh, Malcolm...”.
Questa volta Hoag la strinse con forza assumendo su di sé i tremiti e i violenti singhiozzi. Dopo qualche tempo i singhiozzi diminuirono e Angélique cadde in un sonno riparatore. Ma lui continuò a stringerla con dolcezza e fermezza insieme, gli abiti appiccicati al corpo per il sudore, e non si mosse fino a quando il sonno di lei non fu profondo. Poi si alzò faticosamente poiché la schiena gli doleva e aveva i muscoli delle spalle contratti.
Quando riuscì a rilassare le spalle e il collo sedette per recuperare le forze. Abbiamo rischiato grosso, pensò con la soddisfazione di aver vinto che alleviava parte del dolore, e la guardò, così com'era: giovane e bella e al sicuro.
La sua memoria tornò a Kanagawa, all'altra ragazza, la sorella giapponese dell'uomo che aveva operato, altrettanto giovane e bella ma giapponese. Come si chiamava? Uki qualcosa. Ho salvato suo fratello per creare altri guai a questa povera bambina, ma sono ugualmente lieto che lei sia fuggita. Sarà fuggita davvero? Una ragazza tanto bella. Come la mia cara moglie. Che gesto incosciente e tremendo da parte mia, che follia portarla dall'India verso una precoce morte londinese.
Karma?
Destino?
Come questa bambina e il povero Malcolm, poverini, povero me.
No, non povero me. Io ho appena salvato una vita.
Forse sarai brutto, vecchio mio, pensò sentendo il polso di Angélique, ma sei un bravo medico e un maledetto bravo bugiardo... no, non bravo, solo fortunato.
Questa volta.
Capitolo 46
†
Giovedì, 11 dicembre
Buon pomeriggio, Jamie” disse tristemente Phillip Tyrer.
“Vi porto i saluti di sir William e qui ci sono tre copie del certificato di morte: una per voi, una per Angélique e una per Strongbow, da riportare a Hong Kong con il corpo. L'originale secondo sir William dovrebbe essere inviato con un dispaccio diplomatico all'ufficio del governatore per il coroner di Hong Kong che dopo averlo registrato lo passerà alla signora Struan. E terribile, ma è così.”
“Sì.”
Sulla scrivania di Jamie era ammucchiata la posta in arrivo e i documenti che riguardavano affari in attesa di essere conclusi. Aveva gli occhi rossi per la stanchezza.
“Come sta Angélique?”
“Non l'ho ancora vista ma Hoag è stato sempre con lei. Dice di lasciarla in pace fino a quando non darà i primi segni di ripresa e che comunque sta meglio di quanto si aspettasse. Ha dormito per almeno quindici ore.
Secondo il dottor Hoag domani dovrebbe essere abbastanza in forze per viaggiare e lui ritiene anche che sia meglio partire prima possibile. Andrà anche lui, è naturale.”
“Quand'è prevista la partenza della Prancing Gloud?”
“Per domani con la marea della sera. Strongbow arriverà da un momento all'altro a prendere gli ordini. Avete della corrispondenza da mandare?”
“Certamente. E una valigia diplomatica. Ne parlerò con sir William.
Ancora non riesco a credere che Malcolm sia morto. Spaventoso.
Oh, a proposito, l'inchiesta per Norbert è stata fissata per le cinque.
Vorreste cenare con me, dopo?”
“Vi ringrazio, ma questa sera non posso. Facciamo domani, se tutto va bene. Vi darò la conferma dopo colazione.” Jamie si domandò se dovesse parlare a Tyrer delle macchinazioni del suo amico samurai, Nakama e dell'incontro con l'usuraio locale che gli aveva organizzato.
Nakama aveva insistito perchè Tyrer e sir William ne fossero tenuti all'oscuro.
Jamie aveva colto con piacere l'occasione di comunicare senza intermediari con un uomo d'affari giapponese, anche se poco importante.
Ovviamente l'incontro previsto per il giorno prima era stato cancellato.
Aveva preso in considerazione l'ipotesi di rimandarlo di una settimana ma poi aveva deciso di incontrare l'uomo quella sera stessa; pensava che magari gli sarebbe servito per distogliere la mente dalla tragedia.