Authors: Dante
Poi disse un altro: “Deh, se quel disio
si compia che ti tragge a l’alto monte,
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con buona pïetate aiuta il mio!
Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
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Giovanna o altri non ha di me cura;
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per ch’io vo tra costor con bassa fronte.”
E io a lui: “Qual forza o qual ventura
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ti travïò sì fuor di Campaldino,
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che non si seppe mai tua sepultura?”
“Oh!” rispuos’ elli, “a piè del Casentino
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traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano,
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che sovra l’Ermo nasce in Apennino.
Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano,
arriva’ io forato ne la gola,
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fuggendo a piede e sanguinando il piano.
Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria fini’, e quivi
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caddi, e rimase la mia carne sola.
Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi:
l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
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gridava: ‘O tu del ciel, perché mi privi?
Tu te ne porti di costui l’etterno
per una lagrimetta che ’l mi toglie;
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ma io farò de l’altro altro governo!’
Ben sai come ne l’aere si raccoglie
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quell’ umido vapor che in acqua riede,
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tosto che sale dove ’l freddo il coglie.
Giunse quel mal voler che pur mal chiede
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con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento
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per la virtù che sua natura diede.
Indi la valle, come ’l dì fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
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sì che ’l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde, e a’ fossati venne
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di lei ciò che la terra non sofferse;
e come ai rivi grandi si convenne,
ver’ lo fiume real tanto veloce
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si ruinò, che nulla la ritenne.
Lo corpo mio gelato in su la foce
trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse
ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse;
voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
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poi di sua preda mi coperse e cinse.”
“Deh, quando tu sarai tornato al mondo
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e riposato de la lunga via,”
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seguitò ’l terzo spirito al secondo,
“ricorditi di me, che son la Pia;
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Siena mi fé, disfecemi Maremma:
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salsi colui che ’nnanellata pria
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disposando m’avea con la sua gemma.”
Quando si parte il gioco de la zara,
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colui che perde si riman dolente,
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repetendo le volte, e tristo impara;
con l’altro se ne va tutta la gente;
qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
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e qual dallato li si reca a mente;
el non s’arresta, e questo e quello intende;
a cui porge la man, più non fa pressa;
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e così da la calca si difende.
Tal era io in quella turba spessa,
volgendo a loro, e qua e là, la faccia,
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e promettendo mi sciogliea da essa.
Quivi pregava con le mani sporte
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Federigo Novello, e quel da Pisa
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che fé parer lo buon Marzucco forte.
Vidi conte Orso e l’anima divisa
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dal corpo suo per astio e per inveggia,
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com’ e’ dicea, non per colpa commisa;
Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,
mentr’ è di qua, la donna di Brabante,
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sì che però non sia di peggior greggia.
Come libero fui da tutte quante
quell’ ombre che pregar pur ch’altri prieghi,
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sì che s’avacci lor divenir sante,
io cominciai: “El par che tu mi nieghi,
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o luce mia, espresso in alcun testo
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che decreto del cielo orazion pieghi;
e questa gente prega pur di questo:
sarebbe dunque loro speme vana,
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o non m’è ’l detto tuo ben manifesto?”
Ed elli a me: “La mia scrittura è piana;
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e la speranza di costor non falla,
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se ben si guarda con la mente sana;
ché cima di giudicio non s’avvalla
perché foco d’amor compia in un punto
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ciò che de’ sodisfar chi qui s’astalla;
e là dov’ io fermai cotesto punto,
non s’ammendava, per pregar, difetto,
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perché ’l priego da Dio era disgiunto.
Veramente a così alto sospetto
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non ti fermar, se quella nol ti dice
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che lume fia tra ’l vero e lo ’ntelletto.
Non so se ’ntendi: io dico di Beatrice;
tu la vedrai di sopra, in su la vetta
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di questo monte, ridere e felice.”
E io: “Segnore, andiamo a maggior fretta,
ché già non m’affatico come dianzi,
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e vedi omai che ’l poggio l’ombra getta.”
“Noi anderem con questo giorno innanzi,”
rispuose, “quanto più potremo omai;
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ma ’l fatto è d’altra forma che non stanzi.
Prima che sie là sù, tornar vedrai
colui che già si cuopre de la costa,
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sì che ’ suoi raggi tu romper non fai.
Ma vedi là un’anima che, posta
sola soletta, inverso noi riguarda:
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quella ne ’nsegnerà la via più tosta.”
Venimmo a lei: o anima lombarda,
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come ti stavi altera e disdegnosa
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e nel mover de li occhi onesta e tarda!
Ella non ci dicëa alcuna cosa,
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ma lasciavane gir, solo sguardando
Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
che ne mostrasse la miglior salita;
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e quella non rispuose al suo dimando,
ma di nostro paese e de la vita
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ci ’nchiese; e ’l dolce duca incominciava
surse ver’ lui del loco ove pria stava,
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dicendo: “O Mantoano, io son Sordello
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de la tua terra!”; e l’un l’altro abbracciava.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
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nave sanza nocchiere in gran tempesta,
Quell’ anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
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di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
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di quei ch’un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
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s’alcuna parte in te di pace gode.
Che val perché ti racconciasse il freno
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Iustinïano, se la sella è vòta?
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Sanz’ esso fora la vergogna meno.
Ahi gente che dovresti esser devota,
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e lasciar seder Cesare in la sella,
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se bene intendi ciò che Dio ti nota,
guarda come esta fiera è fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
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poi che ponesti mano a la predella.