Authors: Dante
lo gel che m’era intorno al cor ristretto,
spirito e acqua fessi, e con angoscia
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de la bocca e de li occhi uscì del petto.
Ella, pur ferma in su la detta coscia
del carro stando, a le sustanze pie
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volse le sue parole così poscia:
“Voi vigilate ne l’etterno die,
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sì che notte né sonno a voi non fura
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passo che faccia il secol per sue vie;
onde la mia risposta è con più cura
che m’intenda colui che di là piagne,
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perché sia colpa e duol d’una misura.
Non pur per ovra de le rote magne,
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che drizzan ciascun seme ad alcun fine
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secondo che le stelle son compagne,
ma per larghezza di grazie divine,
che sì alti vapori hanno a lor piova,
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che nostre viste là non van vicine,
questi fu tal ne la sua vita nova
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virtüalmente, ch’ogne abito destro
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fatto averebbe in lui mirabil prova.
Ma tanto più maligno e più silvestro
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si fa ’l terren col mal seme e non cólto,
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quant’ elli ha più di buon vigor terrestro.
Alcun tempo il sostenni col mio volto:
mostrando li occhi giovanetti a lui,
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meco il menava in dritta parte vòlto.
Sì tosto come in su la soglia fui
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di mia seconda etade e mutai vita,
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questi si tolse a me, e diessi altrui.
Quando di carne a spirto era salita,
e bellezza e virtù cresciuta m’era,
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fu’ io a lui men cara e men gradita;
e volse i passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,
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che nulla promession rendono intera.
Né l’impetrare ispirazion mi valse,
con le quali e in sogno e altrimenti
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lo rivocai: sì poco a lui ne calse!
Tanto giù cadde, che tutti argomenti
a la salute sua eran già corti,
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fuor che mostrarli le perdute genti.
Per questo visitai l’uscio d’i morti,
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e a colui che l’ha qua sù condotto,
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li preghi miei, piangendo, furon porti.
Alto fato di Dio sarebbe rotto,
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se Letè si passasse e tal vivanda
fosse gustata sanza alcuno scotto
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di pentimento che lagrime spanda.”
“O tu che se’ di là dal fiume sacro,”
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volgendo suo parlare a me per punta,
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che pur per taglio m’era paruto acro,
ricominciò, seguendo sanza cunta,
“dì, dì se questo è vero; a tanta accusa
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tua confession conviene esser congiunta.”
Era la mia virtù tanto confusa,
che la voce si mosse, e pria si spense
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che da li organi suoi fosse dischiusa.
Poco sofferse; poi disse: “Che pense?
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Rispondi a me; ché le memorie triste
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in te non sono ancor da l’acqua offense.”
Confusione e paura insieme miste
mi pinsero un tal “si” fuor de la bocca,
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al quale intender fuor mestier le viste.
Come balestro frange, quando scocca
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da troppa tesa, la sua corda e l’arco,
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e con men foga l’asta il segno tocca,
sì scoppia’ io sottesso grave carco,
fuori sgorgando lagrime e sospiri,
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e la voce allentò per lo suo varco.
Ond’ ella a me: “Per entro i mie’ disiri,
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che ti menavano ad amar lo bene
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di là dal qual non è a che s’aspiri,
quai fossi attraversati o quai catene
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trovasti, per che del passare innanzi
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dovessiti così spogliar la spene?
E quali agevolezze o quali avanzi
ne la fronte de li altri si mostraro,
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per che dovessi lor passeggiare anzi?”
Dopo la tratta d’un sospiro amaro,
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a pena ebbi la voce che rispuose,
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e le labbra a fatica la formaro.
Piangendo dissi: “Le presenti cose
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col falso lor piacer volser miei passi,
Ed ella: “Se tacessi o se negassi
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ciò che confessi, non fora men nota
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la colpa tua: da tal giudice sassi!
Ma quando scoppia de la propria gota
l’accusa del peccato, in nostra corte
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rivolge sé contra ’l taglio la rota.
Tuttavia, perché mo vergogna porte
del tuo errore, e perché altra volta,
pon giù il seme del piangere e ascolta:
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sì udirai come in contraria parte
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mover dovieti mia carne sepolta.
Mai non t’appresentò natura o arte
piacer, quanto le belle membra in ch’io
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rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte;
e se ’l sommo piacer sì ti fallio
per la mia morte, qual cosa mortale
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dovea poi trarre te nel suo disio?
Ben ti dovevi, per lo primo strale
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de le cose fallaci, levar suso
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di retro a me che non era più tale.
Non ti dovea gravar le penne in giuso,
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ad aspettar più colpo, o pargoletta
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o altra novità con sì breve uso.
Novo augelletto due o tre aspetta;
ma dinanzi da li occhi d’i pennuti
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rete si spiega indarno o si saetta.”
Quali fanciulli, vergognando, muti
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con li occhi a terra stannosi, ascoltando
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e sé riconoscendo e ripentuti,
tal mi stav’ io; ed ella disse: “Quando
per udir se’ dolente, alza la barba,
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e prenderai più doglia riguardando.”
Con men di resistenza si dibarba
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robusto cerro, o vero al nostral vento
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o vero a quel de la terra di Iarba,
ch’io non levai al suo comando il mento;
e quando per la barba il viso chiese,
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ben conobbi il velen de l’argomento.
E come la mia faccia si distese,
posarsi quelle prime creature
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da loro aspersïon l’occhio comprese;
e le mie luci, ancor poco sicure,
vider Beatrice volta in su la fiera
Sotto ’l suo velo e oltre la rivera
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vincer pariemi più sé stessa antica,
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vincer che l’altre qui, quand’ ella c’era.
Di penter sì mi punse ivi l’ortica,
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che di tutte altre cose qual mi torse
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più nel suo amor, più mi si fé nemica.
Tanta riconoscenza il cor mi morse,
ch’io caddi vinto; e quale allora femmi,
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salsi colei che la cagion mi porse.
Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi,
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la donna ch’io avea trovata sola
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sopra me vidi, e dicea: “Tiemmi, tiemmi!”
Tratto m’avea nel fiume infin la gola,
e tirandosi me dietro sen giva
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sovresso l’acqua lieve come scola.
Quando fui presso a la beata riva,
“Asperges me”
sì dolcemente udissi,
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che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva.