Authors: Dante
Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri
anzi ad aprir ch’a tenerla serrata,
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pur che la gente a’ piedi mi s’atterri.”
Poi pinse l’uscio a la porta sacrata,
dicendo: “Intrate; ma facciovi accorti
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che di fuor torna chi ’n dietro si guata.”
E quando fuor ne’ cardini distorti
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li spigoli di quella regge sacra,
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che di metallo son sonanti e forti,
non rugghiò sì né si mostrò sì acra
Tarpëa, come tolto le fu il buono
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Metello, per che poi rimase macra.
Io mi rivolsi attento al primo tuono,
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e
“Te Deum laudamus”
mi parea
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udire in voce mista al dolce suono.
Tale imagine a punto mi rendea
ciò ch’io udiva, qual prender si suole
quando a cantar con organi si stea;
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ch’or sì or no s’intendon le parole.
Poi fummo dentro al soglio de la porta
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che ’l mal amor de l’anime disusa,
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perché fa parer dritta la via torta,
sonando la senti’ esser richiusa;
e s’io avesse li occhi vòlti ad essa,
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qual fora stata al fallo degna scusa?
Noi salavam per una pietra fessa,
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che si moveva e d’una e d’altra parte,
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sì come l’onda che fugge e s’appressa.
“Qui si conviene usare un poco d’arte,”
cominciò ’l duca mio, “in accostarsi
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or quinci, or quindi al lato che si parte.”
E questo fece i nostri passi scarsi,
tanto che pria lo scemo de la luna
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rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
che noi fossimo fuor di quella cruna;
ma quando fummo liberi e aperti
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sù dove il monte in dietro si rauna,
ïo stancato e amendue incerti
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di nostra via, restammo in su un piano
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solingo più che strade per diserti.
Da la sua sponda, ove confina il vano,
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al piè de l’alta ripa che pur sale,
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misurrebbe in tre volte un corpo umano;
e quanto l’occhio mio potea trar d’ale,
or dal sinistro e or dal destro fianco,
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questa cornice mi parea cotale.
Là sù non eran mossi i piè nostri anco,
quand’ io conobbi quella ripa intorno
esser di marmo candido e addorno
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d’intagli sì, che non pur Policleto,
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ma la natura lì avrebbe scorno.
L’angel che venne in terra col decreto
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de la molt’ anni lagrimata pace,
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ch’aperse il ciel del suo lungo divieto,
dinanzi a noi pareva sì verace
quivi intagliato in un atto soave,
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che non sembiava imagine che tace.
Giurato si saria ch’el dicesse
“Ave!”
;
perché iv’ era imaginata quella
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ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave;
e avea in atto impressa esta favella
“Ecce ancilla Deï,”
propriamente
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come figura in cera si suggella.
“Non tener pur ad un loco la mente,”
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disse ’l dolce maestro, che m’avea
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da quella parte onde ’l cuore ha la gente.
Per ch’i’ mi mossi col viso, e vedea
di retro da Maria, da quella costa
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onde m’era colui che mi movea,
un’altra storia ne la roccia imposta;
per ch’io varcai Virgilio, e fe’mi presso,
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acciò che fosse a li occhi miei disposta.
Era intagliato lì nel marmo stesso
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lo carro e ’ buoi, traendo l’arca santa,
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per che si teme officio non commesso.
Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
partita in sette cori, a’ due mie’ sensi
Similemente al fummo de li ’ncensi
che v’era imaginato, li occhi e ’l naso
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e al sì e al no discordi fensi.
Lì precedeva al benedetto vaso,
trescando alzato, l’umile salmista,
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e più e men che re era in quel caso.
Di contra, effigïata ad una vista
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d’un gran palazzo, Micòl ammirava
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sì come donna dispettosa e trista.
I’ mossi i piè del loco dov’ io stava,
per avvisar da presso un’altra istoria,
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che di dietro a Micòl mi biancheggiava.
I’ dico di Traiano imperadore;
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e una vedovella li era al freno,
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di lagrime atteggiate e di dolore.
Intorno a lui parea calcato e pieno
di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro
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sovr’ essi in vista al vento si movieno.
La miserella intra tutti costoro
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pareva dir: “Segnor, fammi vendetta
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di mio figliuol ch’è morto, ond’ io m’accoro”;
ed elli a lei rispondere: “Or aspetta
tanto ch’i’ torni”; e quella: “Segnor mio,”
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come persona in cui dolor s’affretta,
“se tu non torni?”; ed ei: “Chi fia dov’ io,
la ti farà”; ed ella: “L’altrui bene
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a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?”;
ond’ elli: “Or ti conforta; ch’ei convene
ch’i’ solva il mio dovere anzi ch’i’ mova:
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giustizia vuole e pietà mi ritene.”
Colui che mai non vide cosa nova
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produsse esto visibile parlare,
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novello a noi perché qui non si trova.
Mentr’ io mi dilettava di guardare
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l’imagini di tante umilitadi,
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e per lo fabbro loro a veder care,
“Ecco di qua, ma fanno i passi radi,”
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mormorava il poeta, “molte genti:
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questi ne ’nvïeranno a li alti gradi.”
Li occhi miei, ch’a mirare eran contenti
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per veder novitadi ond’ e’ son vaghi,
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volgendosi ver’ lui non furon lenti.
Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi
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di buon proponimento per udire
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come Dio vuol che ’l debito si paghi.
Non attender la forma del martìre:
pensa la succession; pensa ch’al peggio
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oltre la gran sentenza non può ire.
Io cominciai: “Maestro, quel ch’io veggio
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muovere a noi, non mi sembian persone,
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e non so che, sì nel veder vaneggio.”
Ed elli a me: “La grave condizione
di lor tormento a terra li rannicchia,
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sì che ’ miei occhi pria n’ebber tencione.
Ma guarda fiso là, e disviticchia
col viso quel che vien sotto a quei sassi:
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già scorger puoi come ciascun si picchia.”
O superbi cristian, miseri lassi,
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che, de la vista de la mente infermi,
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fidanza avete ne’ retrosi passi,
non v’accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l’angelica farfalla,
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che vola a la giustizia sanza schermi?