Authors: Dante
vedrai come a costui convien che vada
da l’un, quando a colui da l’altro fianco,
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se lo ’ntelletto tuo ben chiaro bada.”
“Certo, maestro mio,” diss’ io, “unquanco
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non vid’ io chiaro sì com’ io discerno
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là dove mio ingegno parea manco,
che ’l mezzo cerchio del moto superno,
che si chiama Equatore in alcun’ arte,
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e che sempre riman tra ’l sole e ’l verno,
per la ragion che di’, quinci si parte
verso settentrïon, quanto li Ebrei
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vedevan lui verso la calda parte.
Ma se a te piace, volontier saprei
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quanto avemo ad andar; ché ’l poggio sale
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più che salir non posson li occhi miei.”
Ed elli a me: “Questa montagna è tale,
che sempre al cominciar di sotto è grave;
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e quant’ om più va sù, e men fa male.
Però, quand’ ella ti parrà soave
tanto, che sù andar ti fia leggero
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com’ a seconda giù andar per nave,
allor sarai al fin d’esto sentiero;
quivi di riposar l’affanno aspetta.
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Più non rispondo, e questo so per vero.”
E com’ elli ebbe sua parola detta,
una voce di presso sonò: “Forse
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che di sedere in pria avrai distretta!”
Al suon di lei ciascun di noi si torse,
e vedemmo a mancina un gran petrone,
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del qual né io né ei prima s’accorse.
Là ci traemmo; e ivi eran persone
che si stavano a l’ombra dietro al sasso
E un di lor, che mi sembiava lasso,
sedeva e abbracciava le ginocchia,
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tenendo ’l viso giù tra esse basso.
“O dolce segnor mio,” diss’ io, “adocchia
colui che mostra sé più negligente
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che se pigrizia fosse sua serocchia.”
Allor si volse a noi e puose mente,
movendo ’l viso pur su per la coscia
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e disse: “Or va tu sù, che se’ valente!”
Conobbi allor chi era, e quella angoscia
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che m’avacciava un poco ancor la lena,
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non m’impedì l’andare a lui; e poscia
ch’a lui fu’ giunto, alzò la testa a pena,
dicendo: “Hai ben veduto come ’l sole
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da l’omero sinistro il carro mena?”
Li atti suoi pigri e le corte parole
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mosser le labbra mie un poco a riso;
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poi cominciai: “Belacqua, a me non dole
di te omai; ma dimmi: perché assiso
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quiritto se’? attendi tu iscorta,
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o pur lo modo usato t’ha’ ripriso?”
Ed elli: “O frate, andar in sù che porta?
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ché non mi lascerebbe ire a’ martìri
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l’angel di Dio che siede in su la porta.
Prima convien che tanto il ciel m’aggiri
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di fuor da essa, quanto fece in vita,
se orazïone in prima non m’aita
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che surga sù di cuor che in grazia viva;
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l’altra che val, che ’n ciel non è udita?”
E già il poeta innanzi mi saliva,
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e dicea: “Vienne omai; vedi ch’è tocco
meridïan dal sole, e a la riva
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cuopre la notte già col piè Morrocco.”
Io era già da quell’ ombre partito,
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e seguitava l’orme del mio duca,
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quando di retro a me, drizzando ’l dito,
una gridò: “Ve’ che non par che luca
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lo raggio da sinistra a quel di sotto,
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e come vivo par che si conduca!”
Li occhi rivolsi al suon di questo motto,
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e vidile guardar per maraviglia
“Perché l’animo tuo tanto s’impiglia,”
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disse ’l maestro, “che l’andare allenti?
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che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
Vien dietro a me, e lascia dir le genti:
sta come torre ferma, che non crolla
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già mai la cima per soffiar di venti;
ché sempre l’omo in cui pensier rampolla
sovra pensier, da sé dilunga il segno,
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perché la foga l’un de l’altro insolla.”
Che potea io ridir, se non “Io vegno”?
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Dissilo, alquanto del color consperso
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che fa l’uom di perdon talvolta degno.
E ’ntanto per la costa di traverso
venivan genti innanzi a noi un poco,
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cantando
“Miserere”
a verso a verso.
Quando s’accorser ch’i’ non dava loco
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per lo mio corpo al trapassar d’i raggi,
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mutar lor canto in un “oh!” lungo e roco;
e due di loro, in forma di messaggi,
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corsero incontr’ a noi e dimandarne:
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“Di vostra condizion fatene saggi.”
E ’l mio maestro: “Voi potete andarne
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e ritrarre a color che vi mandaro
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che ’l corpo di costui è vera carne.
Se per veder la sua ombra restaro,
com’ io avviso, assai è lor risposto:
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fàccianli onore, ed esser può lor caro.”
Vapori accesi non vid’ io sì tosto
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di prima notte mai fender sereno,
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né, sol calando, nuvole d’agosto,
che color non tornasser suso in meno;
e, giunti là, con li altri a noi dier volta,
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come schiera che scorre sanza freno.
“Questa gente che preme a noi è molta,
e vegnonti a pregar,” disse ’l poeta:
“O anima che vai per esser lieta
con quelle membra con le quai nascesti,”
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venian gridando, “un poco il passo queta.
Guarda s’alcun di noi unqua vedesti,
sì che di lui di là novella porti:
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deh, perché vai? deh, perché non t’arresti?
Noi fummo tutti già per forza morti,
e peccatori infino a l’ultima ora;
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quivi lume del ciel ne fece accorti,
sì che, pentendo e perdonando, fora
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di vita uscimmo a Dio pacificati,
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che del disio di sé veder n’accora.”
E io: “Perché ne’ vostri visi guati,
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non riconosco alcun; ma s’a voi piace
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cosa ch’io possa, spiriti ben nati,
voi dite, e io farò per quella pace
che, dietro a’ piedi di sì fatta guida,
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di mondo in mondo cercar mi si face.”
E uno incominciò: “Ciascun si fida
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del beneficio tuo sanza giurarlo,
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pur che ’l voler nonpossa non ricida.
Ond’ io, che solo innanzi a li altri parlo,
ti priego, se mai vedi quel paese
che tu mi sie di tuoi prieghi cortese
in Fano, sì che ben per me s’adori
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pur ch’i’ possa purgar le gravi offese.
Quindi fu’ io; ma li profondi fóri
ond’ uscì ’l sangue in sul quale io sedea,
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fatti mi fuoro in grembo a li Antenori,
là dov’ io più sicuro esser credea:
quel da Esti il fé far, che m’avea in ira
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assai più là che dritto non volea.