Paradiso (70 page)

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Authors: Dante

BOOK: Paradiso
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Ahi quanto ne la mente mi commossi,   

               
quando mi volsi per veder Beatrice,

               
per non poter veder, benché io fossi

139
         
presso di lei, e nel mondo felice!

PARADISO XXVI

               
Mentr’io dubbiava per lo viso spento,   

               
de la fulgida fiamma che lo spense

3
             
uscì un spiro che mi fece attento,   

               
dicendo: “Intanto che tu ti risense

               
de la vista che haï in me consunta   

6
             
ben è che ragionando la compense.   

               
Comincia dunque; e dì ove s’appunta

               
l’anima tua, e fa ragion che sia

9
             
la vista in te smarrita e non defunta:   

   

               
perché la donna che per questa dia

               
regïon ti conduce, ha ne lo sguardo

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la virtù ch’ebbe la man d’Anania.”

               
Io dissi: “Al suo piacere e tosto e tardo   

               
vegna remedio a li occhi, che fuor porte

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quand’ ella entrò col foco ond’ io sempr’ ardo.

               
Lo ben che fa contenta questa corte,   

   

               
Alfa e O è di quanta scrittura   

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mi legge Amore o lievemente o forte.”

               
Quella medesma voce che paura

               
tolta m’avea del sùbito abbarbaglio,

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di ragionare ancor mi mise in cura;   

               
e disse: “Certo a più angusto vaglio   

               
ti conviene schiarar: dicer convienti

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chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio.”

               
E io: “Per filosofici argomenti   

               
e per autorità che quinci scende

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cotale amor convien che in me si ’mprenti:

               
ché ’l bene, in quanto ben, come s’intende,   

               
così accende amore, e tanto maggio

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quanto più di bontate in sé comprende.

               
Dunque a l’essenza ov’ è tanto avvantaggio,

               
che ciascun ben che fuor di lei si trova

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altro non è ch’un lume di suo raggio,

               
più che in altra convien che si mova

               
la mente, amando, di ciascun che cerne

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il vero in che si fonda questa prova.

               
Tal vero a l’intelletto mïo sterne   

               
colui che mi dimostra il primo amore

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di tutte le sustanze sempiterne.

               
Sternel la voce del verace autore,   

               
che dice a Moïsè, di sé parlando:

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‘Io ti farò vedere ogne valore.’   

               
Sternilmi tu ancora, incominciando

               
l’alto preconio che grida l’arcano   

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di qui là giù sovra ogne altro bando.”

               
E io udi’: “Per intelletto umano   

               
e per autoritadi a lui concorde

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d’i tuoi amori a Dio guarda il sovrano.

               
Ma dì ancor se tu senti altre corde   

               
tirarti verso lui, sì che tu suone

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con quanti denti questo amor ti morde.”

               
Non fu latente la santa intenzione

               
de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi   

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dove volea menar mia professione.

               
Però ricominciai: “Tutti quei morsi   

               
che posson far lo cor volgere a Dio,

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a la mia caritate son concorsi:

               
ché l’essere del mondo e l’esser mio,

               
la morte ch’el sostenne perch’ io viva,

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e quel che spera ogne fedel com’ io,

               
con la predetta conoscenza viva,

               
tratto m’hanno del mar de l’amor torto,   

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e del diritto m’han posto a la riva.

               
Le fronde onde s’infronda tutto l’orto   

               
de l’ortolano etterno, am’ io cotanto

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quanto da lui a lor di bene è porto.”

               
Sì com’ io tacqui, un dolcissimo canto   

               
risonò per lo cielo, e la mia donna

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dicea con li altri: “Santo, santo, santo!”

               
E come a lume acuto si disonna   

   

               
per lo spirto visivo che ricorre

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a lo splendor che va di gonna in gonna,

               
e lo svegliato ciò che vede aborre,   

               
si nescïa è la sùbita vigilia

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fin che la stimativa non soccorre;

               
così de li occhi miei ogne quisquilia   

               
fugò Beatrice col raggio d’i suoi,

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che rifulgea da più di mille milia:

               
onde mei che dinanzi vidi poi;

               
e quasi stupefatto domandai   

   

81
           
d’un quarto lume ch’io vidi tra noi.

               
E la mia donna: “Dentro da quei rai   

               
vagheggia il suo fattor l’anima prima

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che la prima virtù creasse mai.”

               
Come la fronda che flette la cima   

               
nel transito del vento, e poi si leva

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per la propria virtù che la soblima,

               
fec’io in tanto in quant’ ella diceva,

               
stupendo, e poi mi rifece sicuro

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un disio di parlare ond’ ïo ardeva.

               
E cominciai: “O pomo che maturo   

               
solo prodotto fosti, o padre antico

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a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,   

               
divoto quanto posso a te supplìco

               
perché mi parli: tu vedi mia voglia,   

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e per udirti tosto non la dico.”

               
Talvolta un animal coverto broglia,   

               
sì che l’affetto convien che si paia

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per lo seguir che face a lui la ’nvoglia;

               
e similmente l’anima primaia

               
mi facea trasparer per la coverta

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quant’ ella a compiacermi venìa gaia.

               
Indi spirò: “Sanz’ essermi proferta   

               
da te, la voglia tua discerno meglio   

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che tu qualunque cosa t’è più certa;

               
perch’ io la veggio nel verace speglio

               
che fa di sé pareglio a l’altre cose,   

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e nulla face lui di sé pareglio.

               
Tu vuogli udir quant’ è che Dio mi puose   

               
ne l’eccelso giardino, ove costei   

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a così lunga scala ti dispuose,

               
e quanto fu diletto a li occhi miei,

               
e la propria cagion del gran disdegno,

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e l’idïoma ch’usai e che fei.   

               
Or, figliuol mio, non il gustar del legno   

   

               
fu per sé la cagion di tanto essilio,   

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ma solamente il trapassar del segno.

               
Quindi onde mosse tua donna Virgilio,   

   

               
quattromilia trecento e due volumi

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di sol desiderai questo concilio;

               
e vidi lui tornare a tutt’ i lumi   

               
de la sua strada novecento trenta

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fïate, mentre ch’ïo in terra fu’mi.

               
La lingua ch’io parlai fu tutta spenta   

               
innanzi che a l’ovra inconsummabile

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fosse la gente di Nembròt attenta:

               
ché nullo effetto mai razïonabile,

               
per lo piacere uman che rinovella

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seguendo il cielo, sempre fu durabile.

               
Opera naturale è ch’uom favella;   

               
ma così o così, natura lascia

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poi fare a voi secondo che v’abbella.   

               
Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia,   

               
I
s’appellava in terra il sommo bene   

135
         
onde vien la letizia che mi fascia;   

               
e
El
si chiamò poi: e ciò convene,   

               
ché l’uso d’i mortali è come fronda   

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in ramo, che sen va e altra vene.

               
Nel monte che si leva più da l’onda,   

               
fu’io, con vita pura e disonesta,

               
da la prim’ ora a quella che seconda,

142
         
come ’l sol muta quadra, l’ora sesta.”

PARADISO XXVII

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