Paradiso (68 page)

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Authors: Dante

BOOK: Paradiso
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Quivi si vive e gode del tesoro   

   

               
che s’acquistò piangendo ne lo essilio

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di Babillòn, ove si lasciò l’oro.

               
Quivi trïunfa, sotto l’alto Filio   

               
di Dio e di Maria, di sua vittoria,

               
e con l’antico e col novo concilio,

139
         
colui che tien le chiavi di tal gloria.

PARADISO XXIV

               
“O sodalizio eletto a la gran cena   

   

               
del benedetto Agnello, il qual vi ciba

3
             
sì, che la vostra voglia è sempre piena,

               
se per grazia di Dio questi preliba   

               
di quel che cade de la vostra mensa,   

6
             
prima che morte tempo li prescriba,

               
ponete mente a l’affezione immensa

               
e roratelo alquanto: voi bevete   

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sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa.”

               
Così Beatrice; e quelle anime liete   

               
si fero spere sopra fissi poli,

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fiammando, volte, a guisa di comete.

               
E come cerchi in tempra d’orïuoli   

               
si giran sì, che ’l primo a chi pon mente

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quïeto pare, e l’ultimo che voli;

               
così quelle carole, differente-   

               
mente danzando, de la sua ricchezza

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mi facieno stimar, veloci e lente.

               
Di quella ch’io notai di più carezza   

   

               
vid’ ïo uscire un foco sì felice,   

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che nullo vi lasciò di più chiarezza;

               
e tre fïate intorno di Beatrice   

               
si volse con un canto tanto divo,

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che la mia fantasia nol mi ridice.   

               
Però salta la penna e non lo scrivo:   

               
ché l’imagine nostra a cotai pieghe,   

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non che ’l parlare, è troppo color vivo.   

               
“O santa suora mia che sì ne prieghe

               
divota, per lo tuo ardente affetto

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da quella bella spera mi disleghe.”

               
Poscia fermato, il foco benedetto   

               
a la mia donna dirizzò lo spiro,

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che favellò così com’ i’ ho detto.

               
Ed ella: “O luce etterna del gran viro   

               
a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,

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ch’ei portò giù, di questo gaudio miro,

               
tenta costui di punti lievi e gravi,   

               
come ti place, intorno de la fede,

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per la qual tu su per lo mare andavi.   

               
S’elli ama bene e bene spera e crede,   

   

               
non t’è occulto, perché ’l viso hai quivi

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dov’ ogne cosa dipinta si vede;

               
ma perché questo regno ha fatto civi

               
per la verace fede, a glorïarla,

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di lei parlare è ben ch’a lui arrivi.”

               
Sì come il baccialier s’arma e non parla   

               
fin che ’l maestro la question propone,

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per approvarla, non per terminarla,   

               
così m’armava io d’ogne ragione

               
mentre ch’ella dicea, per esser presto

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a tal querente e a tal professione.

               
“Dì, buon Cristiano, fatti manifesto:   

   

               
fede che è?” Ond’ io levai la fronte

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in quella luce onde spirava questo;

               
poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte

               
sembianze femmi perch’ïo spandessi   

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l’acqua di fuor del mio interno fonte.

               
“La Grazia che mi dà ch’io mi confessi,”   

               
comincia’ io, “da l’alto primipilo,   

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faccia li miei concetti bene espressi.”

               
E seguitai: “Come ’l verace stilo   

               
ne scrisse, padre, del tuo caro frate   

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che mise teco Roma nel buon filo,

               
fede è sustanza di cose sperate   

               
e argomento de le non parventi;

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e questa pare a me sua quiditate.”

               
Allora udi’: “Dirittamente senti,   

               
se bene intendi perché la ripuose

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tra le sustanze, e poi tra li argomenti.”

               
E io appresso: “Le profonde cose   

               
che mi largiscon qui la lor parvenza,

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a li occhi di là giù son sì ascose,

               
che l’esser loro v’è in sola credenza,

               
sopra la qual si fonda l’alta spene;

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e però di sustanza prende intenza.   

               
E da questa credenza ci convene

               
silogizzar, sanz’ avere altra vista:

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però intenza d’argomento tene.”

               
Allora udi’: “Se quantunque s’acquista   

               
giù per dottrina, fosse così ’nteso,

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non lì avria loco ingegno di sofista.”

               
Così spirò di quello amore acceso;

               
indi soggiunse: “Assai bene è trascorsa

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d’esta moneta già la lega e ’l peso;

               
ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa.”

               
Ond’ io: “Sì ho, sì lucida e sì tonda,

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che nel suo conio nulla mi s’inforsa.”

               
Appresso uscì de la luce profonda

               
che lì splendeva: “Questa cara gioia   

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sopra la quale ogne virtù si fonda,

               
onde ti venne?” E io: “La larga ploia

               
de lo Spirito Santo, ch’è diffusa

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in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia,

               
è silogismo che la m’ha conchiusa

               
acutamente sì, che ’nverso d’ella

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ogne dimostrazion mi pare ottusa.”

               
Io udi’ poi: “L’antica e la novella   

               
proposizion che così ti conchiude,

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perché l’hai tu per vivina favella?”

               
E io: “La prova che ’l ver mi dischiude,

               
son l’opere seguite, a che natura

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non scalda ferro mai né batte incude.”

               
Risposto fummi: “Dì, chi t’assicura   

               
che quell’ opere fosser? Quel medesmo

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che vuol provarsi, non altri, il ti giura.”

               
“Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo,”   

               
diss’ io, “sanza miracoli, quest’ uno

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è tal, che li altri non sono il centesmo:   

               
ché tu intrasti povero e digiuno

               
in campo, a seminar la buona pianta

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che fu già vite e ora è fatta pruno.”   

               
Finito questo, l’alta corte santa

               
risonò per le spere un “Dio laudamo”   

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ne la melode che là sù si canta.

               
E quel baron che sì di ramo in ramo,   

   

               
essaminando, già tratto m’avea,

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che a l’ultime fronde appressavamo,

               
ricominciò: “La Grazia, che donnea   

               
con la tua mente, la bocca t’aperse

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infino a qui come aprir si dovea,

               
sì ch’io approvo ciò che fuori emerse;

               
ma or convien espremer quel che credi,

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e onde a la credenza tua s’offerse.”

               
“O santo padre, e spirito che vedi   

   

               
ciò che credesti sì, che tu vincesti

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ver’ lo sepulcro più giovani piedi,”

               
comincia’ io, “tu vuo’ ch’io manifesti

               
la forma qui del pronto creder mio,

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e anche la cagion di lui chiedesti.

               
E io rispondo: Io credo in uno Dio   

               
solo ed etterno, che tutto ’l ciel move,

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non moto, con amore e con disio;

               
e a tal creder non ho io pur prove

               
fisice e metafisice, ma dalmi   

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anche la verità che quinci piove

               
per Moïsè, per profeti e per salmi,   

               
per l’Evangelio e per voi che scriveste   

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poi che l’ardente Spirto vi fé almi;

               
e credo in tre persone etterne, e queste   

               
credo una essenza sì una e sì trina,

141
         
che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este.’

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