Gai-Jin (108 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Alla locanda nessuno aveva mostrato di notare la loro fuga. Gli inservienti e le cameriere proseguivano tutti nelle loro attività come se nulla fosse, ma, pochi secondi dopo, l'irruzione di un drappello di Ogama che sfondò la porta principale li lasciò pietrificati. Alcuni samurai si precipitarono nelle camere da letto al pianterreno, svegliando gli ospiti, le ragazze e la mama-san, altri salirono sulle scale per ispezionare le stanze superiori.

Le ragazze che occupavano le quattro stanze fino a qualche minuto prima degli shishi, come disposto dall'attento piano di Katsumata, levarono grida di sorpresa e di protesta.

La mama-san reagì all'incursione con una valanga di invettive e imprecazioni. L'ufficiale di Ogama, furente, cominciò a sbraitare per farsi dire dov'erano andati i fuorilegge ronin e schiaffeggiò persino alcuni degli inservienti, ma inutilmente. Tremando dalla testa ai piedi tutti si proclamarono innocenti. “I ronin? Nella mia rispettabile e onorevole Casa? Mai!” gridò la mama-san.

Ma quando il drappello se ne andò e furono al sicuro, la mama-san, i suoi accoliti e i domestici imprecarono maledicendo la spia che li aveva traditi.

“Katsumata-san, chi può essere stato?” chiese Takeda, un giovane choshu di vent'anni, tarchiato e quasi senza collo, parente di Hiraga, con il cuore che ancora batteva per la fortunosa fuga.

Katsumata alzò le spalle. “Karma se lo troviamo, karma se non lo troviamo. E' solo una dimostrazione di quanto vi ho ripetuto mille volte: siate preparati al tradimento, alla fuga improvvisa, all'improvvisa lotta, non fidatevi di nessuno, né uomo né donna, fidatevi solo di un vero shishi, un iniziato, e di sonno-joi.” Tutti nella piccola stanza affollata annuirono.

“Il principe Yoshi, quando lo assaliremo?”

“Quando sarà fuori dalle mura.” La notizia dell'arrivo improvviso di Yoshi era giunta nella notte, troppo tardi per intercettarlo.

“Ma, sensei, abbiamo dei fiancheggiatori anche dentro le mura” disse Takeda. “Lo prenderemmo certamente di sorpresa, dato che li si sentirà al sicuro e abbasserà la guardia.”

“Yoshi non abbassa mai la guardia, tienilo bene in mente. Quanto ai nostri intorno a lui e all'interno delle mura, hanno l'ordine di stare tranquilli e di non farsi scoprire. La loro presenza e le loro informazioni sono troppo preziose per essere messe a repentaglio. E nell'improbabile ipotesi che lo shògun Nobusada sfugga alla nostra imboscata, avremo più che mai bisogno di loro.”

Gli shishi approvarono con un ghigno severo e strinsero le mani intorno alle else. L'imboscata doveva avvenire al tramonto del quinto giorno, a Otsu, l'ultima stazione sulla strada per Kyòto. Poiché solo poche locande della strada Nord e della Tokaidò erano considerate all'altezza di ospitare le auguste persone con il loro numeroso seguito di guardie, cameriere e inservienti, era stato facile scoprire dove avrebbero pernottato e quindi insediarvi le spie.

I dieci shishi incaricati della missione suicida erano già a Otsu e si stavano preparando. Ciascuno dei centosette shishi ora dislocati nelle varie case sicure intorno a Kyòto aveva implorato di poter far parte della squadra d'assalto; pertanto, su suggerimento di Katsumata, i nomi erano stati estratti a sorte.

I tre choshu, i tre satsuma e i quattro tosa che si erano guadagnati l'onore erano già sul posto, alla Locanda dei Mille Fiori.

“Eeeh” mormorò Sumomo eccitata, “mancano solo cinque giorni, poi sonno-joi diventerà una realtà. La Bakufu non si riprenderà mai da un colpo del genere.”

“Mai!” Katsumata le sorrise. Era la migliore delle sue allieve, come Hiraga era stato il migliore degli allievi, a eccezione di Ori, suo prediletto, e ne ammirava il coraggio e l'abilità. Anche Sumomo si era offerta volontaria, però era stata esclusa perché considerata troppo preziosa per essere sprecata in un'azione tanto pericolosa. Katsumata era contento di averle chiesto di aspettare a Kyòto opponendosi all'ordine di Hiraga che le ordinava di far ritorno alla casa paterna. Era giunta da Edo con le ultime notizie, che confermavano le voci sulla distensione negoziata tra la Bakufu e i gai-jin, sul fallito attacco al primo ministro Anjo e sul successo dell'assassinio di Utani e dell'incendio del suo palazzo. E soprattutto confermavano il crescente dissidio tra Anjo e Toranaga Yoshi.

“Da dove vengano esattamente queste informazioni, non lo so” gli aveva sussurrato lei, “ma la mama-san mi ha assicurato che a te la fonte è nota.” Sumomo riferì anche le circostanze della morte di Shorin. Ma di Ori e di Hiraga sapeva solo che la ferita di Ori si stava risanando, che entrambi si nascondevano vicino all'Insediamento di Yokohama, insieme ad Akimoto, e che Hiraga era miracolosamente diventato il confidente di un ufficiale gai-jin.

“Hai ragione, Sumomo, la Bakufu non si riprenderà mai” confermò Katsumata. “E il colpo sferrato da te porrà fine per sempre allo shògunato dei Toranaga.” Dopo l'eliminazione dello shògun Nobusada, che non doveva per nessun motivo coinvolgere la principessa Yazu, gli shishi avrebbero subito scatenato un attacco in massa contro il quartier generale di Ogama per assassinare Ogama stesso. Contemporaneamente Katsumata e gli altri si sarebbero impadroniti delle Porte, avrebbero innalzato lo stendardo di sonno-joi e dichiarato che il potere era tornato all'imperatore, ottenendo all'istante l'obbedienza di tutti i daimyo e dei veri samurai.

“sonno-joi” mormorò Sumomo esultante come tutti i suoi compagni.

Tutti tranne Takeda, uno degli shishi choshu, che si mostrava a disagio.

“Non sono convinto che si debba uccidere Ogama” disse, cambiando ripetutamente posizione. “E' un buon daimyo, un ottimo capo: ha fermato la corsa al potere di Sanjiro, e anche dei tosa, è l'unico daimyo che rispetta l'ordine dell'imperatore di espellere i gai-jin. Non ha forse chiuso lo stretto di Shimonoseki?

Solo i nostri cannoni si oppongono alle navi dei gai-jin, solo le forze choshu sono in prima linea.”

“E' vero, Takeda” rispose un famoso shishi satsuma. “Ma cosa ci ricorda il sensei Katsumata? Che da quando ha il pieno controllo Ogama è cambiato. Se onorasse l'imperatore, adesso che controlla le Porte, non sarebbe difficile per lui dichiarare sonno-joi e restituire il potere all'imperatore. Quello che invece noi faremo subito quando ci saremo impadroniti delle Porte.”

“Si, ma...”

“Per lui sarebbe semplice, Takeda. Ma cos'ha fatto invece? Ha solo usato il suo potere per conquistare la corte alla propria volontà. Vuole diventare shògun. Nient'altro.” Si levarono mormorii di approvazione, poi intervenne Sumomo. “Ti prego di scusarmi, Takeda, ma Ogama è una grande minaccia” disse la ragazza. “Tutti sapete che sono una satsuma, come lo è il sensei Katsumata: entrambi riconosciamo che Sanjiro ha fatto del bene, ma non per sonno-joi, dunque deve lasciare il potere, che lo voglia o no, e se ne andrà... se ne andrà. Lo stesso vale per Ogama. Si, ha fatto del bene, ma adesso non più. La verità è che nessun daimyo che abbia il controllo delle Porte e sia così vicino a diventare shògun se ne andrà mai spontaneamente.”

“E se inviassimo una supplica a Ogama?” suggerì Takeda.

“Scusa, ma una supplica non avrebbe alcun valore” rispose Sumomo.

“Quando avremo ottenuto il controllo delle Porte, per impedire che scoppi la guerra civile e che qualche daimyo possa cadere di nuovo in tentazione, dovremo spingerci oltre, e chiedere all'imperatore che abolisca lo shògunato, la Bakufu e tolga il potere a tutti i daimyo.” La radicale proposta sollevò nella stanza un brusio di sorpresa.

“E' una follia” sbottò Takeda.

“Se verranno aboliti lo shògunato e i daimyo chi governerà? Si scatenerà il caos. Chi paga i nostri stipendi?

I daimyo! Solo i daimyo possiedono tutto le scorte di riso e...”

“Lasciala finire” intervenne Katsumata, “poi potrai parlare.”

“Molto spiacente, Takeda, ma è un'idea di Hiraga, non mia. Hiraga dice che in futuro i daimyo, i migliori tra loro, saranno solo figure rappresentative, e che il potere effettivo verrà esercitato attraverso dei consigli di samurai, di tutti i ranghi e di pari importanza, e saranno loro a decidere tutto, dagli stipendi alla nomina di un daimyo e di chi gli succederà.”

“Non funzionerà mai. E una cattiva idea” commentò Takeda.

Molti lo contestarono, perchè la maggior parte concordava con Sumomo, ma Takeda non si lasciò convincere.

Infine Sumomo chiese: “Sensei, è una cattiva idea?”.

“E una buona idea, se i daimyo l'accetteranno” rispose Katsumata, contento che i suoi insegnamenti avessero generato buoni frutti, che si volesse costruire il futuro sul consenso.

Seduto sui talloni come gli altri, parlava poco, ancora intento a riflettere sulla recente fuga. Il nuovo attentato a cui era appena sfuggito gli dava da pensare.

Questa volta erano molto vicini, pensò, con il sapore della bile ancora in bocca. La rete si sta stringendo. Chi è il traditore? Dev'essere in questa stanza. Nessun altro shishi all'infuori di quelli presenti sapeva che avrei passato la notte ai Pini Fruscianti. Il traditore, o la traditrice, dev'essere qui. Ma chi? “Continua, Sumomo.”

“Vorrei solo aggiungere... Takeda-san, tu sei choshu, come Hiragasan, un gruppo qui viene da Tosa, il sensei, alcuni altri e io siamo satsuma e vi è chi appartiene ad altri feudi ancora, ma prima di tutto siamo shishi e i nostri doveri verso sonno-joi vengono prima della famiglia e del clan di appartenenza. Nel Nuovo Ordine sarà questa la legge, la prima legge per tutto il Giappone.”

“Be', se la legge sarà questa...” intervenne uno shishi grattandosi la testa. “Sensei, quando il Figlio del Cielo avrà di nuovo il potere, noi cosa faremo esattamente? Cosa faremo tutti noi?” Katsumata si rivolse a Takeda. “Tu cosa pensi?”

“Io non sarò vivo” rispose lui, “per me non ha alcuna importanza.

Mi basta sonno-joi e lo sforzo che avrò compiuto.”

“Qualcuno di noi dovrà pur sopravvivere” precisò Katsumata, “per partecipare al nuovo governo. Ma ora pensiamo alla questione più importante: Toranaga Yoshi. Come lo elimineremo?”

“Quando uscirà dal suo santuario, dovremo essere pronti” suggerì qualcuno.

“Ovvio” disse Takeda irritato, “ma sarà circondato dalle guardie e dubito che potremo avvicinarci. Il sensei ha detto di non mobilitare i nostri uomini all'interno. Sarà molto difficile eseguire l'attentato all'esterno.”

“Una mezza dozzina di noi sui tetti, muniti di archi?”

“Peccato non avere i cannoni” disse un altro.

Rimasero seduti nella luce del giorno che nasceva, ciascuno immerso nei suoi pensieri e con Yoshi come premio. E ancora cinque giorni li separavano dall'attacco contro Ogama, l'unico modo per impadronirsi delle Porte.

“Per una donna sarebbe più facile infiltrarsi all'interno del bastione di Toranaga, non credete?” osservò Sumomo. “E una volta dentro...” Sorrise.

Quel giorno il cielo era coperto di nuvole.

Malgrado il pomeriggio fosse buio e uggioso le larghe strade all'esterno delle mura del quartiere dello shògunato erano molto affollate: gente che comprava e vendeva al mercato di fronte all'ingresso principale, preti buddisti vestiti d'arancione con la inevitabile ciotola per le elemosine e samurai che incedevano con sussiego, soli o in gruppo.

I drappelli di Ogama si distinguevano bene: ciascuno portava l'insegna del feudo di provenienza ricamata sulla divisa.

Katsumata, Sumomo e cinque o sei shishi, travestiti e con grandi cappelli conici, passeggiavano tra una folla di donne, cameriere, inservienti, spazzini e raccoglitori di acque nere, facchini e venditori ambulanti, usurai, scrivani e indovini, palanchini e cavalli di samurai e nobili, ma nessun veicolo con le ruote.

Tutti coloro che attraversavano le porte dello shògunato, aperte ma molto ben controllate, si inchinavano educatamente a seconda del rango e correvano via. L'incredibile notizia che il Guardiano dell'Erede era arrivato senza pompa si era diffusa come un fulmine. In città era anche circolata la notizia, senza precedenti nella storia, dell'imminente arrivo del magnifico shògun, arbitro del paese, la cui persona era ammantata di un mistero quasi pari a quello che circondava il Figlio del Sole, e che, si diceva, era persino sposato con una delle sorelle del Dio.

I due eventi insieme suscitarono un'eccitazione quasi incontenibile.

I samurai si precipitarono a controllare che armi e armature fossero pronte, i daimyo e i loro più fidati consiglieri tremarono alla sola notizia, valutando le posizioni, cosa fare e come evitare di essere coinvolti direttamente quando fosse accaduto l'inevitabile: lo scontro tra il principe Yoshi e il principe Ogama.

L'attività lungo la strada esterna alle caserme dello shògunato cessò quando un corteo pesantemente armato uscì dai cancelli, preceduto dagli stendardi di Yoshi, con i soldati schierati intorno a un palanchino chiuso e altri dietro.

Subito tutti coloro che si trovavano nelle vicinanze si inginocchiarono e i samurai si misero sull'attenti” si inchinarono e rimasero in quella posizione finché il corteo non fu passato. Poi Yoshi e i suoi uomini svanirono e tornò una parvenza di normalità. Katsumata e i suoi invece seguirono il corteo.

A mezzo miglio, un corteo simile ma con gli stendardi di Ogama usciva dalla caserma principale dei choshu ricevendo omaggi anche maggiori. Dentro il palanchino, Ogama. Era a conoscenza da giorni dell'arrivo del suo nemico, ed era anche al corrente di ogni tappa del viaggio dello shògun Nobusada. I suoi consiglieri gli avevano raccomandato di tendere un'imboscata e di uccidere Yoshi prima che arrivasse a Kyòto, ma lui si era rifiutato. “Meglio che diventi un mio ostaggio.

Una volta che sarà qui, dove potrà nascondersi, dove potrà fuggire?” I dettagli dell'incontro urgente da lui voluto erano stati fissati dai consiglieri.

Avrebbe avuto luogo su un terreno neutrale, nel cortile di una caserma vuota, equidistante dai rispettivi quartieri generali. Le due parti sarebbero state scortate da cento guardie ciascuna, di cui solo venti a cavallo. Ogama e Yoshi sarebbero arrivati simultaneamente, su due palanchini blindati, accompagnati da un consigliere a testa.

Dopo pochi minuti le spie riferirono al palazzo, ai nuclei degli shishi e ai daimyo la sorprendente notizia che i due uomini più potenti del Giappone erano usciti in strada contemporaneamente circondati da una scorta armata. Una spia corse subito da Katsumata a sussurrargli in un orecchio dov'erano diretti, e quando i samurai di Ogama e di Yoshi giunsero ai cancelli della caserma neutrale, già Katsumata e trenta dei suoi si erano appostati nei dintorni, pronti a sferrare un attacco suicida nel caso se ne presentasse l'occasione.

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