Ritual (21 page)

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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Ritual
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«E quando avete finito spedite le carcasse nella Stanza degli insetti?»

Kate annuì. «Quasi sempre, sì.»

Rolk si accostò ai grandi contenitori allineati lungo una parete. Come quelli che aveva visto in precedenza, erano pieni di cadaveri di animali avvolti in teli di stoffa. Si rialzò e cominciò a guardarsi intorno, mentre Kate, ferma sulla porta, lo osservava.

«So che cosa sta pensando,» disse alla fine.

Rolk si voltò verso di lei. «Cioè?»

«Le teste di quelle donne potrebbero essere state nascoste qui, e la cosa non avrebbe presentato particolari difficoltà.»

«Oppure eliminate nella vostra Stanza degli insetti.»

«Santo Dio. A questa possibilità non avevo pensato.»

«In realtà non sono qui solo per questo,» si affrettò a spiegare Rolk. «Pensavo piuttosto che sarebbe possibile nascondere praticamente qualunque cosa in questo museo. Per esempio un'arma. E probabilmente non verrebbe mai ritrovata.»

«Oh, non è vero,» lo contraddisse Kate. «Sarebbero necessari forse dieci anni, ma alla fine qualcuno la troverebbe.»

 

L'ufficio di Kate si apriva sulla destra di un laboratorio traboccante di manufatti maya. Seduto davanti a lei, Rolk riesaminò gli appunti presi nel corso delle quattro ore abbondanti richieste dalla visita.

«Il giro le è stato di qualche aiuto?» domandò lei.

«Direi che ha aumentato la confusione. Ma, si sa, la confusione precede sempre la soluzione.»

Lei si lasciò sfuggire una risatina. «Lei è proprio un uomo strano. Sembra più uno studioso di storia che un poliziotto.»

«Mi hanno definito in molti modi, mai però uno studioso.»

Kate piegò la testa di lato. «Neppure quando si tratta di omicidio?» E sorrise.

Rolk abbassò il blocco notes che teneva in mano. «Forse,» ammise, «assomiglio un po' alla gente che lavora qui. Tendo ad avere una visione troppo ristretta della disciplina di cui mi occupo. Ma non perché la ami.»

«È per questo che se ne va in giro con una pistola scarica?»

Lui fece un cenno di diniego. «Molto tempo fa ho imparato che un'arma tende a ridurre la capacità di pensare. Ce l'hai, sai di averla, e quando qualcuno ti si mette contro sei incline ad affidarti a essa, piuttosto che a escogitare il modo di sfuggire a quella sgradevole situazione.»

Kate guardava i suoi occhi, pensando a come apparissero saggi e stanchi. «Credevo che la polizia avesse regolamenti precisi riguardo alle armi. Credevo che foste costretti a portarle sempre. Cariche, voglio dire.»

«Oh, abbiamo un sacco di regole. Un libro intero. Sfortunatamente, un libro più utile come fermacarte che altro. Inoltre io detesto le armi. Di rado le ho viste impiegate in modo costruttivo.»

«Lei è un uomo strano, Rolk,» ripeté Kate. «Così com'è strano il suo nome.»

Questa volta il sorriso di lui fu genuino. «Non mi sono sempre chiamato così.»

Kate lo guardò con aria interrogativa, sollecitandolo a dire di più.

«Stanislaus Rolk,» rise lui. «Quando mi preparavo a entrare nella polizia, quasi trent'anni fa, il mio nome vero era Stanley Rolkacheweicz.» Fece una smorfia, come se quelle due parole avessero un gusto strano. «Ma al giorno d'oggi, se aspiri a fare il poliziotto, te la cavi molto meglio con un nome italiano o irlandese, oppure con uno che
non
abbia una radice etnica troppo palese. Così l'ho cambiato in Rolk. In seguito, poi, mi sono reso conto di quanto fosse idiota attribuire importanza a cose come queste, ma mi sembrava troppo complicato tornare al nome d'origine, e ho cominciato a usare semplicemente Stanislaus. Alcuni miei colleghi non l'hanno presa bene, ma non c'era nulla che potessero fare, se non tentare di dissuadermi.»

«E naturalmente non ci sono riusciti,» rise Kate.

«Se non ci avessero tentato, probabilmente avrei dimenticato tutto nel giro di pochi mesi. Ma poiché non intendevano smettere, alla fine Stanislaus Rolk è diventato uno dei classici della Divisione Investigativa.»

«Parla un po' come la dottoressa Mallory, sa? Anche nell'ambiente dei musei ci sono parecchi pregiudizi, sebbene qui siano vincenti soprattutto quelli che sono maschi e WASP. Lei ha scelto un approccio audace al riguardo - rischio intellettuale, lo definirei - e ha funzionato.» Parlando, Kate giocherellava con una matita. «Se questa mostra avrà successo, e secondo le previsioni dovrebbe averne, perfino i vecchi caporioni che qui controllano tutto avranno qualche problema a intralciarle la strada.»

«La si direbbe molto affezionata alla dottoressa,» osservò Rolk. «A dispetto delle divergenze esistenti tra voi.

«La rispetto.»

«È ancora decisa a venire in Messico con me? C'è sempre la possibilità che salti fuori qualcosa che la danneggi, invece di aiutarla.»

Per un attimo gli occhi di Kate si rannuvolarono, come se le fosse stata prospettata una possibilità del tutto nuova. «Non ne sono certa,» ammise alla fine. E in effetti, quando al mattino Rolk le aveva fatto quella proposta, la sua prima reazione era stata confusa. Ma lui l'aveva guardata come se prevedesse un rifiuto e ora si chiese se non avesse acconsentito solo perché non le andava l'idea che Rolk pensasse che voleva tenerlo a distanza. «Crede davvero di poter scoprire qualcuno che possa nuocere a Grace?» domandò.

«Non si può mai dire,» fu l'insoddisfacente risposta. «Allora, che cosa ha deciso?»

Kate lo guardò e tentò, senza successo, di sorridere. «Verrò. Ma sono certa che non troverà nulla che possa danneggiare Grace,» aggiunse, chiedendosi se ne fosse davvero così sicura.

«Sono contento che venga,» mormorò Rolk, prendendole la mano.

Questa volta a Kate non costò alcuna fatica sorridere. «Anch'io.»

 

18

 

Grace Mallory misurava a grandi passi il suo ufficio, dalla finestra alla scrivania e poi di nuovo alla finestra. La situazione le stava sfuggendo di mano... l'intrusione della polizia nel suo lavoro, tra la sua gente. E ora Kate che sarebbe rimasta lontana più a lungo di quanto lei avesse programmato, per aiutare quel poliziotto a Chichén Itzá. Chichén Itzá. Grace ricordava gli omicidi verificatisi laggiù, i riti di sangue cominciati quasi un anno prima. Le erano tornati alla mente appena era stata informata della morte della prima donna, nel parco. Ma era una coincidenza. Doveva esserlo.

Non ne aveva parlato a Rolk - aveva addirittura negato di saperne qualcosa - perché voleva proteggere la mostra da un'altra ondata di sensazionalismo. Perfino Malcolm aveva taciuto con il poliziotto, e lei era certa che l'avesse fatto per lo stesso motivo. Serrò le mani a pugno. Già si era parlato troppo della pubblicità che gli assassinii avrebbero generato e dell'attenzione pubblica che probabilmente si sarebbe accentrata sulla mostra, incrementando l'afflusso di visitatori. Erano chiacchiere nocive e non potevano che contaminare la purezza intellettuale del suo lavoro, trasformando la bellezza della civiltà tolteca e dei suoi riti religiosi in un grottesco spettacolo di bassa lega. No, non poteva permettere che questo accadesse.

Si portò una mano alla nuca. La tensione cresceva; l'avvertiva soprattutto in quel punto e nelle spalle. Aveva bisogno di un po' di sollievo, di rilassarsi. Lavorava troppo, lottando per fare di quella mostra tutto quello che poteva, che doveva essere.

Scosse la testa. C'erano state giornate in cui non riusciva neppure a ricordare i programmi fatti il giorno prima. Una sorta di blocco mnemonico dovuto alla fatica. E adesso il lavoro sarebbe aumentato ancora e così la pressione, in un crescendo che avrebbe avuto fine solo con l'apertura della mostra. Malcolm, poi, non le era di alcun aiuto e si crogiolava nell'agitazione creata dalle indagini, godendone ogni minuto. Lei l'aveva trattato come un figlio, l'aveva aiutato, istruito. Aveva corretto i suoi errori, stroncando le assurde, sregolate ipotesi che il giovane aveva postulato riguardo ai rituali toltechi. Nozioni che aveva evidentemente raccolto tra gli indigeni con cui lavoravano, senza mai rendersi conto di quanto fosse imprecisa e impura la loro visione della religione. Così armoniosa, così perfetta, se vista nell'ottica giusta, nel corretto contesto storico. Dio, come le sarebbe piaciuto vivere in quell'epoca. Per ammirare la creazione delle grandi opere d'arte e di architettura. Per assistere dal vivo al rito che aveva luogo nello Sferisterio, invece di doversi accontentare di geroglifici in rilievo. Sorrise tra sé. Il sogno di ogni archeologo, di ogni antropologo. Il sogno di ogni
essere umano
: vivere il passato e conoscere il futuro.

Tornò alla scrivania e abbassò gli occhi sulla maschera di Ek Chuah. Ne aveva esaminato un'altra nei giorni precedenti, ma quale? Non riusciva a ricordare. Al diavolo lo stress da superlavoro! Al diavolo anche la mostra. No, la mostra no. La mostra mai.

«Grace?»

Alzò gli occhi al suono della voce di Kate e, accantonando ogni altro pensiero, le sorrise invitandola a entrare. «Hai finito con i tuoi amici della polizia?» chiese.

«Credo di sì. Spero di sì. Almeno per oggi.» La giovane si lasciò cadere sulla sedia di fronte alla scrivania. «Sono esausta,» confessò. «È passato molto tempo da quando ho tentato di visitare il museo intero in un solo giorno. Grazie a Dio, non ha voluto esaminare anche le stanze aperte al pubblico.»

«E, a quanto ne so, dopo Città del Messico dovrai andare a Chichén Itzá,» disse Grace.

Kate la sbirciò di sottecchi, tentando di scoprire in lei eventuali tracce di irritazione, ma il viso della donna non rivelava nulla. «Mi rendo conto che questo interferirà con il nostro lavoro e me ne dispiace. Ma non ho trovato una scusa decente per rifiutare.»

«Avresti voluto farlo?» La voce di Grace era piatta, indifferente.

Kate non voleva mentire, ma sentiva di doverlo fare. «Moltissimo. Proprio non vedo come potrò rendermi utile, là. Questo è il mio posto. È con te e Malcolm che devo lavorare.»

Grace si alzò, le andò vicino e le sfiorò la guancia, indugiando qualche istante con le dita sulla pelle morbida. «Hai l'aria stanca, tesoro,» osservò, spostando lentamente la mano sulla spalla. «Quel ridicolo incidente del pugnale ti ha scossa. Forse dovresti andare a casa a riposare. Non potrai esserci molto utile, stremata come sei.»

Kate premette la guancia contro la sua mano. «Sei troppo gentile con me, Grace. E pensare che in questi ultimi giorni non ho combinato quasi niente!»

«Oh, lei si arrabbia solo con me.» La voce di Malcolm riempì la stanza come una risata.

In fretta Grace ritrasse la mano dalla spalla di Kate. «E di solito la mia collera è giustificata,» ribatté, tornando a grandi passi dietro la scrivania.

«Vedi, Kate? A te carezze, a me parole dure.» A Malcolm non sfuggì il lampo di collera che passò negli occhi di Grace, ma continuò a parlare, ignorandola. «Ho saputo che andrai a Chichén Itzá per contribuire alla soluzione del grande mistero degli omicidi.» E sogghignò di nuovo.

«Malcolm, ti prego. Sono veramente troppo stanca per il tuo senso dell'umorismo,» reagì Kate. «Se solo ci avessi pensato, avrei suggerito che portassero te al mio posto.»

«Ah, Chichén Itzá,» sospirò lui. «Io amo lo Yucatán, le giungle di Quintana Roo.» La guardò. «Ma naturalmente c'eri anche tu l'anno scorso, vero? Ho quasi dimenticato quella breve visita che ci hai fatto quando lavoravamo agli scavi. Ricordi tutte le chiacchiere che circolavano allora sulla ripresa dei sacrifici umani?»

«No,» rispose Kate. «Dev'essere successo dopo la mia partenza.»

«Dici?» Malcolm non sembrava convinto. «Forse. Comunque Grace sosteneva che erano tutte sciocchezze e sono sicuro che aveva ragione. Strano che la polizia le trovi tanto affascinanti. Ma, d'altro canto, quegli agenti non mi sembrano esattamente delle aquile.»

«Io non li sottovaluterei,» fu pronta a replicare Kate. «Specialmente il tenente.»

«Oh, sul serio? Chissà perché, ma credevo che a impressionarti fosse stato soprattutto l'agente Devlin.» Con la coda dell'occhio Malcolm colse un'altra occhiata dura di Grace.

«Perché dici questo?» volle sapere Kate.

«Be', è piuttosto un bell'uomo, non trovi?»

«Io credevo che stessimo discutendo delle loro capacità intellettuali.»

«E così è, infatti.» Sousi si voltò verso Grace. «Ero passato solo per recuperare la maschera.» E come per dare veridicità alle sue parole, andò alla scrivania e prese la maschera di Ek Chuah.

«Ricorda quello che ti ho detto a proposito della corretta collocazione, Malcolm.» La voce di Grace era dura, quasi aspra. «Non voglio che si confonda con pezzi di minor valore.»

«Me ne ricorderò.» Sulla porta Malcolm si voltò a lanciare un ultimo sguardo a Kate. «Goditi il viaggio. Chissà, forse riuscirai davvero a risolvere il mistero.»

Ma non appena ebbe richiuso la porta dietro di sé il sogghigno scomparve dal suo viso, sostituito da un'espressione di cupa collera, un'espressione molto vicina all'odio. Percorse rapidamente il corridoio ed entrò nel suo piccolo ufficio. Dall'arrivo di Kate il suo rapporto con Grace era andato rapidamente deteriorandosi. Chissà che cosa mai vedeva in lei. Oh, era piuttosto in gamba, ma niente di eccezionale, dopotutto. In realtà, sapeva benissimo che cosa trovasse la collega in quella ragazza. La vecchia Grace aveva sempre avuto un debole per le belle donne. E da questo punto di vista la piccola Kate aveva argomenti da vendere.

Ridacchiò senza allegria. Anche lui la trovava attraente, ma aveva evitato qualsiasi approccio non appena Grace gli aveva fatto capire che non ne sarebbe stata contenta. Buffo che tutte le vittime di quegli omicidi fossero donne. Ma in fondo, si corresse con una risatina, era così che doveva essere.

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