Authors: Dante
Or sai nostri atti e di che fummo rei:
se forse a nome vuo’ saper chi semo,
Farotti ben di me volere scemo:
son Guido Guinizzelli, e già mi purgo
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Quali ne la tristizia di Ligurgo
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si fer due figli a riveder la madre,
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tal mi fec’ io, ma non a tanto insurgo,
quand’ io odo nomar sé stesso il padre
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mio e de li altri miei miglior che mai
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rime d’amor usar dolci e leggiadre;
e sanza udire e dir pensoso andai
lunga fïata rimirando lui,
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né, per lo foco, in là più m’appressai.
Poi che di riguardar pasciuto fui,
tutto m’offersi pronto al suo servigio
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con l’affermar che fa credere altrui.
Ed elli a me: “Tu lasci tal vestigio,
per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro,
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che Letè nol può tòrre né far bigio.
Ma se le tue parole or ver giuraro,
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dimmi che è cagion per che dimostri
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nel dire e nel guardar d’avermi caro.”
E io a lui: “Li dolci detti vostri,
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che, quanto durerà l’uso moderno,
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faranno cari ancora i loro incostri.”
“O frate,” disse, “questi ch’io ti cerno
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col dito,” e additò un spirto innanzi,
Versi d’amore e prose di romanzi
soverchiò tutti; e lascia dir li stolti
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che quel di Lemosì credon ch’avanzi.
A voce più ch’al ver drizzan li volti,
e così ferman sua oppinïone
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prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti.
Così fer molti antichi di Guittone,
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di grido in grido pur lui dando pregio,
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fin che l’ha vinto il ver con più persone.
Or se tu hai sì ampio privilegio,
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che licito ti sia l’andare al chiostro
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nel quale è Cristo abate del collegio,
falli per me un dir d’un paternostro,
quanto bisogna a noi di questo mondo,
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dove poter peccar non è più nostro.”
Poi, forse per dar luogo altrui secondo
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che presso avea, disparve per lo foco,
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come per l’acqua il pesce andando al fondo.
Io mi fei al mostrato innanzi un poco,
e dissi ch’al suo nome il mio disire
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apparecchiava grazïoso loco.
El cominciò liberamente a dire:
“Tan m’abellis vostre cortes deman,
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qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
consiros vei la passada folor,
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e vei jausen lo joi qu’esper, denan.
Ara vos prec, per aquella valor
que vos guida al som de l’escalina,
sovenha vos a temps de ma dolor!”
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Poi s’ascose nel foco che li affina.
Sì come quando i primi raggi vibra
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là dove il suo fattor lo sangue sparse,
e l’onde in Gange da nona rïarse,
sì stava il sole; onde ’l giorno sen giva,
Fuor de la fiamma stava in su la riva,
e cantava
“Beati mundo corde!”
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in voce assai più che la nostra viva.
Poscia “Più non si va, se pria non morde,
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anime sante, il foco: intrate in esso,
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e al cantar di là non siate sorde,”
ci disse come noi li fummo presso;
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per ch’io divenni tal, quando lo ’ntesi,
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qual è colui che ne la fossa è messo.
In su le man commesse mi protesi,
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guardando il foco e imaginando forte
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umani corpi già veduti accesi.
Volsersi verso me le buone scorte;
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e Virgilio mi disse: “Figliuol mio,
Credi per certo che se dentro a l’alvo
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di questa fiamma stessi ben mille anni,
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non ti potrebbe far d’un capel calvo.
E se tu forse credi ch’io t’inganni,
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fatti ver’ lei, e fatti far credenza
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con le tue mani al lembo d’i tuoi panni.
Pon giù omai, pon giù ogne temenza;
volgiti in qua e vieni: entra sicuro!”
Quando mi vide star pur fermo e duro,
turbato un poco disse: “Or vedi, figlio:
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tra Bëatrice e te è questo muro.”
Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
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Piramo in su la morte, e riguardolla,
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allor che ’l gelso diventò vermiglio;
così, la mia durezza fatta solla,
mi volsi al savio duca, udendo il nome
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che ne la mente sempre mi rampolla.
Ond’ ei crollò la fronte e disse: “Come!
volenci star di qua?”; indi sorrise
Poi dentro al foco innanzi mi si mise,
pregando Stazio che venisse retro,
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che pria per lunga strada ci divise.
Sì com’ fui dentro, in un bogliente vetro
gittato mi sarei per rinfrescarmi,
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tant’ era ivi lo ’ncendio sanza metro.
Lo dolce padre mio, per confortarmi,
pur di Beatrice ragionando andava,
“Venite, benedicti Patris mei,”
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sonò dentro a un lume che lì era,
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tal che mi vinse e guardar nol potei.
“Lo sol sen va,” soggiunse, “e vien la sera;
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non v’arrestate, ma studiate il passo,
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mentre che l’occidente non si annera.”
Dritta salia la via per entro ’l sasso
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verso tal parte ch’io toglieva i raggi
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dinanzi a me del sol ch’era già basso.
E di pochi scaglion levammo i saggi,
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che ’l sol corcar, per l’ombra che si spense,
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sentimmo dietro e io e li miei saggi.
E pria che ’n tutte le sue parti immense
fosse orizzonte fatto d’uno aspetto,
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e notte avesse tutte sue dispense,
ciascun di noi d’un grado fece letto;
ché la natura del monte ci affranse
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la possa del salir più e ’l diletto.
Quali si stanno ruminando manse
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le capre, state rapide e proterve
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sovra le cime avante che sien pranse,
tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve,
guardate dal pastor, che ’n su la verga
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poggiato s’è e lor di posa serve;
e quale il mandrïan che fori alberga,
lungo il pecuglio suo queto pernotta,
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guardando perché fiera non lo sperga;