Authors: Dante
ma leggi Ezechïel, che li dipigne
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come li vide da la fredda parte
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venir con vento e con nube e con igne;
e quali i troverai ne le sue carte,
tali eran quivi, salvo ch’a le penne
Lo spazio dentro a lor quattro contenne
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un carro, in su due rote, trïunfale,
Esso tendeva in sù l’una e l’altra ale
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tra la mezzana e le tre e tre liste,
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sì ch’a nulla, fendendo, facea male.
Tanto salivan che non eran viste;
le membra d’oro avea quant’ era uccello,
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e bianche l’altre, di vermiglio miste.
Non che Roma di carro così bello
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rallegrasse Affricano, o vero Augusto,
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ma quel del Sol saria pover con ello;
quel del Sol che, svïando, fu combusto
per l’orazion de la Terra devota,
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quando fu Giove arcanamente giusto.
Tre donne in giro da la destra rota
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venian danzando; l’una tanto rossa
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ch’a pena fora dentro al foco nota;
l’altr’ era come se le carni e l’ossa
fossero state di smeraldo fatte;
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la terza parea neve testé mossa;
e or parëan da la bianca tratte,
or da la rossa; e dal canto di questa
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l’altre toglien l’andare e tarde e ratte.
Da la sinistra quattro facean festa,
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in porpore vestite, dietro al modo
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d’una di lor ch’avea tre occhi in testa.
Appresso tutto il pertrattato nodo
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vidi due vecchi in abito dispari,
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ma pari in atto e onesto e sodo.
L’un si mostrava alcun de’ famigliari
di quel sommo Ipocràte che natura
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a li animali fé ch’ell’ ha più cari;
mostrava l’altro la contraria cura
con una spada lucida e aguta,
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tal che di qua dal rio mi fé paura.
Poi vidi quattro in umile paruta;
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e di retro da tutti un vecchio solo
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venir, dormendo, con la faccia arguta.
E questi sette col primaio stuolo
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erano abitüati, ma di gigli
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dintorno al capo non facëan brolo,
anzi di rose e d’altri fior vermigli;
giurato avria poco lontano aspetto
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che tutti ardesser di sopra da’ cigli.
E quando il carro a me fu a rimpetto,
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un tuon s’udì, e quelle genti degne
parvero aver l’andar più interdetto,
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fermandosi ivi con le prime insegne.
Quando il settentrïon del primo cielo,
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che né occaso mai seppe né orto
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né d’altra nebbia che di colpa velo,
e che faceva lì ciascuno accorto
di suo dover, come ’l più basso face
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qual temon gira per venire a porto,
fermo s’affisse: la gente verace,
venuta prima tra ’l grifone ed esso,
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al carro volse sé come a sua pace;
e un di loro, quasi da ciel messo,
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“Veni, sponsa, de Libano”
cantando
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gridò tre volte, e tutti li altri appresso.
Quali i beati al novissimo bando
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surgeran presti ognun di sua caverna,
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la revestita voce alleluiando,
cotali in su la divina basterna
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si levar cento,
ad vocem tanti senis
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ministri e messagger di vita etterna.
Io vidi già nel cominciar del giorno
la parte orïental tutta rosata,
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e l’altro ciel di bel sereno addorno;
e la faccia del sol nascere ombrata,
sì che per temperanza di vapori
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l’occhio la sostenea lunga fïata:
così dentro una nuvola di fiori
che da le mani angeliche saliva
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e ricadeva in giù dentro e di fori,
sovra candido vel cinta d’uliva
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donna m’apparve, sotto verde manto
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vestita di color di fiamma viva.
E lo spirito mio, che già cotanto
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tempo era stato ch’a la sua presenza
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non era di stupor, tremando, affranto,
sanza de li occhi aver più conoscenza,
per occulta virtù che da lei mosse,
Tosto che ne la vista mi percosse
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l’alta virtù che già m’avea trafitto
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prima ch’io fuor di püerizia fosse,
volsimi a la sinistra col respitto
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col quale il fantolin corre a la mamma
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quando ha paura o quando elli è afflitto,
per dicere a Virgilio: “Men che dramma
di sangue m’è rimaso che non tremi:
Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
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di sé, Virgilio dolcissimo patre,
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Virgilio a cui per mia salute die’mi;
né quantunque perdeo l’antica matre,
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valse a le guance nette di rugiada
“Dante, perché Virgilio se ne vada,
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non pianger anco, non piangere ancora;
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ché pianger ti conven per altra spada.”
Quasi ammiraglio che in poppa e in prora
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viene a veder la gente che ministra
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per li altri legni, e a ben far l’incora;
in su la sponda del carro sinistra,
quando mi volsi al suon del nome mio,
vidi la donna che pria m’appario
velata sotto l’angelica festa,
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drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio.
Tutto che ’l vel che le scendea di testa,
cerchiato de le fronde di Minerva,
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non la lasciasse parer manifesta,
regalmente ne l’atto ancor proterva
continüò come colui che dice
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e ’l più caldo parlar dietro reserva:
“Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice.
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Come degnasti d’accedere al monte?
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non sapei tu che qui è l’uom felice?”
Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte;
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ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba,
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tanta vergogna mi gravò la fronte.
Così la madre al figlio par superba,
com’ ella parve a me; perché d’amaro
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sente il sapor de la pietade acerba.
Ella si tacque; e li angeli cantaro
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di sùbito
“In te, Domine, speravi”
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ma oltre
“pedes meos”
non passaro.
Sì come neve tra le vive travi
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per lo dosso d’Italia si congela,
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soffiata e stretta da li venti schiavi,
poi, liquefatta, in sé stessa trapela,
pur che la terra che perde ombra spiri,
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sì che par foco fonder la candela;
così fui sanza lagrime e sospiri
anzi ’l cantar di quei che notan sempre
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dietro a le note de li etterni giri;