Authors: Dante
Indi mi tolse, e bagnato m’offerse
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dentro a la danza de le quattro belle;
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e ciascuna del braccio mi coperse.
“Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle;
pria che Beatrice discendesse al mondo,
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fummo ordinate a lei per sue ancelle.
Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo
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lume ch’è dentro aguzzeranno i tuoi
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le tre di là, che miran più profondo.”
Così cantando cominciaro; e poi
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al petto del grifon seco menarmi,
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ove Beatrice stava volta a noi.
Disser: “Fa che le viste non risparmi;
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posto t’avem dinanzi a li smeraldi
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ond’ Amor già ti trasse le sue armi.”
Mille disiri più che fiamma caldi
strinsermi li occhi a li occhi rilucenti,
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che pur sopra ’l grifone stavan saldi.
Come in lo specchio il sol, non altrimenti
la doppia fiera dentro vi raggiava,
Pensa, lettor, s’io mi maravigliava,
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quando vedea la cosa in sé star queta,
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e ne l’idolo suo si trasmutava.
Mentre che piena di stupore e lieta
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l’anima mia gustava di quel cibo
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che, saziando di sé, di sé asseta,
sé dimostrando di più alto tribo
ne li atti, l’altre tre si fero avanti,
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“Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi,”
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era la sua canzone, “al tuo fedele
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che, per vederti, ha mossi passi tanti!
Per grazia fa noi grazia che disvele
a lui la bocca tua, sì che discerna
O isplendor di viva luce etterna,
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chi palido si fece sotto l’ombra
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sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna,
che non paresse aver la mente ingombra,
tentando a render te qual tu paresti
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là dove armonizzando il ciel t’adombra,
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quando ne l’aere aperto ti solvesti?
Tant’ eran li occhi miei fissi e attenti
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a disbramarsi la decenne sete,
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che li altri sensi m’eran tutti spenti.
Ed essi quinci e quindi avien parete
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di non caler—così lo santo riso
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a sé traéli con l’antica rete!—;
quando per forza mi fu vòlto il viso
ver’ la sinistra mia da quelle dee,
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e la disposizion ch’a veder èe
ne li occhi pur testé dal sol percossi,
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sanza la vista alquanto esser mi fée.
Ma poi ch’al poco il viso riformossi
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(e dico “al poco” per rispetto al molto
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sensibile onde a forza mi rimossi),
vidi ’n sul braccio destro esser rivolto
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lo glorïoso essercito, e tornarsi
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col sole e con le sette fiamme al volto.
Come sotto li scudi per salvarsi
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volgesi schiera, e sé gira col segno,
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prima che possa tutta in sé mutarsi;
quella milizia del celeste regno
che procedeva, tutta trapassonne
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pria che piegasse il carro il primo legno.
Indi a le rote si tornar le donne,
e ’l grifon mosse il benedetto carco
La bella donna che mi trasse al varco
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e Stazio e io seguitavam la rota
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che fé l’orbita sua con minore arco.
Sì passeggiando l’alta selva vòta,
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colpa di quella ch’al serpente crese,
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temprava i passi un’angelica nota.
Forse in tre voli tanto spazio prese
disfrenata saetta, quanto eramo
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rimossi, quando Bëatrice scese.
Io senti’ mormorare a tutti “Adamo”;
poi cerchiaro una pianta dispogliata
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di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo.
La coma sua, che tanto si dilata
più quanto più è sù, fora da l’Indi
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ne’ boschi lor per altezza ammirata.
“Beato se’, grifon, che non discindi
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col becco d’esto legno dolce al gusto,
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poscia che mal si torce il ventre quindi.”
Così dintorno a l’albero robusto
gridaron li altri; e l’animal binato:
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“Sì si conserva il seme d’ogne giusto.”
E vòlto al temo ch’elli avea tirato,
trasselo al piè de la vedova frasca,
Come le nostre piante, quando casca
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giù la gran luce mischiata con quella
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che raggia dietro a la celeste lasca,
turgide fansi, e poi si rinovella
di suo color ciascuna, pria che ’l sole
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giunga li suoi corsier sotto altra stella;
men che di rose e più che di vïole
colore aprendo, s’innovò la pianta,
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che prima avea le ramora sì sole.
Io non lo ’ntesi, né qui non si canta
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l’inno che quella gente allor cantaro,
S’io potessi ritrar come assonnaro
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li occhi spietati udendo di Siringa,
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li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro;
come pintor che con essempro pinga,
disegnerei com’ io m’addormentai;
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ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga.
Però trascorro a quando mi svegliai,
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e dico ch’un splendor mi squarciò ’l velo
Quali a veder de’ fioretti del melo
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che del suo pome li angeli fa ghiotti
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e perpetüe nozze fa nel cielo,
Pietro e Giovanni e Iacopo condotti
e vinti, ritornaro a la parola
tal torna’ io, e vidi quella pia
sovra me starsi che conducitrice
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fu de’ miei passi lungo ’l fiume pria.
E tutto in dubbio dissi: “Ov’ è Beatrice?”
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Ond’ ella: “Vedi lei sotto la fronda
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nova sedere in su la sua radice.
Vedi la compagnia che la circonda:
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li altri dopo ’l grifon sen vanno suso
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con più dolce canzone e più profonda.”
E se più fu lo suo parlar diffuso,
non so, però che già ne li occhi m’era
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quella ch’ad altro intender m’avea chiuso.
Sola sedeasi in su la terra vera,
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come guardia lasciata lì del plaustro
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che legar vidi a la biforme fera.
In cerchio le facevan di sé claustro
le sette ninfe, con quei lumi in mano
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che son sicuri d’Aquilone e d’Austro.
“Qui sarai tu poco tempo silvano;
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e sarai meco sanza fine cive
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di quella Roma onde Cristo è romano.