Paradiso (46 page)

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Authors: Dante

BOOK: Paradiso
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Fatto avea di là mane e di qua sera

               
tal foce, e quasi tutto era là bianco

45
           
quello emisperio, e l’altra parte nera,

               
quando Beatrice in sul sinistro fianco   

               
vidi rivolta e riguardar nel sole:

48
           
aguglia sì non li s’affisse unquanco.

               
E sì come secondo raggio suole   

               
uscir del primo e risalire in suso,

51
           
pur come pelegrin che tornar vuole,

               
così de l’atto suo, per li occhi infuso

               
ne l’imagine mia, il mio si fece,

54
           
e fissi li occhi al sole oltre nostr’ uso.

               
Molto è licito là, che qui non lece   

               
a le nostre virtù, mercé del loco

57
           
fatto per proprio de l’umana spece.

               
Io nol soffersi molto, né sì poco,   

               
ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,

60
           
com’ ferro che bogliente esce del foco;

               
e di sùbito parve giorno a giorno   

               
essere aggiunto, come quei che puote

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avesse il ciel d’un altro sole addorno.

               
Beatrice tutta ne l’etterne rote   

               
fissa con li occhi stava; e io in lei

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le luci fissi, di là sù rimote.

               
Nel suo aspetto tal dentro mi fei,   

               
qual si fé Glauco nel gustar de l’erba   

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che ’l fé consorto in mar de li altri dèi.

               
Trasumanar significar
per verba
   

   

               
non si poria; però l’essemplo basti

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a cui esperïenza grazia serba.

               
S’i’ era sol di me quel che creasti   

   

               
novellamente, amor che ’l ciel governi,   

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tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti.   

               
Quando la rota che tu sempiterni   

               
desiderato, a sé mi fece atteso

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con l’armonia che temperi e discerni,   

               
parvemi tanto allor del cielo acceso   

               
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume

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lago non fece alcun tanto disteso.

               
La novità del suono e ’l grande lume   

               
di lor cagion m’accesero un disio

84
           
mai non sentito di cotanto acume.

               
Ond’ ella, che vedea me sì com’ io,   

               
a quïetarmi l’animo commosso,

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pria ch’io a dimandar, la bocca aprio

               
e cominciò: “Tu stesso ti fai grosso   

               
col falso imaginar, sì che non vedi

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ciò che vedresti se l’avessi scosso.

               
Tu non se’ in terra, sì come tu credi;   

               
ma folgore, fuggendo il proprio sito,

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non corse come tu ch’ad esso riedi.”

               
S’io fui del primo dubbio disvestito   

               
per le sorrise parolette brevi,   

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dentro ad un nuovo più fu’ inretito   

               
e dissi: “Già contento
requïevi
   

               
di grande ammirazion; ma ora ammiro

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com’ io trascenda questi corpi levi.”

               
Ond’ ella, appresso d’un pïo sospiro,   

               
li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante

102
         
che madre fa sovra figlio deliro,

               
e cominciò: “Le cose tutte quante   

   

               
hanno ordine tra loro, e questo è forma

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che l’universo a Dio fa simigliante.

               
Qui veggion l’alte creature l’orma   

               
de l’etterno valore, il qual è fine

108
         
al quale è fatta la toccata norma.

               
Ne l’ordine ch’io dico sono accline   

   

               
tutte nature, per diverse sorti,

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più al principio loro e men vicine;

               
onde si muovono a diversi porti   

               
per lo gran mar de l’essere, e ciascuna

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con istinto a lei dato che la porti.

               
Questi ne porta il foco inver’ la luna;

               
questi ne’ cor mortali è permotore;

117
         
questi la terra in sé stringe e aduna;

               
né pur le creature che son fore   

               
d’intelligenza quest’ arco saetta,

120
         
ma quelle c’hanno intelletto e amore.

               
La provedenza, che cotanto assetta,   

               
del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto

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nel qual si volge quel c’ha maggior fretta;

               
e ora lì, come a sito decreto,

               
cen porta la virtù di quella corda

126
         
che ciò che scocca drizza in segno lieto.

               
Vero è che, come forma non s’accorda   

               
molte fïate a l’intenzion de l’arte,

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perch’ a risponder la materia è sorda,

               
così da questo corso si diparte

               
talor la creatura, c’ha podere

132
         
di piegar, così pinta, in altra parte;

               
e sì come veder si può cadere

               
foco di nube, sì l’impeto primo

135
         
l’atterra torto da falso piacere.

               
Non dei più ammirar, se bene stimo,   

               
lo tuo salir, se non come d’un rivo

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se d’alto monte scende giuso ad imo.

               
Maraviglia sarebbe in te se, privo

               
d’impedimento, giù ti fossi assiso,

               
com’ a terra quïete in foco vivo.”

142
         
Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso.   

PARADISO II

               
O voi che siete in piccioletta barca,   

   

   

               
desiderosi d’ascoltar, seguiti   

3
             
dietro al mio legno che cantando varca,   

               
tornate a riveder li vostri liti:   

               
non vi mettete in pelago, ché forse,

6
             
perdendo me, rimarreste smarriti.

               
L’acqua ch’io prendo già mai non si corse;   

   

               
Minerva spira, e conducemi Appollo,

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e nove Muse mi dimostran l’Orse.   

               
Voi altri pochi che drizzaste il collo   

   

               
per tempo al pan de li angeli, del quale   

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vivesi qui ma non sen vien satollo,   

               
metter potete ben per l’alto sale   

               
vostro navigio, servando mio solco

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dinanzi a l’acqua che ritorna equale.

               
Que’ glorïosi che passaro al Colco   

               
non s’ammiraron come voi farete,   

18
           
quando Iasón vider fatto bifolco.

               
La concreata e perpetüa sete   

               
del deïforme regno cen portava

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veloci quasi come ’l ciel vedete.   

               
Beatrice in suso, e io in lei guardava;

               
e forse in tanto in quanto un quadrel posa   

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e vola e da la noce si dischiava,

               
giunto mi vidi ove mirabil cosa

               
mi torse il viso a sé; e però quella

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cui non potea mia cura essere ascosa,

               
volta ver’ me, sì lieta come bella,

               
“Drizza la mente in Dio grata,” mi disse,

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“che n’ha congiunti con la prima stella.”   

               
Parev’ a me che nube ne coprisse   

               
lucida, spessa, solida e pulita,   

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quasi adamante che lo sol ferisse.

               
Per entro sé l’etterna margarita

               
ne ricevette, com’ acqua recepe

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raggio di luce permanendo unita.

               
S’io era corpo, e qui non si concepe   

               
com’ una dimensione altra patio,

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ch’esser convien se corpo in corpo repe,   

               
accender ne dovria più il disio

               
di veder quella essenza in che si vede

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come nostra natura e Dio s’unio.

               
Lì si vedrà ciò che tenem per fede,

               
non dimostrato, ma fia per sé noto

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a guisa del ver primo che l’uom crede.

               
Io rispuosi: “Madonna, sì devoto   

               
com’ esser posso più, ringrazio lui

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lo qual dal mortal mondo m’ha remoto.

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