Authors: Dante
Ma quando disse: “Lascia lui e varca;
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ché qui è buono con l’ali e coi remi,
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quantunque può, ciascun pinger sua barca”;
dritto sì come andar vuolsi rife’mi
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con la persona, avvegna che i pensieri
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mi rimanessero e chinati e scemi.
Io m’era mosso, e seguia volontieri
del mio maestro i passi, e amendue
ed el mi disse: “Volgi li occhi in giùe:
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buon ti sarà, per tranquillar la via,
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veder lo letto de le piante tue.”
Come, perché di lor memoria sia,
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sovra i sepolti le tombe terragne
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portan segnato quel ch’elli eran pria,
onde lì molte volte si ripiagne
per la puntura de la rimembranza,
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che solo a’ pïi dà de le calcagne;
sì vid’ io lì, ma di miglior sembianza
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secondo l’artificio, figurato
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quanto per via di fuor del monte avanza.
Vedea colui che fu nobil creato
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più ch’altra creatura, giù dal cielo
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folgoreggiando scender, da l’un lato.
Vedëa Brïareo fitto dal telo
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celestïal giacer, da l’altra parte,
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grave a la terra per lo mortal gelo.
Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte,
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armati ancora, intorno al padre loro,
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mirar le membra d’i Giganti sparte.
Vedea Nembròt a piè del gran lavoro
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quasi smarrito, e riguardar le genti
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che ’n Sennaàr con lui superbi fuoro.
O Nïobè, con che occhi dolenti
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vedea io te segnata in su la strada,
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tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!
O Saùl, come in su la propria spada
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quivi parevi morto in Gelboè,
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che poi non sentì pioggia né rugiada!
O folle Aragne, sì vedea io te
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già mezza ragna, trista in su li stracci
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de l’opera che mal per te si fé.
O Roboàm, già non par che minacci
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quivi ’l tuo segno; ma pien di spavento
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nel porta un carro, sanza ch’altri il cacci.
Mostrava ancor lo duro pavimento
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come Almeon a sua madre fé caro
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parer lo sventurato addornamento.
Mostrava come i figli si gittaro
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sovra Sennacherìb dentro dal tempio,
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e come, morto lui, quivi il lasciaro.
Mostrava la ruina e ’l crudo scempio
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che fé Tamiri, quando disse a Ciro:
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“Sangue sitisti, e io di sangue t’empio.”
Mostrava come in rotta si fuggiro
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li Assiri, poi che fu morto Oloferne,
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e anche le reliquie del martiro.
Vedeva Troia in cenere e in caverne;
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o Ilïón, come te basso e vile
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mostrava il segno che lì si discerne!
Qual di pennel fu maestro o di stile
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che ritraesse l’ombre e ’ tratti ch’ivi
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mirar farieno uno ingegno sottile?
Morti li morti e i vivi parean vivi:
non vide mei di me chi vide il vero,
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quant’ io calcai, fin che chinato givi.
Or superbite, e via col viso altero,
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figliuoli d’Eva, e non chinate il volto
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sì che veggiate il vostro mal sentero!
Più era già per noi del monte vòlto
e del cammin del sole assai più speso
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che non stimava l’animo non sciolto,
quando colui che sempre innanzi atteso
andava, cominciò: “Drizza la testa;
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Vedi colà un angel che s’appresta
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per venir verso noi; vedi che torna
Di reverenza il viso e li atti addorna,
sì che i diletti lo ’nvïarci in suso;
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pensa che questo dì mai non raggiorna!”
Io era ben del suo ammonir uso
pur di non perder tempo, sì che ’n quella
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materia non potea parlarmi chiuso.
A noi venìa la creatura bella,
biancovestito e ne la faccia quale
Le braccia aperse, e indi aperse l’ale;
disse: “Venite: qui son presso i gradi,
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e agevolemente omai si sale.
A questo invito vegnon molto radi:
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o gente umana, per volar sù nata,
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perché a poco vento così cadi?”
Menocci ove la roccia era tagliata;
quivi mi batté l’ali per la fronte;
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poi mi promise sicura l’andata.
Come a man destra, per salire al monte
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dove siede la chiesa che soggioga
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la ben guidata sopra Rubaconte,
si rompe del montar l’ardita foga
per le scalee che si fero ad etade
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ch’era sicuro il quaderno e la doga;
così s’allenta la ripa che cade
quivi ben ratta da l’altro girone;
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ma quinci e quindi l’alta pietra rade.
Noi volgendo ivi le nostre persone,
“Beati pauperes spiritu!”
voci
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Ahi quanto son diverse quelle foci
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da l’infernali! ché quivi per canti
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s’entra, e là giù per lamenti feroci.
Già montavam su per li scaglion santi,
ed esser mi parea troppo più lieve
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che per lo pian non mi parea davanti.
Ond’ io: “Maestro, dì, qual cosa greve
levata s’è da me, che nulla quasi
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per me fatica, andando, si riceve?”
Rispuose: “Quando i P che son rimasi
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ancor nel volto tuo presso che stinti,
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saranno, com’ è l’un, del tutto rasi,
fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti,
che non pur non fatica sentiranno,
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ma fia diletto loro esser sù pinti.”
Allor fec’ io come color che vanno
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con cosa in capo non da lor saputa,
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se non che ’ cenni altrui sospecciar fanno;
per che la mano ad accertar s’aiuta,
e cerca e truova e quello officio adempie
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che non si può fornir per la veduta;
e con le dita de la destra scempie
trovai pur sei le lettere che ’ncise
quel da le chiavi a me sovra le tempie:
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a che guardando, il mio duca sorrise.
Noi eravamo al sommo de la scala,
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dove secondamente si risega
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lo monte che salendo altrui dismala.
Ivi così una cornice lega
dintorno il poggio, come la primaia;
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se non che l’arco suo più tosto piega.
Ombra non lì è né segno che si paia:
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parsi la ripa e parsi la via schietta
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col livido color de la petraia.
“Se qui per dimandar gente s’aspetta,”
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ragionava il poeta, “io temo forse
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che troppo avrà d’indugio nostra eletta.”