Yoshi non aveva afferrato tutto quello che gli veniva detto perchè i termini usati gli erano sconosciuti e glieli avevano dovuti spiegare: miglia, iarde, polvere da sparo, bitume, pistoni, piroscafi a ruota e a elica, retrocariche e otturatori, fabbriche e potenza di fuoco.
Tuttavia era certo di aver ricavato informazioni di grande valore: prima di tutto che per i gai-jin era di vitale importanza potersi approvvigionare di carbone in porti sicuri perchè le loro navi da guerra non potevano trasportare tutto il combustibile necessario alle operazioni navali per un viaggio di andata e ritorno.
E senza una fonte di rifornimento sicura si riducevano a inutili carcasse; e poi, come lui stesso aveva osservato con immenso stupore durante l'incontro con i gai-jin al castello di Edo, ogni riferimento agli inglesi provocava sui volti dei furansu delle smorfie di scherno, né questi esitavano a mostrare l'odio profondo che provavano nei confronti dei rivali.
La constatazione lo divertì e lo convinse di quello che Misamoto gli aveva detto, cioè che gli inglesi erano odiati da quasi tutte le altre nazioni perchè il loro era il paese più ricco del mondo, con l'impero più potente, la flotta più moderna e più grande e l'esercito più forte, più disciplinato e meglio equipaggiato e che godeva di un'immane ricchezza derivante dalla produzione di più della metà delle merci del mondo.
E soprattutto che quel paese era un'isola, una roccaforte impossibile da espugnare.
E naturale che siano odiati, come lo siamo noi Toranaga. Bisogna fare di tutto, pensò rimproverandosi la leggerezza passata, fare di tutto per blandire i gai-jin inglesi, per diventarne amici, bisogna trattarli con le attenzioni più sottili. Hanno la flotta migliore, l'esercito più potente?
Come posso convincerli a costruirmi una flotta? Sarà sufficiente offrirgli in cambio il carbone?
“Misamoto, digli che vorrei saperne di più su questi magnifici strumenti furansu” disse Yoshi compito, “e che, sì, che vorrei avere degli amici tra i gai-jin. Io non sono contrario al commercio: forse potrei offrire la concessione del mio carbone ai furansu invece che agli inglesi.”
La sua proposta risvegliò un interesse immediato. Erano scesi sottocoperta, nella cabina di poppa più spaziosa, che a Yoshi sembrò soffocante, coperta da un sottile strato di polvere nera e maleodorante di nafta, carbone e rifiuti umani.
Lui e la mezza dozzina di ufficiali con l'uniforme decorata dai galloni d'oro si sedettero intorno al lungo tavolo.
Il loro capo, Seratard, Serata si pronunciava il suo nome, si accomodò al centro. Abeh e la metà delle guardie erano in piedi alle sue spalle, le altre erano rimaste sul ponte.
Seratard gli era piaciuto sin dal momento della presentazione: era molto diverso dal grande capo degli inglesi, così alto, con il volto severo e un nome impossibile da pronunciare. Invece Serata, come Furansusan Andreh, era facile da dire perchè in giapponese la parola Serata significa presagio miracoloso.
Serata era il nome del villaggio in cui un progenitore della sua famiglia, Yoshi-shigeh Serata-noh Minowara, si era stabilito nel dodicesimo secolo. Nel tredicesimo secolo il daimyo guerriero Yoshi-sada Serata si era sollevato in armi contro i suoi principi, gli Hojo, li aveva annientati e si era impadronito della capitale Kamakura facendone la propria residenza.
Da allora i suoi diretti discendenti, gli Yoshi noh Toranaga noh Serata, vivevano a Kamakura, e lo shògun Yoshi Toranaga era sepolto nel grande mausoleo di quella città.
“Così siamo parenti?” disse scherzosamente Yoshi dopo aver spiegato a Seratard la coincidenza. Seratard rise e mentre gli altri nelle loro ridicole uniformi chiacchieravano come scimmie gli spiegò che anche la sua era una famiglia molto antica, sebbene non altrettanto illustre, nella terra dei furansu.
“E' mio padrone” aggiunse André con un inchino, “il mio padrone è molto onorato di esservi amico e di fare parte della vostra grande famiglia, sire.”
“Ditegli che considero il suo nome di buon auspicio” replicò Yoshi sicuro che quell'uomo fosse qualcosa di più che un semplice interprete.
“Il mio padrone ringrazia e dice che qualsiasi offerta faranno gli inglesi, i furansu offriranno di più.”
Misamoto intervenne in tono ossequioso: “Signore, lo straniero intende dire che vi offrono termini di scambio più vantaggiosi, condizioni migliori. Anche i furansu producono cannoni, seppure in quantità minore rispetto agli inglesi”.
“Digli che prenderò in considerazione una loro offerta per la concessione del carbone. Devono farmi sapere quante armi e quanti cannoni completi di munizioni sono disposti a darmi, in quanto tempo e in cambio di quanto carbone. Digli che voglio una nave a vapore con ufficiali capaci di addestrare i miei ufficiali e l'equipaggio. Forse” aggiunse con falsa innocenza, “forse potrei garantire ai furansu l'esclusiva assoluta di costruire, vendere e istruire una flotta.
Ovviamente sono disposto a pagare, se il prezzo è ragionevole.” Misamoto sgranò gli occhi, ma mentre si accingeva a tradurre fu anticipato dal gai-jin André che aveva ascoltato Yoshi non meno attentamente: “Il mio padrone è sicuro che per il re della nazione dei furansu sarà un grande onore aiutare il principe Yoshi Toranaga ad avere le navi”.
Yoshi vide che André si rivolgeva poi al capo Serata e che le sue parole destavano negli ufficiali molto entusiasmo. E' straordinario come per manipolare questa gente basti la promessa di un affare e di un pò di denaro, pensò. Se i furansu reagiscono così prontamente il capo degli inglesi non sarà da meno. Due pesci che si contendono lo stesso amo sono meglio di uno.
Il tempo non era stato sufficiente per approfondire tutte le questioni sollevate, ma Yoshi aveva sentito quanto bastava per desiderare di saperne di più.
Lo aveva colpito soprattutto un particolare accenno di Andreh Furansu-san: mentre illustrava la moderna conoscenza medica e spiegava come sarebbe stato facile addestrare il personale e organizzare un ospedale efficiente, il gai-jin aveva detto: “Il dottore capo di Kanagawa è molto bravo, sire. Abbiamo sentito che il tairò Anjo è ammalato.
“Forse il tairò vedrà Dottore Capo-sama”.
“Dove e quando avverrà questo incontro?”
“Il mio padrone dice che non è sicuro se l'incontro sia già stato deciso, sire. Forse Dottore Capo aiuterà il tairò.”
“Avvisatemi non appena verrà fissato l'incontro. Dite anche a Serata che sono interessato alla costituzione di un ospedale.” Decise di non dire di più, per il momento. Ma si trattava di un'altra informazione di cui Misamoto avrebbe dovuto dimenticarsi. Come posso procurarmi un interprete personale di fiducia? Ne ho assoluto bisogno.
Potrei addestrare Misamoto, che tengo in pugno e che mi segue come un cagnolino. Finora si è dimostrato ubbidiente e con i prospettori si è comportato bene.
Peccato che quando i due si sono azzuffati si fosse allontanato per riferire i progressi dell'iniziativa a Hosaki. Il samurai mi ha detto che sembravano due belve!
Sono proprio degli animali. Misamoto sarebbe forse riuscito a fermarli. Ma non importa, la morte di uno di loro significa una preoccupazione in meno e anche l'altro se ne andrà presto da questo mondo. Il carbone!
Secondo Hosaki abbiamo carbone in abbondanza, e per i gai-jin il carbone vale quanto l'oro.
Sviò deliberatamente la conversazione. “Chiedete a Serata-san perchè i gai-jin fanno fuoco con i cannoni e con i fucili e mandano le loro navi da guerra a disturbare la pace nella Terra degli Dèi. Si preparano forse alla guerra?” Scese il silenzio. Adesso sull'incontro aleggiava un'atmosfera diversa.
“Il mio padrone dice che non ci prepariamo alla guerra.” Yoshi capì che il gai-jin Andreh stava traducendo alla lettera. “Prepariamo soltanto la difesa. Spiacente, il tairò dice che i gai-jin devono partire.”
“E perchè allora non ve ne andate per un paio di mesi e poi tornate?” ribatté Yoshi divertendosi a osservare la costernazione suscitata dalla sua proposta.
“Il mio padrone dice: il trattato che è stato firmato dal signore shògun e voluto dal capo della Bakufu tairò e da sua altezza l'imperatore ci ha concesso Yokohama e Kanagawa, e presto anche Kobe. Il trattato è valido per il Giappone e per i gai-jin. Il tairò Anjo, spiacente, sbaglia a essere irato.”
“Molti daimyo non la pensano così. Il tairò Anjo è il capo. Dovete fare quello che ordina. Questa è la sua terra.”
“Il mio padrone dice che la Francia vuole aiutare il Giappone a essere una grande nazione del mondo... come qui.”
“Dite a Serata-sama che il tairò è il capo, bisogna ubbidire ai suoi ordini, anche se a volte...” Yoshi proseguì scegliendo bene le parole, ”... a volte anche il tairò può cambiare idea se riceve il giusto consiglio.” L'osservazione andò a segno. “Spiacente, abbiamo spiegato decine di volte che le questioni di Satsuma riguardano soltanto Sanjiro, il daimyo di Satsuma.”
“Il mio padrone dice che spera che qualcuno dia al tairò il giusto consiglio. Il daimyo di Satsuma deve chiedere scusa, pagare l'indennità stabilita nell'incontro di Edo e punire pubblicamente l'assassino.” Yoshi annuì fingendosi molto preoccupato.
Poi si alzò di scatto tra la generale costernazione: per lui non aveva senso dilungarsi oltre con quegli esseri inferiori di cui poteva servirsi in altro modo, doveva avvicinare quanto prima il capo inglese. Pur mantenendo un portamento sdegnoso e severo si dimostrò amichevole, e con finta riluttanza accettò la proposta di un nuovo incontro.
“Misamoto, di' che ci vedremo a Edo tra dieci giorni. Possono venire a Edo per un incontro privato.”
Mentre stavano per lasciare la nave il gai-jin Andreh gli disse: “Il mio padrone vi augura buon anno”. Yoshi apprese con stupore che il mondo dei gai-jin seguiva un calendario completamente diverso da quello giapponese e cinese a base lunare con cui dalla notte dei tempi si calcolavano i giorni, i mesi e gli anni.
“Il primo giorno del nostro anno, Serata-sama” spiegò Misamoto, è quando comincia la stagione delle feste, cade tra il sedicesimo giorno del primo mese e il ventiduesimo del secondo mese a seconda della luna.
Quest'anno, che è l'anno del cane, cadrà il diciottesimo giorno del primo mese e in Cina tutti dicono Kung Hay Fat Choy.” Sulla galea che lo riportava a Edo, Yoshi aveva riflettuto su quegli stranieri. Gli facevano soprattutto orrore: i gai-jin erano mostri con sembianze umane venuti dalle stelle le cui idee e abitudini seguivano la parte peggiore dello yin e dello yang.
Per difendersi dal demone straniero e sopravvivere il Giappone deve avere navi e armi più grandi e maggiore potenza militare. E per adesso, pensò nauseato, lo shògunato deve trovare un compromesso con loro.
Non se ne andranno mai spontaneamente, non tutti. Appena partiti questi ne verranno degli altri a derubarci della nostra eredità: i cinesi, i mongoli o gli uomini pelosi della terra dei ghiacci di Siber che si sono impadroniti dei porti cinesi e che ci guardano con la bava alla bocca.
E gli inglesi ci circonderanno sempre.
Che cosa fare contro di loro?
Yoshi era rimasto assorto nei suoi pensieri fino all'alba, non aveva quasi toccato cibo e non era riuscito a prendere sonno; il posto vuoto nel letto era una consapevolezza troppo dolorosa.
Il ricordo di Koiko continuava ad affiorare nella mente, al pari di quello di Anjo, di Ogama e degli altri. Durante il viaggio di ritorno da Kyòto aveva desiderato spesso la lama scintillante, la purezza e la pace della morte, quel minuto e quell'ora e quel giorno scelti con volontà divina: darsi la morte faceva dell'uomo un dio. Dal nulla al nulla.
Il rimpianto non ti ridurrà più in petali di dolore.
Così facile.
Il primo raggio di sole attraversò le imposte e colpì la spada corta posta a portata di mano accanto al letto insieme all'altra e al fucile carico, a cui aveva dato nome Nori. Aveva ricevuto quella spada in eredità: era stata forgiata dal maestro spadaio Masumara per lo shògun Toranaga.
Pensò alla perfezione della lama nascosta nel fodero di pelle logorato dall'uso.
Allungò una mano, accarezzò il fodero e abbandonò le dita sul cavicchio che assicurava l'elsa.
Suo padre aveva dato istruzioni allo spadaio di legare bene la spada nel fodero prima di consegnargliela solennemente alla presenza dei suoi servitori più intimi, Yoshi allora aveva quindici anni e aveva già ucciso un uomo, un ronin che imperversava nei pressi del castello di famiglia, il Nido dell'Aquila.
“Ricordati sempre il tuo voto, figlio mio: porterai questa lama con onore, la userai soltanto per fare seppuku e farai seppuku soltanto per sfuggire alla cattura sul campo di battaglia o per ordine dello shògun, con l'approvazione unanime del Consiglio. Ogni altro motivo è insufficiente finché lo shògunato è minacciato.” Un ordine terribile, pensò tornando a sdraiarsi nel letto.
Per il momento era al sicuro nell'ala più alta del castello, in quella stanza dove così grande era stato il suo piacere. Il suo sguardo cadde nuovamente sulla spada corta. Quel giorno la desiderava più che mai. Quel gesto ripetuto con la mente molte volte adesso si sarebbe rivelato naturale, gradevole e liberatorio. Presto Anjo manderà i suoi uomini ad arrestarmi, sarà la mia scusa...
Sentì dei passi nel silenzio. Passi di marcia. Afferrò entrambe le spade e si appostò, pronto all'attacco e alla difesa.
“Sire?” Riconobbe la voce di Abeh, ma non era una garanzia: Abeh poteva averlo chiamato costretto da un pugnale puntato alla gola o poteva essere lui stesso un traditore. Dopo Koiko chiunque era sospetto. “Cosa c'è?”
“Inejin chiede un'udienza.”
“Lo hai perquisito?”
“A fondo.” Yoshi tirò la fune che gli permetteva di aprire il catenaccio della porta rinforzata senza spostarsi.
All'esterno c'erano Inejin, Abeh e quattro samurai. Si rilassò. “Entrate, Inejin.” Quando anche gli altri accennarono a entrare li fermò.
“Non ce n'è bisogno, ma restate a portata di voce.” Il capo delle spie entrò, chiuse la porta e senza commentare il dispositivo del catenaccio si inginocchiò a dieci passi da lui.
“Avete trovato Katsumata?”
“Sarà a Edo fra tre giorni, sire. Terrà la prima riunione alla Casa del Glicine.”
“Quel nido di scorpioni?” Yoshi non aveva ancora fatto scattare la trappola intorno alla mama-san Meikin perchè prima di vendicarsi voleva conoscere la portata del complotto contro di lui. La vendetta va consumata con calma. E ancora non si sentiva calmo. “Sarà possibile prenderlo vivo?” Inejin rispose con uno strano sorriso. “Ne dubito, ma mi consentite di esporvi la storia a modo mio, sire?” Spostò il ginocchio dolorante in una posizione più comoda. “Prima di tutto i gai-jin: si è verificato un fatto che desideravamo e che abbiamo incoraggiato sin dall'inizio.