“Va bene” seguitemi.” Angélique salutò André e si avviò lungo il corridoio verso la sua suite. Ah Soh l'aspettava nel boudoir.
“Ah Soh” disse cortesemente Babcott in cantonese, “per favore, tornate quando vi chiamo.”
“Certo, onorevole dottore.” La cameriera si allontanò ubbidiente.
“Non sapevo che parlaste cinese, George” disse Angélique quando il dottore si sedette sul letto di fianco a lei per controllarle il battito del polso.
“Quello era cantonese, Angélique, in Cina esistono centinaia di idiomi diversi, ma c'è un unico linguaggio scritto che tutti capiscono.
Curioso, vero?” Che stupido a dirmi quello che so già, pensò lei impaziente. Sbrigati! avrebbe voluto gridargli. Come se non fossi mai stata a Hong Kong e Malcolm e tutti gli altri non me lo avessero già detto centinaia di volte... e come se potessi dimenticare che sei tu la causa di ogni mia disgrazia.
“L'ho orecchiato quando vivevo a Hong Kong” proseguì lui con tono assente continuando a misurarle la temperatura sulla fronte e a sentirle il polso.
Notò che il suo cuore batteva molto forte e che la fronte era imperlata di sudore, ma lo considerò perfettamente normale, dopo la brutta esperienza passata. “Qualche parola qui e là. Ho prestato servizio per due anni all'ospedale generale. Un posto così bene organizzato ci sarebbe utile anche qui.” Premeva i polpastrelli sulla vena.
“I dottori cinesi sostengono che vi siano sette tipi diversi di battiti, o polsi, come li chiamano. Dicono di riuscire a distinguerli. E' il loro principale metodo di diagnosi.”
“E cosa sentite nei miei sette cuori?” chiese lei d'impulso. Apprezzava il calore delle sue mani esperte e, nonostante l'odio che provava nei suoi confronti, desiderava fidarsi di lui. Non aveva mai sentito prima su di sé mani altrettanto capaci di trasmettere bontà e rassicurazione.
“Sento che godete di ottima salute” rispose lui domandandosi se vi fosse qualcosa di vero nella teoria dei sette polsi. Negli anni della sua permanenza in Asia, aveva riscontrato nei medici cinesi notevole capacità diagnostica e grande abilità clinica, insieme a molte convinzioni superstiziose. Il mondo è strano, ma la gente è ancora più strana. Ricambiò lo sguardo di Angélique. I suoi occhi grigi, molto diretti e affettuosi, erano attraversati da un'ombra.
“Se è come dite, cosa vi preoccupa?” chiese subito lei temendo che avesse capito la sua reale condizione.
Il dottore esitò, poi infilò una mano in tasca e ne tirò fuori un pezzetto di carta velina. Dentro c'era la sua piccola croce d'oro. E' vostra, credo.” Angélique la fissò agitatissima, d'istinto reagì con un leggero cenno di diniego e un'alzata di spalle, poi con la gola secca mormorò: “Io, è vero... ne ho persa una simile, siete sicuro che sia la mia, dove l'avete trovata?”.
“Intorno al collo dell'uomo che ha tentato di introdursi nella Legazione.”
“Al suo collo? Come... che strano.”
Come se la sua stessa voce non le appartenesse, tentò di controllarsi e di nascondere la disperazione che provava davanti a quell'ennesima trappola e si sforzò di escogitare una spiegazione plausibile. “Intorno al suo collo?”
“Sì, gliel'ho tolta io. Al momento ho pensato che quel giapponese fosse un convertito, un cattolico, poi, casualmente, ho notato la minuscola incisione.” Gli sfuggì una risata nervosa. “La mia vista è migliore di quella di Hoag.
“Ad Angélique, la mamma, 1844”.”
“Povera mamma” mormorarono le labbra di Angélique, “è morta dando alla luce mio fratello quattro anni dopo quella data.
“ Prese il crocifisso e lo esaminò orientandolo verso la lampada a olio e maledicendo la minuscola iscrizione che a stento riusciva a decifrare. “L'ho persa, credo di averla persa sulla Tokaidò, forse a Kanagawa, la sera che sono andata a trovare Malcolm, ricordate?”
“Ah sì. Una brutta sera, davvero brutta, e una giornata tremenda.” Babcott si alzò esitante. “Io... ho creduto di dovervela restituire.”
“Sì, grazie, sono contenta di riaverla. Molto contenta, ma per favore, non andatevene, fermatevi ancora un pò” disse pur desiderando il contrario. “Chi era quell'uomo, e dove potrebbe averla trovata?”
“Non lo sapremo mai, credo.” Babcott la osservava. “Malcolm non vi ha detto che probabilmente era uno dei due demoni assassini della Tokaidò, sebbene né lui né Phillip ne siano certi?” Nonostante la paura di cadere in una nuova trappola, Angélique fu assalita dall'impulso di mettersi a ridere istericamente e gridare: Non era un demone, non con me, non la prima volta, la prima volta mi ha lasciato vivere, poi non era più un demone dopo che io l'ho trasformato.
Anche se so che lo avrebbe fatto, che era pronto a farlo solo un attimo prima che lo spingessi ad andarsene... Non era un demone, anche se meritava di morire, doveva morire...
Mon Dieu, non so neppure come si chiamava, ero così presa, ho dimenticato di chiederglielo... Devo essere matta a pensare a queste cose.
“Come si chiamava?”
“Non si sa. Non ancora. Il re di Satsuma potrebbe identificarlo, ora che è morto, ma quasi certamente ci darebbe un nome falso. Sono tutti bugiardi. Anzi, quello che noi definiamo menzogna fa evidentemente parte del loro stile di vita. Probabilmente quell'uomo ha trovato la croce a Kanagawa.
Ricordate quando avete scoperto di non averla più al collo?”
“No. Me ne sono accorta solo al ritorno...” Notando che gli occhi indagatori di Babcott continuavano a scrutarla, dentro di sé Angélique gridò: Le mie pulsazioni, i vari livelli delle mie pulsazioni gli hanno denunciato la mia condizione? “Ora, grazie a Dio, l'ho ritrovata. Scusate se non mi dimostro abbastanza riconoscente, ma non riesco proprio a capire perchè la portasse.”
“Sono d'accordo con voi, è molto strano.” Calò il silenzio. “Cosa ne pensa il dottor Hoag?” Babcott la guardò senza darle modo di intuire il suo pensiero.
“Non gliel'ho chiesto” rispose, “non ne ho parlato né con lui né con Malcolm.”
La fissò di nuovo e a lei sembrò che il colore dei suoi occhi diventasse più scuro. “Hoag è un uomo della Struan, be'... la sua ciotola di riso quotidiana dipende da Tess Struan.
Non so perchè, ma ho preferito parlarne prima con voi.” Altro silenzio. Angélique, diffidando della propria capacità di simulazione, distolse lo sguardo. Avrebbe voluto fidarsi di lui, fidarsi di qualcun altro oltre ad André, che già sapeva troppo, ma era assolutamente certa di non poterselo permettere. Doveva attenersi al suo piano: era sola e da sola si sarebbe salvata.
“Forse...” riprese “no, deve proprio aver trovato il mio crocifisso a Kanagawa, deve avermi vista e forse...
“ Si fermò un istante, poi, per indurlo ad azzardare un'ipotesi, proseguì: “forse la portava per ricordarsi di me per... non so, perchè?”.
“Sicuramente, mia cara, per ricordarsi di farvi del male” rispose lui impacciato, “per possedervi, in un modo o nell'altro, e uccidervi. Scusate, ma credo che la verità sia questa. In un primo tempo, come tutti, ho pensato che fosse solo un fuorilegge, un ronin, come li chiamano, ma vedendo il vostro crocifisso ho cambiato idea.
Quando ho capito che vi apparteneva... probabilmente è come dite voi, vi ha visto sulla Tokaidò, poi lui e gli altri devono aver seguito Malcolm e Phillip Tyrer fino a Kanagawa per ucciderli, per evitare di essere riconosciuti. A Kanagawa vi ha rivisto, ha trovato il crocifisso e lo ha tenuto perchè era vostro, vi ha inseguito fin qui e ha cercato di penetrare nella vostra stanza, perdonatemi ancora, per possedervi a ogni costo. Non dimenticate che può essere molto facile per un uomo di quel tipo infatuarsi di una persona come voi, fino... fino all'ossessione.”
Il tono della sua voce le confermò che anche Babcott era infatuato di lei. Bene, e bene anche che abbia capito la verità, pensò Angélique sollevata di aver scongiurato un ennesimo pericolo.
I suoi pensieri andarono subito alle bottigliette: grazie al loro effetto l'indomani per lei sarebbe cominciata una nuova vita, un fulgido futuro.
“I giapponesi sono curiosi” stava dicendo Babcott.
“Molto diversi da noi sotto vari aspetti, ma soprattutto perchè non hanno paura di morire.
Sembra quasi che desiderino la morte. Siete stata fortunata, molto fortunata a scamparla. Bene, me ne andrò.”
“Sì, e grazie, grazie mille.” Lei gli prese la mano e se la premette sulla guancia. “Comunicherete la vostra scoperta a Malcolm e al dottor Hoag, così la questione sarà chiusa?”
“Preferisco che siate voi a parlarne al vostro fidanzato.” Babcott considerò per un istante se fosse il caso di chiederle un aiuto per la dipendenza dall'oppio di Malcolm, ma decise che non era urgente e che comunque la responsabilità toccava a lui, non ad Angélique. Poverina, ha già abbastanza problemi a cui pensare. “Quanto a Hoag, e a tutti i ficcanaso chiacchieroni di Yokohama, cosa gliene importa? Non sono certo affari loro, né miei, vero?
“ Babcott vide gli occhi chiari e il viso raggiante e luminoso di Angélique aprirsi in un sorriso. Tutto in lei emanava gioventù e salute e la magnetica, inconsapevole sensualità che sempre la circondava sembrava persino aumentata, contro ogni previsione medica. Straordinario, pensò strabiliato da tanta capacità di recupero. Mi piacerebbe scoprire il suo segreto e sapere perchè alcune persone reagiscono tanto bene a difficoltà che annienterebbero altri.
All'improvviso dimenticò di essere un medico. Non posso biasimare quel ronin, né Malcolm o chiunque impazzisca per lei, la desidero anch'io.
“Strana la storia della vostra croce” disse a bassa voce, vergognandosi molto. “Ma la vita è una collezione di stranezze, non è vero?
'notte, mia cara, dormite bene.”
Il primo crampo la strappò a un sonno agitato, popolato da mostri dagli occhi a mandorla, demoni furiosi, orribili donne incinte, uomini con le corna che la sottraevano a Tess Struan, immobile e arcigna come uno spettro malevolo a guardia di Malcolm. Il secondo crampo, dopo pochi istanti, la riportò alla realtà.
Il sollievo che il processo fosse cominciato cancellò dalla sua mente il ricordo delle lunghe, eterne ore di trepidazione che avevano preceduto il sonno. Erano da poco passate le quattro del mattino. L'ultima volta che aveva guardato l'orologio erano quasi le due e mezzo. Un altro crampo, più forte dei precedenti, la costrinse a concentrarsi sulle ultime medicine da prendere.
Allungò una mano e stappò la seconda bottiglietta con le dita tremanti.
Di nuovo il sapore orribile le provocò un conato e le fece quasi sputare l'intruglio. Aiutandosi con un cucchiaino di miele, riuscì a trattenere il liquido.
Si risdraiò esausta, con lo stomaco in fiamme. Era in un bagno di sudore, poi smise di sudare e si ritrovò debole, madida e senza fiato.
Attese. Come prima non accadeva niente, solo quello stizzoso, dolce malore che, dopo ore di ansia, l'aveva sospinta in un sonno agitato. Lo sgomento la travolse. “Madre benedetta, fate che funzioni, fate che funzioni” mormorò tra le lacrime.
Attese ancora. Nulla. I minuti passavano.
Poi, un crampo diverso, fortissimo, la costrinse quasi a piegarsi su se stessa. Un altro crampo, sopportabile.
Un terzo, ancora sopportabile. Si ricordò dell'altra metà dell'infusione e si raddrizzò per sorseggiarla.
Aveva un cattivo sapore, ma non era ripugnante come il liquido delle bottigliette. “Grazie a Dio quello non lo devo più prendere” mormorò, e sorseggiò ancora. Un altro sorso. E dopo ogni sorso un boccone di cioccolato...
I crampi ora erano più forti e giungevano a intervalli più brevi. Non ti preoccupare, sta andando tutto bene, si disse, proprio come ha detto André. I muscoli dello stomaco cominciavano a dolerle. Bevve ancora torcendosi per i crampi e poi anche l'ultima goccia fu finita. Il vasetto del miele era quasi vuoto, rimaneva un solo cioccolatino, ma neppure quello poté scacciare il gusto amaro che le rimase in bocca. Una corrente d'aria filtrata da sotto la porta del boudoir agitò la fiamma della lampada a olio sul tavolino facendo danzare le ombre sul muro.
Angélique si sdraiò stoicamente e le osservò, con le mani strette contro la pancia per attenuare la morsa dei crampi. I muscoli si tendevano, si rilassavano e tornavano a tendersi, annodandosi sotto le sue dita.
“Osserva le ombre, pensa a qualcosa di bello” sussurrò.
“Cosa vedi?” Navi, vele, i tetti di Parigi, dei rovi e guarda, una ghigliottina, no, non è una ghigliottina, è un pergolato coperto di rose, quello della nostra casa di campagna vicina a Versailles, ci andiamo in primavera e in estate, siamo cresciuti, io e mio fratello, la cara mamma è morta molto tempo fa, il papà è andato Dio solo sa dove, lo zio e la zia ci vogliono bene ma non possono sostituire la cara...
“Oh, mon Dieu!” Angélique ansimò quando il primo violento spasmo la assalì, al secondo le sfuggì un grido e dovette premersi con forza un lembo del lenzuolo contro la bocca per trattenere le urla che avrebbero richiamato tutti gli ospiti della Legazione alla sua porta sprangata.
Poi cominciarono i brividi di freddo, come punte di ghiaccio nelle viscere.
Ora i crampi erano venti volte più violenti di quelli delle sue normali mestruazioni. Il corpo si opponeva alla spinta, braccia e gambe si tendevano a ogni ondata di dolore che le squarciava il ventre e arrivava fino alla testa.
“Sto per morire... sto per morire” mormorava stringendo il cuscino con i denti e soffocando le grida che accompagnavano ogni crampo e ogni stilettata di freddo, sempre più forti, sempre più forti e... poi niente. Quasi all'improvviso, i crampi cessarono.
Dapprima credette di essere morta, ma presto ritrovò il controllo, vide che la stanza aveva smesso di girare, che la fiamma della lampada era bassa ma bruciava ancora e udì l'orologio ticchettare. Le lancette segnavano le cinque e quarantadue.
Con enorme fatica si sedette sul letto. L'immagine che vide riflessa nello specchio a mano la terrorizzò: il viso era livido, i capelli intrisi di sudore, le labbra scure per la medicina. Si sciacquò la bocca con un pò di tè verde, sputò nel vaso da notte e lo risospinse sotto il letto.
Si sfilò la camicia da notte sudicia, con un asciugamano umido si deterse il viso e il collo alla meglio, si pettinò e si risdraiò esausta ma più forte per la consapevolezza d'aver portato a termine l'impresa.
Solo allora notò la macchia rossa sulla camicia da notte gettata con noncuranza sul tappeto liso.