Gai-Jin (183 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Quella pagina avrebbe vanificato ogni eventuale riconoscimento del matrimonio da parte di Tess Struan, quando fosse venuto davvero il momento di inchiodarla. Erano tutte informazioni preziose e Angélique l'unico mezzo di cui disponeva per ottenere Hinodeh e garantirsi un futuro agiato.

Raiko, Meikin e la compravendita di segreti? Quella è solo una fantasia, concluse duro tra sé. Ho consegnato loro l'intero piano della campagna e cosa ho ottenuto in cambio? Promesse, ma nessuna garanzia che il mio debito venga cancellato. “Cento ghinee” ripeté, troppo stanco e irritato per aggiungere per favore.

Angélique non distolse lo sguardo dal mare. “Quanto dovremo aspettare l'azione di Tess?”

“Dipende da come accoglierà la notizia e l'arrivo di Hoag, da quello che farà al funerale. Prima di decidere attenderà il vostro trentesimo giorno per sapere se siete incinta” rispose con lo stesso tono deciso usato in passato, sperando di sottometterla ancora. Grata di potersi nascondere dietro il velo, lei tornò a guardarlo. André giudicò il suo sguardo amichevole, forse spaventato, forse no.

“A questo bisogna aggiungere i dieci giorni che la notizia di un'eventuale gravidanza impiegherà per arrivarle, dieci giorni perchè ci pensi sopra e altri dieci perchè invii la risposta. Ci vorranno due mesi, forse meno.”

“Come sarà la risposta?”

“Velenosa.” Lui strizzò gli occhi. “Ma ho qualche idea, dei progetti.

Posso aiutarvi a diventare ricca. Per ora dobbiamo aspettare. Pazienza, Angélique. Pazienza e un pò di fortuna... ho qualche idea.” Anch'io, André il ricattatore. Molte. E molti progetti. Per te, per Tess, e per il futuro.

Angélique si sporse teneramente verso di lui e lo toccò.

“Sono molto contenta che siate innamorato. Siete fortunato” disse, sincera. Poi, come solo una donna sa fare, mise da parte la tenerezza per sempre e tornò ai piani concreti. “Il denaro sarà pronto alle sei, André. Sono contenta di avervi per amico.”

“Anch'io ne sono contento e... grazie per il prestito.”

“Così dobbiamo essere pazienti entrambi, e aspettare? E' questo che dobbiamo fare? Un pò di fortuna e di pazienza? Va bene, ci riuscirò. Un pò di fortuna e di pazienza. Così sia.”

André la osservò allontanarsi, diritta e sicura di sé, le splendide proporzioni e la struttura minuta che la facevano sembrare addirittura alta.

Capitolo 51


 

Edo, Giovedì, 1 gennaio 1863

 

Toranaga Yoshi aveva fatto ritorno al castello di Edo otto giorni prima.

Il viaggio dalla stazione di cambio di Hamamatsu era stato una marcia forzata che lo aveva lasciato stanco e irritato.

Il suo volto era segnato da rughe più profonde del solito.

Se in genere i suoi uomini provavano paura al suo cospetto, adesso erano pietrificati.

La sua ira poteva abbattersi su di loro in ogni momento come una frustata.

Insoddisfatto del cibo, dei bagni e del servizio offerto dalle locande oltre che da ciò che il futuro gli riservava, aveva preteso da se stesso e dal seguito il massimo sforzo concedendosi soltanto poche ore di sonno e infuriandosi per ogni intralcio.

Il capitano Abeh aveva chinato la testa, conscio che la durezza di Yoshi fosse una reazione al dolore e alla frustrazione per la perdita dell'amata Koiko.

Dopo che Abeh aveva disposto la cremazione di Koiko e di Sumomo i viaggiatori erano balzati in sella e avevano ripreso la strada al galoppo.

Secondo tutti il vincitore avrebbe dovuto inchinarsi con rispetto di fronte alla pira di un combattente shishi tanto coraggioso e, per di più, donna. Le sue gesta e il potente colpo di spada che l'aveva tagliata in due sarebbero stati tramandati nei secoli da canti e leggende, e lo stesso rispetto meritavano le esequie di Koiko il Giglio, che aveva salvato la vita del loro signore scagliandosi tra lui e il primo shuriken e ricevendone in cambio una morte dolorosa.

Invece Yoshi, il Guardiano dell'Erede, aveva detto freddamente: “Questa è la loro poesia di morte:

Dal nulla al nulla, Un cadavere, Il mio, il vostro e persino il loro, E un cadavere, E' un nulla.

Sono mai esistite?

E noi, esistiamo?”

Si erano messi in cammino pressati dall'impazienza e finalmente erano giunti al castello. Ma neppure lì li attendeva il riposo: il castello stesso, Edo e tutta la regione del Kwanto erano in fermento perchè i gai-jin, come previsto da Yoshi, stavano preparando la guerra in risposta all'ultimatum del tairò.

“Era inevitabile” sentenziò Yoshi alla riunione degli Anziani che aveva immediatamente convocato. Per dare ad Anjo una via d'uscita aggiunse: “Sei stato mal consigliato. Allontana l'idiota che ti ha suggerito quella mossa e ha scritto la lettera”.

“E un ordine dell'imperatore e dello shògun quello di espellere i gai-jin” rispose Anjo furente.

“Un ordine? Gli ordini li dà lo shògunato, non un ragazzino che ripete a vanvera le parole dello shògunato! E nemmeno l'imperatore che può soltanto chiedere a noi di agire!”

“In veste di tairò ho ritenuto l'ultimatum necessario.”

“Te lo chiedo per l'ennesima volta: che cosa dovremo fare, a tuo avviso, quando la flotta arriverà?”

“Non arriveranno perchè attaccheremo per primi” rispose Anjo. Si portò una mano al fianco, colpito da un'improvvisa fitta di dolore. “Lì ho circondati, Yokohama è come un pesce morto che attende soltanto di essere sventrato. Le truppe che sferreranno l'attacco saranno pronte tra breve.”

“E la flotta dei gai-jin?” chiese Yoshi adirato perchè non avevano seguito i suoi consigli e ancora una volta erano caduti in una trappola costruita con le loro stesse mani.

Era inutile ricordare ad Anjo e agli altri il piano e gli stratagemmi che aveva elaborato per rimandare lo scontro con i gai-jin e per dare tempo allo shògunato di radunare le forze e affrontare il problema urgente e vitale della coalizione ostile di Tosa, Choshu e Satsuma.

Se non avessero risolto prima quel problema la coalizione li avrebbe distrutti.

“Dobbiamo attaccare di sorpresa Yokohama e appiccare il fuoco all'Insediamento, come ho già suggerito mesi fa” intervenne Toyama tremando per l'eccitazione. “Diamogli fuoco!”

“E come affonderai la flotta?” incalzò Yoshi. Aveva notato la fitta che aveva colpito Anjo e se ne era rallegrato ricordandosi anche l'importanza di concludere quanto prima il patto stretto con Ogama di Choshu per destabilizzare e neutralizzare quell'avversario.

Toyama ribatté con astio: “Gli dei affonderanno le loro navi, Yoshidono, come hanno distrutto il Kublai Khan e i suoi mongoli. Questa è la Terra degli Dèi, non ci abbandoneranno”.

“E se gli dei fossero altrove o dormissero” intervenne Anjo, “scaglieremo contro la flotta i nostri brulotti incendiari, ne ho già centinaia in costruzione, centinaia.

E se il nemico riuscirà a infrangere quella barriera di fuoco e a bombardare Edo moriranno soltanto i contadini, gli artigiani e quei parassiti dei mercanti. Le nostre legioni rimarranno intatte.”

“Sì, rimarranno intatte” confermò allegramente Toyama.

Anjo proseguì d'impeto: “Distrutta Yokohama la flotta dei gai-jin dovrà andarsene perchè avranno perso la base dove poter riunire le forze.

Dovranno scappare nelle colonie cinesi e qui non metteranno più piede.

Se torneranno, noi...”.

“Quando torneranno...” precisò Yoshi.

“Va bene, Yoshi-dono, quando torneranno con una flotta più grande affonderemo le loro navi nello stretto di Shimonoseki; ci penserà Ogama, e comunque nel frattempo disporremo di un numero maggiore di cannoni e brulotti e non li lasceremo sbarcare in forze. Non riusciranno mai a penetrare nel nostro territorio e a ricostruire una base, mai più. Non ci saranno più trattati a proteggerli! Richiuderemo il paese.

E' quello il mio progetto” esultò Anjo.

“Ho stracciato i trattati come vuole l'imperatore!”

“Sei sublime, tairò, gli dei ci proteggeranno con un Vento Divino” ridacchiò Zukumura asciugandosi la saliva dal mento.

“Gli dei non ci proteggeranno dalle cannonate dei gai-jin” disse Yoshi, “e neppure i brulotti. Se distruggeranno Edo perderemo la roccaforte dello shògunato e tutti i daimyo del paese guidati da Ogama di Choshu, Sanjiro di Satsuma e Yodo di Tosa si uniranno contro di noi per spartirsene i resti. Senza Edo il nostro shògunato è finito, volete capirlo o no?” Contorcendosi per una nuova fitta Anjo sbottò: “Tu credi di essere il signore del paese inviato in dono al Giappone dagli dei, ma non è così, non lo sei e devi sottometterti ai miei ordini perchè il tairò sono io, io!”.

“Tu sei il tairò e... ma ti senti male?” chiese Yoshi fingendosi preoccupato per porre fine alla discussione, come si fosse appena accorto del dolore dell'altro. “Da quanto tempo stai male? Che cosa dice il medico?”

“Il medico...”

Anjo sorseggiò l'amaro estratto di erbe che gli era stato prescritto.

Quella medicina però non riusciva a placare il dolore sempre più acuto che lo affliggeva.

Il nuovo medico cinese si stava dimostrando non meno inetto dei suoi predecessori tanto che Anjo aveva quasi deciso di rivolgersi in segreto al famoso dottore gigante gai-jin di Kanagawa. “Non preoccuparti della mia sofferenza. Ti conosco.” Yoshi si rendeva conto che Anjo odiava in lui soprattutto la giovinezza e la forza. Questo idiota non sa quanto io sia stanco di vivere, pensò. “Vuoi che io... ?”

“Tu non devi fare niente. Attaccheremo quando darò l'ordine di farlo e la questione è chiusa! La riunione è finita.” Anjo abbandonò improvvisamente la stanza. Da quando era diventato tairò parlava sempre con tono imperativo e trattava tutti gli altri con disprezzo.

Yoshi si aggirava nel castello come una tigre in gabbia.

Benché dopo quel primo terribile giorno avesse cancellato dalla mente ogni pensiero su Koiko, di tanto in tanto il suo volto sorridente vi riaffiorava.

D'impulso lui la scacciava: inutile ormai chiedersi se la donna si fosse davvero sacrificata per salvargli la vita, come sosteneva Abeh o quale fosse la ragione per cui aveva assunto la shishi assassina che si faceva chiamare Sumomo Fujahito, certamente un'accolita di Katsumata.

E Katsumata dove sarà?

Aveva già dato l'ordine di trovarlo; ovunque si nascondesse, offrendo in cambio della sua testa una lauta ricompensa, e di scovare e annientare tutti gli shishi e i loro protettori. Dopo aveva mandato a chiamare Inejin, il capo delle sue spie.

Il vecchio era corso al suo cospetto e si era inchinato. “Sembrerebbe, sire, che gli dei vi abbiano protetto come se foste uno di loro.”

“Lasciando che una shishi assassina armata di shuriken entrasse nell'appartamento privato della mia cortigiana?” esplose Yoshi. “Lasciando che la mia cortigiana mi tradisse e partecipasse all'attentato?” Inejin scosse il capo e senza scomporsi rispose: “Forse non vi ha tradito, sire, forse non ha partecipato all'attentato, forse era soltanto una donna. Quanto alla shishi, Sumomo, non ha fatto che mettere alla prova la vostra abilità nel combattimento, che una volta di più si è dimostrata ineccepibile e all'altezza del vostro addestramento”.

La singolare forza del vecchio servitore sciolse l'ira di Yoshi. “Perfetta non direi” commentò con rammarico, “quella gatta mi ha graffiato, anche se la ferita è già guarita.”

“Devo trascinare qui Meikin, la mama-san, sire?”

“Ah, il tramite, non l'ho dimenticata. Non ancora, è ancora presto.

La tenete sempre sotto sorveglianza?”

“Non la perdiamo di vista un istante. Perché mi avete mandato a chiamare, sire?”

“Voglio che troviate Katsumata, vivo, se possibile. Avete eliminato, come vi ho ordinato, il traditore ronin che lavora per i gai-jin? Come si chiamava... Ori Ryoma, un satsuma, sì, proprio così.”

“Ori è morto, sire, ma sembra che il traditore non fosse lui. I gai-jin lo hanno ucciso qualche settimana fa, gli hanno sparato mentre cercava di penetrare in una delle loro case. L'uomo che fornisce informazioni ai gai-jin è un ronin choshu di nome Hiraga.” Yoshi sobbalzò.

“Lo shishi del ritratto? Il capo degli assassini di Utani?”

“Sì, sire. Per il momento non sono in grado di eliminarlo perchè è sotto la protezione del capo degli inglesi e vive vicino al loro palazzo.

Nel villaggio ho una spia che saprà dirmi qualcosa di più tra qualche giorno.”

“Bene. Si parla di guerra, ci sono novità in proposito?”

“Spero di saperne di più tra due o tre giorni.”

“Voglio notizie precise, e subito. Tornate non appena saprete qualcosa di concreto” aveva concluso bruscamente Yoshi congedando l'uomo.

Inejin non mi deluderà, aveva pensato, dispiaciuto di essersi dimostrato impaziente. Le spie vanno trattate con i guanti... ogni agilità di movimento dipende da loro... Ah, Sun-tzu, fonte di incomparabile saggezza!

Eppure la conoscenza profonda dei tuoi insegnamenti non mi suggerisce come comportarmi con i gai-Jin, e neppure con quello stupido ragazzo e la mia grande nemica, la principessa Yazu, che continuano a divorare la pappa mielosa offerta loro dai sicofanti di corte agli ordini di quel cane del cancelliere. Che cosa devo fare per liberarmi dei nemici che mi circondano? Anjo, gli Anziani, la corte, Ogama, Sanjiro... l'elenco è infinito. Impossibile. E in cima a tutti i gai-jin.

Si era ricordato dell'invito dei francesi di salire a bordo della loro nave da guerra.

La spedizione per la ricerca del carbone che sua moglie, Hosaki, aveva organizzato insieme agli emissari del Gyokoyama e ai prospettori gai-jin gli aveva fornito l'occasione di inviare a Yokohama quel giorno stesso Misamoto, il pescatore che gli faceva da interprete, per predisporre la visita agli stranieri.

 

L'indomani si era recato con una galea a remi al largo di Edo dove avrebbe segretamente avuto luogo l'incontro. Lo accompagnavano Abeh, venti guardie e Misamoto.

Era stata un'esperienza straordinaria.

La grandezza e la potenza dei motori della nave, la distanza che era in grado di coprire, i cannoni con cui era armata, la quantità di polvere da sparo, le munizioni e il carbone che caricava e le storie, non sapeva ancora se vere o false, che gli avevano raccontato sulla vastità, la potenza e la ricchezza dell'impero francese, sul numero di navi da guerra, cannoni e uomini di cui disponeva erano al di là dell'immaginabile. L'incontro si era svolto quasi tutto in inglese anche se la lingua dei gai-jin era un'altra, sicché la loro conversazione era stata tradotta da Misamoto e da un interprete che diceva di chiamarsi Andreh Furansu-san.

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