Purgatorio (59 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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Poi piovve dentro a l’alta fantasia   

               
un crucifisso, dispettoso e fero   

27
           
ne la sua vista, e cotal si moria;

               
intorno ad esso era il grande Assüero,

               
Estèr sua sposa e ’l giusto Mardoceo,

30
           
che fu al dire e al far così intero.

               
E come questa imagine rompeo   

               
sé per sé stessa, a guisa d’una bulla

33
           
cui manca l’acqua sotto qual si feo,

               
surse in mia visïone una fanciulla   

               
piangendo forte, e dicea: “O regina,

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perché per ira hai voluto esser nulla?

               
Ancisa t’hai per non perder Lavina;

               
or m’hai perduta! Io son essa che lutto,

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madre, a la tua pria ch’a l’altrui ruina.”

               
Come si frange il sonno ove di butto   

               
nova luce percuote il viso chiuso,

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che fratto guizza pria che muoia tutto;

               
così l’imaginar mio cadde giuso

               
tosto che lume il volto mi percosse,

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maggior assai che quel ch’è in nostro uso.

               
I’ mi volgea per veder ov’ io fosse,

               
quando una voce disse “Qui si monta,”

48
           
che da ogne altro intento mi rimosse;

               
e fece la mia voglia tanto pronta

               
di riguardar chi era che parlava,

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che mai non posa, se non si raffronta.

               
Ma come al sol che nostra vista grava

               
e per soverchio sua figura vela,

54
           
così la mia virtù quivi mancava.

               
“Questo è divino spirito, che ne la   

               
via da ir sù ne drizza sanza prego,

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e col suo lume sé medesmo cela.

               
Sì fa con noi, come l’uom si fa sego;

               
ché quale aspetta prego e l’uopo vede,

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malignamente già si mette al nego.

               
Or accordiamo a tanto invito il piede

               
procacciam di salir pria che s’abbui,   

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ché poi non si poria, se ’l dì non riede.”

               
Così disse il mio duca, e io con lui

               
volgemmo i nostri passi ad una scala;

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e tosto ch’io al primo grado fui,

               
senti’mi presso quasi un muover d’ala

               
e ventarmi nel viso e dir: “
Beati
   

69
           
pacifici
, che son sanz’ ira mala!”

               
Già eran sovra noi tanto levati   

               
li ultimi raggi che la notte segue,

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che le stelle apparivan da più lati.

               
“O virtù mia, perché sì ti dilegue?”   

               
fra me stesso dicea, ché mi sentiva

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la possa de le gambe posta in triegue.

               
Noi eravam dove più non saliva

               
la scala sù, ed eravamo affissi,

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pur come nave ch’a la piaggia arriva.

               
E io attesi un poco, s’io udissi   

               
alcuna cosa nel novo girone;

81
           
poi mi volsi al maestro mio, e dissi:

               
“Dolce mio padre, dì, quale offensione   

               
si purga qui nel giro dove semo?

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Se i piè si stanno, non stea tuo sermone.”

               
Ed elli a me: “L’amor del bene, scemo

               
del suo dover, quiritta si ristora;

87
           
qui si ribatte il mal tardato remo.

               
Ma perché più aperto intendi ancora,   

               
volgi la mente a me, e prenderai

90
           
alcun buon frutto di nostra dimora.”

               
“Né creator né creatura mai,”   

   

               
cominciò el, “figliuol, fu sanza amore,

93
           
o naturale o d’animo; e tu ’l sai.   

               
Lo naturale è sempre sanza errore,

               
ma l’altro puote errar per malo obietto

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o per troppo o per poco di vigore.

               
Mentre ch’elli è nel primo ben diretto,   

               
e ne’ secondi sé stesso misura,

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esser non può cagion di mal diletto;

               
ma quando al mal si torce, o con più cura

               
o con men che non dee corre nel bene,

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contra ’l fattore adovra sua fattura.

               
Quinci comprender puoi ch’esser convene   

               
amor sementa in voi d’ogne virtute

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e d’ogne operazion che merta pene.

               
Or, perché mai non può da la salute   

               
amor del suo subietto volger viso,

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da l’odio proprio son le cose tute;

               
e perché intender non si può diviso,

               
e per sé stante, alcuno esser dal primo,

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da quello odiare ogne effetto è deciso.

               
Resta, se dividendo bene stimo,   

               
che ’l mal che s’ama è del prossimo; ed esso

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amor nasce in tre modi in vostro limo.

               
È chi, per esser suo vicin soppresso,

               
spera eccellenza, e sol per questo brama

117
         
ch’el sia di sua grandezza in basso messo;

               
è chi podere, grazia, onore e fama

               
teme di perder perch’ altri sormonti,

120
         
onde s’attrista sì che ’l contrario ama;

               
ed è chi per ingiuria par ch’aonti,

               
sì che si fa de la vendetta ghiotto,

123
         
e tal convien che ’l male altrui impronti.

               
Questo triforme amor qua giù di sotto   

               
si piange: or vo’ che tu de l’altro intende,   

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che corre al ben con ordine corrotto.

               
Ciascun confusamente un bene apprende   

               
nel qual si queti l’animo, e disira;

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per che di giugner lui ciascun contende.

               
Se lento amore a lui veder vi tira

               
o a lui acquistar, questa cornice,

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dopo giusto penter, ve ne martira.

               
Altro ben è che non fa l’uom felice;   

               
non è felicità, non è la buona

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essenza, d’ogne ben frutto e radice.

               
L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona,

               
di sovr’ a noi si piange per tre cerchi;

               
ma come tripartito si ragiona,

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tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi.”

PURGATORIO XVIII

               
Posto avea fine al suo ragionamento   

               
l’alto dottore, e attento guardava   

3
             
ne la mia vista s’io parea contento;

               
e io, cui nova sete ancor frugava,   

               
di fuor tacea, e dentro dicea: “Forse

6
             
lo troppo dimandar ch’io fo li grava.”

               
Ma quel padre verace, che s’accorse

               
del timido voler che non s’apriva,   

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parlando, di parlare ardir mi porse.

               
Ond’io: “Maestro, il mio veder s’avviva

               
sì nel tuo lume, ch’io discerno chiaro

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quanto la tua ragion parta o descriva.

               
Però ti prego, dolce padre caro,   

               
che mi dimostri amore, a cui reduci

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ogne buono operare e ’l suo contraro.”

               
“Drizza,” disse, “ver’ me l’agute luci

               
de lo ’ntelletto, e fieti manifesto   

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l’error de’ ciechi che si fanno duci.

               
L’animo, ch’è creato ad amar presto,   

               
ad ogne cosa è mobile che piace,

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tosto che dal piacere in atto è desto.

               
Vostra apprensiva da esser verace   

               
tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,

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sì che l’animo ad essa volger face;

               
e se, rivolto, inver’ di lei si piega,

               
quel piegare è amor, quell’ è natura

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che per piacer di novo in voi si lega.

               
Poi, come ’l foco movesi in altura   

               
per la sua forma ch’è nata a salire

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là dove più in sua matera dura,

               
così l’animo preso entra in disire,

               
ch’è moto spiritale, e mai non posa

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fin che la cosa amata il fa gioire.

               
Or ti puote apparer quant’ è nascosa   

               
la veritate a la gente ch’avvera

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ciascun amore in sé laudabil cosa;

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