Purgatorio (46 page)

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Authors: Dante

BOOK: Purgatorio
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Ancora era quel popol di lontano,

               
i’ dico dopo i nostri mille passi,

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quanto un buon gittator trarria con mano,

               
quando si strinser tutti ai duri massi

               
de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti

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com’ a guardar, chi va dubbiando, stassi.   

               
“O ben finiti, o già spiriti eletti,”   

               
Virgilio incominciò, “per quella pace

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ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti,

               
ditene dove la montagna giace,

               
sì che possibil sia l’andare in suso;

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ché perder tempo a chi più sa più spiace.”

               
Come le pecorelle escon del chiuso   

               
a una, a due, a tre, e l’altre stanno

81
           
timidette atterrando l’occhio e ’l muso;

               
e ciò che fa la prima, e l’altre fanno,

               
addossandosi a lei, s’ella s’arresta,

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semplici e quete, e lo ’mperché non sanno;

               
sì vid’ io muovere a venir la testa

               
di quella mandra fortunata allotta,

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pudica in faccia e ne l’andare onesta.

               
Come color dinanzi vider rotta

               
la luce in terra dal mio destro canto,

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sì che l’ombra era da me a la grotta,

               
restaro, e trasser sé in dietro alquanto,

               
e tutti li altri che venieno appresso,

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non sappiendo ’l perché, fenno altrettanto.   

               
“Sanza vostra domanda io vi confesso   

               
che questo è corpo uman che voi vedete;

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per che ’l lume del sole in terra è fesso.

               
Non vi maravigliate, ma credete

               
che non sanza virtù che da ciel vegna

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cerchi di soverchiar questa parete.”

               
Così ’l maestro; e quella gente degna

               
“Tornate,” disse, “intrate innanzi dunque,”   

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coi dossi de la man faccendo insegna.

               
E un di loro incominciò: “Chiunque   

               
tu se’, così andando, volgi ’l viso:

105
         
pon mente se di là mi vedesti unque.”

               
Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso:

               
biondo era e bello e di gentile aspetto,   

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ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso.

               
Quand’ io mi fui umilmente disdetto

               
d’averlo visto mai, el disse: “Or vedi”;

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e mostrommi una piaga a sommo ’l petto.   

               
Poi sorridendo disse: “Io son Manfredi,   

               
nepote di Costanza imperadrice;   

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ond’ io ti priego che, quando tu riedi,

               
vadi a mia bella figlia, genetrice

               
de l’onor di Cicilia e d’Aragona,

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e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice.   

               
Poscia ch’io ebbi rotta la persona

               
di due punte mortali, io mi rendei,

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piangendo, a quei che volontier perdona.

               
Orribil furon li peccati miei;   

               
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,

123
         
che prende ciò che si rivolge a lei.

               
Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia   

               
di me fu messo per Clemente allora,

126
         
avesse in Dio ben letta questa faccia,

               
l’ossa del corpo mio sarieno ancora

               
in co del ponte presso a Benevento,

129
         
sotto la guardia de la grave mora.

               
Or le bagna la pioggia e move il vento   

               
di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde,   

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dov’ e’ le trasmutò a lume spento.

               
Per lor maladizion sì non si perde,

               
che non possa tornar, l’etterno amore,

135
         
mentre che la speranza ha fior del verde.

               
Vero è che quale in contumacia more

               
di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,

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star li convien da questa ripa in fore,

               
per ognun tempo ch’elli è stato, trenta,   

               
in sua presunzïon, se tal decreto

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più corto per buon prieghi non diventa.

               
Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto,

               
revelando a la mia buona Costanza   

               
come m’hai visto, e anco esto divieto;

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ché qui per quei di là molto s’avanza.”

PURGATORIO IV

               
Quando per dilettanze o ver per doglie,   

               
che alcuna virtù nostra comprenda,

3
             
l’anima bene ad essa si raccoglie,

               
par ch’a nulla potenza più intenda;

               
e questo è contra quello error che crede

6
             
ch’un’anima sovr’ altra in noi s’accenda.

               
E però, quando s’ode cosa o vede

               
che tegna forte a sé l’anima volta,

9
             
vassene ’l tempo e l’uom non se n’avvede;

               
ch’altra potenza è quella che l’ascolta,

               
e altra è quella c’ha l’anima intera:

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questa è quasi legata e quella è sciolta.

               
Di ciò ebb’ io esperïenza vera,

               
udendo quello spirto e ammirando;

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ché ben cinquanta gradi salito era

               
lo sole, e io non m’era accorto, quando   

               
venimmo ove quell’ anime ad una

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gridaro a noi: “Qui è vostro dimando.”

               
Maggiore aperta molte volte impruna   

               
con una forcatella di sue spine

21
           
l’uom de la villa quando l’uva imbruna,

               
che non era la calla onde salìne

               
lo duca mio, e io appresso, soli,

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come da noi la schiera si partìne.

               
Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,

               
montasi su in Bismantova e ’n Cacume   

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con esso i piè; ma qui convien ch’om voli;

               
dico con l’ale snelle e con le piume

               
del gran disio, di retro a quel condotto

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che speranza mi dava e facea lume.

               
Noi salavam per entro ’l sasso rotto,

               
e d’ogne lato ne stringea lo stremo,

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e piedi e man volea il suol di sotto.

               
Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo

               
de l’alta ripa, a la scoperta piaggia,

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“Maestro mio,” diss’ io, “che via faremo?”

               
Ed elli a me: “Nessun tuo passo caggia;   

               
pur su al monte dietro a me acquista,

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fin che n’appaia alcuna scorta saggia.”

               
Lo sommo er’ alto che vincea la vista,

               
e la costa superba più assai   

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che da mezzo quadrante a centro lista.

               
Io era lasso, quando cominciai:

               
“O dolce padre, volgiti, e rimira

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com’ io rimango sol, se non restai.”

               
“Figliuol mio,” disse, “infin quivi ti tira,”

               
additandomi un balzo poco in sùe

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che da quel lato il poggio tutto gira.

               
Sì mi spronaron le parole sue,

               
ch’i’ mi sforzai carpando appresso lui,   

51
           
tanto che ’l cinghio sotto i piè mi fue.

               
A seder ci ponemmo ivi ambedui   

               
vòlti a levante ond’ eravam saliti,

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che suole a riguardar giovare altrui.

               
Li occhi prima drizzai ai bassi liti;   

               
poscia li alzai al sole, e ammirava

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che da sinistra n’eravam feriti.

               
Ben s’avvide il poeta ch’ïo stava   

               
stupido tutto al carro de la luce,

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ove tra noi e Aquilone intrava.

               
Ond’ elli a me: “Se Castore e Poluce   

               
fossero in compagnia di quello specchio

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che sù e giù del suo lume conduce,

               
tu vedresti il Zodïaco rubecchio

               
ancora a l’Orse più stretto rotare,

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se non uscisse fuor del cammin vecchio.

               
Come ciò sia, se ’l vuoi poter pensare,   

               
dentro raccolto, imagina Sïòn

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con questo monte in su la terra stare

               
sì, ch’amendue hanno un solo orizzòn

               
e diversi emisperi; onde la strada

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che mal non seppe carreggiar Fetòn,

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