Così aveva ascoltato Wakura.
“Le ragioni sono complesse.”
“Sono abituata alla complessità, cancelliere.”
“Molto bene. In cambio del fidanzamento la Bakufu ha acconsentito a espellere i gai-jin e a cancellare tutti i trattati.”
“Secondo Nori Anjo ciò è impossibile.”
“E' vero. Per ora è impossibile. Tuttavia egli ha acconsentito a dare immediato inizio alla modernizzazione dell'esercito e alla costruzione di un'invincibile marina. Egli promette che tra sette, otto o al più tardi dieci anni saremo abbastanza forti per imporre il nostro volere.”
“O tra venti o cinquanta o cento anni! Gli shògun Toranaga sono bugiardi e inaffidabili. Hanno tenuto confinato per secoli l'imperatore usurpandone il patrimonio ereditario. Non sono uomini di cui ci si possa fidare.
“Spiacente, ma ora l'imperatore è convinto che si debba accordare loro fiducia. In verità, principessa, noi non abbiamo alcun potere temporale su di loro.”
“Dunque sarei una sciocca a consegnarmi in qualità di ostaggio.”
“Spiacente, ma stavo per aggiungere che le vostre nozze porterebbero a una riappacificazione tra l'imperatore e lo shògunato, riappacificazione indispensabile alla tranquillità del paese. Allora lo shògunato presterebbe ascolto all'opinione imperiale e obbedirebbe ai desideri dell'imperatore.”
“Se diventassero filiali. Ma come si potrebbe ottenere tutto ciò con un matrimonio?”
“Non potrebbe forse la corte aver l'opportunità di intervenire attraverso di voi, se noti addirittura di controllare il giovane shògun e il suo governo?” L'attenzione della principessa si era risvegliata. “Controllare? Per conto dell'imperatore?”
“Certo. Come potrebbe questo ragazzo, paragonato a voi, altezza, un poppante, celarvi dei segreti? E' impossibile. Certamente è speranza dell'Elevato che voi, sua sorella, diventiate anche la sua intermediaria.
Nel ruolo di moglie dello shògun sareste al corrente di ogni cosa e una persona con le vostre capacità potrebbe essere in grado di accentrare nelle sue mani tutto il potere della Bakufu attraverso il giovane shògun.
Dopo il terzo Toranaga non ci sono stati altri shògun forti.
Vi trovereste nella posizione ideale per avere tutto il potere.” Yazu aveva riflettuto a lungo. “Anjo e lo shògunato non sono degli sciocchi. Ci avranno già pensato.”
“Loro non vi conoscono, altezza. Credono che voi siate soltanto un giunco da piegare a loro capriccio, come il giovane Nobusada. Altrimenti perchè avrebbero scelto proprio lui? Vogliono queste nozze, è vero, per accrescere il loro prestigio e certamente anche per avvicinare la corte e lo shògunato. Ovviamente voi, una ragazza, nelle loro intenzioni non sareste che un'arrendevole marionetta da utilizzare per sovvertire la volontà imperiale.”
“Spiacente, chiedete troppo a una donna. Io non voglio lasciare la mia casa né rinunciare al mio principe.”
“L'imperatore ve lo chiede.”
“Ancora una volta lo shògunato lo sta costringendo a scendere a patti quando dovrebbe soltanto ubbidire” commentò Yazu con amarezza.
“L'imperatore vi chiede di aiutarlo a ottenere la loro obbedienza.”
“Ti prego di scusarmi, non posso.”
“Due anni or sono, nell'anno cattivo” continuò Wakura nello stesso tono misurato, “l'anno delle carestie, l'anno in cui Li firmò i trattati, alcuni studiosi della Bakufu ricercarono nella storia esempi di imperatori deposti.” Yazu trattenne il respiro. “Non oseranno... arrivare a tanto!”
“Lo shògunato è lo shògunato e oggi è onnipotente. Perché non dovrebbero prendere in considerazione l'eliminazione di un ostacolo? Non è forse vero che, distrutto il suo wa, l'imperatore ha valutato l'ipotesi di abdicare in favore del figlio, il principe Sachi?”
“Pettegolezzi” esclamò lei, “non può esserci niente di vero.”
“Credo che invece sia un timore fondato, principessa imperiale” rispose Wakura in tono grave.
“E' ora egli vi domanda, vi prega di aiutarlo.” Fuori di sé, Yazu si rese conto che qualsiasi risposta avrebbe fatto tornare Wakura sullo stesso argomento.
Non c'era via d'uscita. Alla fine avrebbe dovuto cedere o farsi monaca. Aprì la bocca per esprimere l'ultimo rifiuto ma non vi riuscì. Sembrava che qualcosa si fosse insinuato nella sua mente, per la prima volta cominciò a pensare in modo diverso, non più come una bambina ma come una donna adulta, e la sua risposta rispecchiò il nuovo atteggiamento. “Molto bene” disse, decidendo di non svelare i propri pensieri, “acconsento purché possa continuare a vivere a Edo come ho vissuto nel palazzo imperiale...” Quella conversazione era stata il primo passo verso il silenzio della stanza nuziale nel cuore della notte, silenzio rotto soltanto dalle sue lacrime.
Yazu si mise a sedere sul letto e asciugò dal volto le tracce di pianto.
Bugiardi, pensò con tristezza, hanno promesso e poi mi hanno ingannata anche in questo. Nobusada emise un lieve suono e si rigirò nel sonno.
Alla luce della lampada, senza la quale il giovane shògun non riusciva a dormire, il suo volto sembrava più infantile del solito, più il volto di un fratello minore che quello di un marito.
Gentile, attento, sempre pronto ad ascoltarla, ad accettare i suoi consigli, a confidarle ogni segreto, tutto come Wakura aveva previsto. Ma da ciò lei non aveva alcuna soddisfazione.
Mio caro Sugawara, ormai perduto... per questa vita.
Rabbrividì. La finestra era spalancata. Si appoggiò all'architrave e guardò senza vedere il palazzo in fiamme che bruciava e i fuochi sparsi ovunque nella città, la luna sul mare; senza sentire nell'aria l'odore di bruciato mentre l'alba già rischiarava il cielo a oriente.
Dal giorno della conversazione con Wakura la sua decisione segreta non era mutata: dedicare la vita a distruggere lo shògunato che le aveva distrutto i suoi giorni, privarlo con qualsiasi mezzo del potere per restituirlo al Divino Li distruggerò come essi hanno distrutto me, pensò.
Ormai era diventata troppo saggia per dare voce a simili pensieri, Vorrei non essere mai venuta qui, vorrei non aver mai sposato questo ragazzo, e anche se gli voglio bene odio questo posto detestabile, questa detestabile gente.
Voglio andare a casa! Tornerò a casa. Ciò renderà la mia vita sopportabile.
Faremo la nostra visita a Kyòto indipendentemente da qualsiasi cosa Yoshi potrà dire o fare, da quello che chiunque potrà dire o fare.
Torneremo a casa, e vi resteremo.
Capitolo 18
†
Lunedì, 13 ottobre
Dieci giorni più tardi, nel radioso sole di mezzogiorno, Phillip Tyrer si esercitava divertito con inchiostro, acqua e pennello nella calligrafia giapponese, sulla scrivania della veranda della Legazione di Edo.
Intorno erano sparse decine di fogli, già completati o abbandonati dopo un minimo errore, dato che in Giappone la carta di riso costava molto meno che in Inghilterra.
Tyrer era stato inviato a Edo da sir William per organizzare la prima riunione con gli Anziani.
All'improvviso si interruppe. Il capitano Settry Pallidar e dieci dragoni a cavallo stavano risalendo la collina nelle loro uniformi immacolate.
Al loro arrivo nella piazza i samurai presenti, molto più numerosi di prima, si divisero per lasciarli passare e accennarono grevi e rigidi inchini a cui Pallidar rispose con un saluto altrettanto secco, evidentemente secondo un protocollo instaurato di recente.
I soldati di guardia, anch'essi più numerosi di prima, aprirono i cancelli di ferro e li richiusero non appena il drappello fu entrato nel cortile.
“Ciao, Settry” gridò Tyrer scendendo di corsa i gradini d'ingresso per salutarlo. “Accidenti, come sono contento di vederti, da dove diavolo salti fuori?”
“Da Yokohama, amico, da dove altro potrei arrivare?
Siamo venuti in nave.” Prima ancora che Pallidar scendesse da cavallo un giardiniere è si precipitò ossequioso per tenere le briglie, ma subito il capitano allungò la mano sulla fondina. “Vattene!”
“E' dei nostri, Settry. Si chiama Ukiya e si è sempre dimostrato molto servizievole. Domo, Ukiya” disse Tyrer.
“Hai, Taira-sama, domo” rispose Hiraga inchinandosi con un sorrisetto sciocco. Poi rimase immobile.
Il volto seminascosto dal cappello da coolie, appoggiandosi alla zappa.
“Vattene” ripeté Pallidar. “Scusa, Phillip, ma non voglio intorno nessuna di queste canaglie, specie quando ha una maledetta zappa.
Grimes!” Un dragone lo raggiunse all'istante, spinse da parte Hiraga e afferrò le briglie. “Togliti dai piedi, giapponese!” Hiraga chinò la testa senza smettere di sorridere e si allontanò. Si fermò a una distanza che gli consentiva ancora di sentire la conversazione degli inglesi, reprimendo l'impulso di vendicarsi immediatamente dell'insulto con la zappa affilata, o con il piccolo stiletto nascosto nel cappello o anche solo con le sue mani d'acciaio.
“Perché mai siete venuti via mare?” chiese Tyrer.
“Per guadagnare tempo. Le pattuglie di ricognizione ci hanno riferito che lungo la Tokaidò i giapponesi hanno moltiplicato i posti di blocco e sono tutti più nervosi del solito per la lentezza del traffico tra Hodogaya ed Edo, più caotico di quello di Piccadilly Circus nel giorno del compleanno della Regina. Ho un dispaccio di sir William, ti ordina di chiudere la Legazione e di riportare i tuoi a Yokohama.
Io vi farò da scorta per non farvi perdere la faccia.”
Tyrer lo fissò perplesso.
“E che ne sarà della riunione? Ho lavorato come un matto per preparare tutto.”
“Non lo so, caro. Eccoti il dispaccio.”
Tyrer spezzò i sigilli della lettera ufficiale:
P. Tyrer, Legazione britannica, Edo:
Con questa vi informo di essermi accordato con la Bakufu per posticipare la riunione dal 20 ottobre a lunedì 3 novembre. Per evitare un inutile dispendio di uomini, voi e tutti i membri del vostro gruppo tornerete immediatamente con il capitano Pallidar.
“Evviva, si torna a Yokohama!”
“Quando vuoi partire?”
“Subito, sia fatta la volontà del Grande Padre Bianco. Non vedo l'ora.
Dopo pranzo? Entra, sediamoci un pò. Ci sono novità da Yokopoko?”
“Non molte.” Mentre i due si avviavano verso le comode sedie della veranda, Hiraga si avvicinò e si mise a zappare per origliare ancora.
Pallidar accese un sigaro.
“Sir William, il generale e l'ammiraglio hanno lanciato un'altra bordata contro la Bakufu e il governatore, giurando che avrebbero avuto le budella per colletto se non avessero fatto saltar fuori gli assassini di Canterbury, e ora anche quelli della tremenda esecuzione di Lun. E sai cos'hanno ottenuto in risposta? La solita solfa: Ah, spiacenti, per catturarli abbiamo messo sotto controllo tutte le strade, tutti i sentieri, spiacenti per il ritardo e il disturbo! Oh, ha detto sir William, dunque sapete chi sono?
Oh no, ha risposto il giapponese, ma se verifichiamo i documenti e perquisiamo tutti forse riusciremo a trovarli, stiamo facendo il possibile, per favore aiutateci stando anche voi più attenti ai rivoluzionari. Un sacco di balle! Se volessero li avrebbero già presi. Sono dei bugiardi.”
“E terribile quello che è capitato a Lun. Spaventoso! Mi ha sconvolto.
A sir William è quasi venuto un attacco di cuore. Si è già capito come hanno fatto gli assassini a penetrare nella nostra Legazione di Kanagawa?”
“No, non c'è nessuna novità.” Pallidar aveva notato i fogli coperti di ideogrammi, ma preferì non commentare. Si allentò il colletto. “Il caporale a cui era affidato il comando ha perso il grado ed è stato punito per negligenza insieme agli altri due con cinquanta frustate. Dopo l'aggressione della Tokaidò avrebbe dovuto stare all'erta. Ma perchè la testa di scimmia?” Tyrer rabbrividì.
“Sir William ritiene che abbiano voluto vendicare l'offesa ricevuta da Lun quando ha preso in giro la loro delegazione chiamandoli “scimmie”.” Pallidar sibilò. “Questo significa che almeno uno di loro, all'insaputa dei nostri, capisce l'inglese, o quantomeno il pidgin.”
“Anche noi siamo arrivati alla stessa conclusione.” Tyrer si sforzò di allontanare la paura. “All'inferno questa storia, sono molto contento di vederti. Cos'altro c'è di nuovo?”
Pallidar, assorto, stava fissando Hiraga, in realtà senza vederlo.
“Il generale crede che i locali abbiano aumentato i posti di blocco e i movimenti delle milizie per qualche precisa ragione. I mercanti hanno saputo dai loro contatti giapponesi che tutte le strade intorno a Edo sono presidiate perchè sta per esplodere la guerra civile. Dovremmo saperlo con sicurezza, dovremmo muoverci liberamente sul territorio come ci garantisce il Trattato e scoprirlo.
Una volta tanto il generale e l'ammiraglio sono d'accordo che bisognerebbe fare come in India e negli altri paesi, cioè mandare in giro qualche drappello o persino un reggimento o due a far sventolare la nostra bandiera, per Dio, e a contattare i principi scontenti per usarli contro gli altri. Hai una birra?”
“Certo, scusa. Chen!”
“Sì, padrone?”
“Biru chop chop” disse Tyrer. Dubitava che la belligeranza dell'amico fosse il metodo più adatto per arrivare allo scopo. Il capo giardiniere si avvicinò alla veranda fermandosi sul prato e si inchinò rispettoso. Con sorpresa di Pallidar, Tyrer rispose, anche se con un inchino solo accennato, in giapponese. “Hai, Shikisha? Nan desu ka?” Si, Shikisha, cosa vuoi?
Sempre più stupefatto, Pallidar ascoltò l'uomo inoltrare la sua richiesta e Tyrer sostenere disinvolto la conversazione che seguì tra loro.
Infine l'uomo si inchinò e se ne andò. “Hai Taira-sama, domo.”
“Mio Dio, Phillip, di che parlavate?”
“Cosa? Oh, con il vecchio Shikisha? Voleva solo sapere se i giardinieri possono andare a lavorare nel giardino sul retro. Sir William vuole ortaggi freschi, cavolfiori, cipolle, cavolini di Bruxelles, patate da fare al forno... ma cosa ti prende?”
“Allora parli davvero il giapponese?” Tyrer rise.
“Oh, no, ma sono stato rinchiuso qui per dieci giorni senza niente da fare, così mi sono messo a studiare e ho cercato di imparare un pò di parole e qualche frase.
Sir William mi ha imposto di darmi da fare, e in realtà mi diverto. Essere in grado di comunicare mi dà carica.” Gli balzò alla mente il viso di Fujiko e il ricordo delle frasi e delle ore trascorse con lei durante il suo breve ritorno a Yokohama, un giorno e una notte, dieci giorni prima. Grazie a sir William, questa sera o domani la potrò rivedere, sarà fantastico.