“Vorrei che per favore voi faceste pervenire loro a Osaka il mio impegno e vi sarei grato se in cambio di questo mi anticipaste del denaro.”
“Edo è più vicino di Osaka, Otami-san.”
“Sì, ma preferisco Osaka” disse Hiraga, non volendosi compromettere a Edo dove più facilmente la Bakufu avrebbe potuto esserne informata. Si accorse dell'espressione impassibile dell'altro e nascose il proprio livore considerando che anche i daimyo dovevano stare attenti nel trattare con il Gyokoyama e i suoi agenti, persino il principe Ogama di Choshu. Era risaputo che Ogama era pesantemente indebitato con loro e che aveva impegnato anni di introiti futuri.
“La mia compagnia è onorata di servire i vecchi clienti. Prego, per quanto tempo desiderate fermarvi nella mia casa?”
“Per alcuni giorni, se non vi è di disturbo.” Sicuro che la notizia lo avesse preceduto, Hiraga gli raccontò di Tyrer e del suo scontro con i soldati.
“Potrete fermarvi almeno tre giorni, Otami-san. Spiacente, ma nel caso di un'improvvisa incursione dovete essere pronto ad andarvene in fretta, di giorno o di notte.”
“Capisco. Grazie.”
“Per favore scusatemi, ma desidererei un ordine firmato da questo Taira, o meglio ancora dal capo dei gai-jin, in cui mi si chiede di aprirvi la mia casa, da mostrare alla Bakufu se mai dovesse arrivare.”
“Me lo procurerò.” Hiraga ringraziò con un inchino e nascose il disappunto per quelle condizioni.
“Grazie.”
Lo shoya diede ordine a un domestico di portare del tè e l'occorrente per scrivere, e osservò Hiraga mentre stilava una richiesta di anticipo da dedurre dal conto di Shinsaku Otami, il nome in codice di suo padre.
La firmò e la sigillò, poi appose il timbro e la firma anche sulla ricevuta in cui era scritto che Ryoshi accettava di anticipare metà della somma al consueto interesse del due per cento al mese per i tre mesi necessari a far arrivare l'incartamento a Osaka e completare la transazione. “Desiderate il denaro in contanti?”
“No, grazie, mi rimangono ancora alcuni oban” rispose esagerando giacché gliene rimanevano soltanto due. “Per favore apritemi un credito da cui dedurrete le spese della stanza e del cibo. Ho bisogno di vestiti e di spade. Vi prego inoltre di trovarmi una massaggiatrice.”
“Certo, Otami-san. Per i vestiti il servo vi mostrerà il nostro magazzino.
Scegliete quelli che preferite. Per quanto riguarda le spade” proseguì Ryoshi alzando le spalle, le uniche di cui dispongo sono gingilli adatti ai gai-jin e dubito che possano esservi utili, in ogni caso date un'occhiata.
Forse riesco a trovare delle spade adatte a voi. Adesso vi mostrerò la vostra stanza, con ingresso indipendente protetto giorno e notte da una guardia.”
Hiraga lo seguì.
Ryoshi non aveva commentato la sua nudità e le sue ferite né aveva fatto domande in proposito. “Siete il benvenuto e la vostra presenza onora la mia povera casa” aveva detto congedandosi.
Al ricordo delle parole dello shoya, a Hiraga si accapponò la pelle: dietro le apparenze, quell'uomo così educato e solenne era in realtà un nemico mortale. Disgustoso, pensò, è disgustoso che i daimyo corrotti, lo shògun e la Bakufu costringano noi samurai alla miseria e a ricorrere all'aiuto di questi zaibatsu di basso rango, sporchi mercanti assetati di denaro, convinti che i soldi diano loro potere su di noi.
Per tutti gli dei, quando tornerà l'imperatore mercanti e zaibatsu la pagheranno cara...
In quell'istante sentì che le dita della massaggiatrice si fermavano.
“Cosa vi accade, signore?” chiese spaventata.
“Niente, niente. Continua, per favore.” Lei obbedì ma adesso il suo tocco era diverso e l'atmosfera nella stanza sembrava carica di tensione.
Nella stanza vi erano otto tatami di buona qualità, i futon erano imbottiti di piume e gli shoji erano stati rivestiti di recente con carta oleata.
Nella nicchia del takoyama c'erano una lampada a olio, una composizione floreale e un piccolo dipinto raffigurante un paesaggio con una piccola casa in un boschetto di bambù e sull'uscio una donna minuta dall'aspetto desolato e lo sguardo perso in lontananza.
Accanto al paesaggio gli ideogrammi di una poesia d'amore.
Aspetto, Ascolto la pioggia, Accompagno la pioggia.
Tanto sola e fiduciosa nel ritorno del suo uomo.
Hiraga stava scivolando nel sonno quando la porta si scostò.
“Scusate, signore.”
Il domestico si inginocchiò e disse con imbarazzo: “Spiacente, fuori c'è una persona di basso rango che vuole vedervi. Dice di conoscervi.
Spiacente di disturbarvi ma ha molto insistito e...”
“Chi è? Come si chiama?”
“Lui... non me lo ha detto né ha chiamato voi per nome, signore. Ha detto solamente: “Di' al samurai: Todo è il fratello di Joun”.”
Hiraga si alzò di scatto. Mentre si infilava la yukata chiese alla massaggiatrice di tornare l'indomani alla stessa ora e la congedò. Si avvicinò alle spade che gli aveva procurato lo shoya in attesa di trovargliene di migliori e si inginocchiò in posizione di difesa-attacco, rivolto verso la porta. “Fallo entrare, e tieni tutti lontani.” Il giovane contadino, esile e sporco, strisciò con il suo kimono cencioso lungo il corridoio e si inginocchiò fuori dalla porta.
“Grazie, signore, grazie di avermi concesso udienza” balbettò.
Poi sollevò lo sguardo e aprì la bocca sdentata in uno sciocco sorriso. “Grazie, signore.”
Hiraga gli lanciò un'occhiata furente, poi sussultò: “Ori? Ma... è impossibile!”. Lo guardò più da vicino e vide che i denti anneriti facevano parte del travestimento. Con quella luce l'illusione era perfetta. Niente in lui faceva pensare che fosse un samurai: non aveva più la crocchia e i capelli erano tagliati a spazzola. “Perché?” chiese.
Ori sorrise divertito e si avvicinò.
“La Bakufu sta cercando i ronin, sì o no?” sussurrò, per evitare le orecchie indiscrete che sicuramente erano in ascolto. “Continuo a essere un samurai ma conciato in questo modo posso attraversare qualsiasi barriera, no?” Hiraga fischiò ammirato. “Hai ragione. Sei intelligente, sonno-joi non dipende dal taglio di capelli. E' semplice, non ci avrei mai pensato.”
“Mi è venuto in mente ieri sera, mentre pensavo al tuo problema, Hiraga, e...”
“Attento. Qui mi faccio chiamare Nakama Otami.”
“Ah! Bene.” Ori sorrise. “Non sapevo che nome usare, per questo ho utilizzato quella frase in codice.”
“Hanno trovato Todo e gli altri?”
“No, non si sa dove siano. Probabilmente sono morti.
Dicono che Joun è stato ucciso come un criminale comune, ma non so ancora come lo abbiano preso.”
“Perché sei venuto qui, Ori? E' troppo pericoloso.”
“Non di notte e travestito in questo modo. Volevo verificare il mio nuovo aspetto e vederti.” Si passò con disgusto una mano sulla testa e si grattò. Si era rasato il volto da poco. “E' una sensazione orribile, oscena in un certo senso, ma non importa. Conciato così potrò andare a Kyòto senza rischiare di essere scoperto. Partirò tra due giorni.” Hiraga lo fissò strabiliato, non riusciva ancora a credere a quello straordinario cambiamento. A un travestimento perfetto, anche se adesso tutti i samurai ti scambieranno per un uomo qualsiasi. Come farai con le spade?”
“Quando avrò bisogno delle spade porterò un cappello. Quando mi travestirò userò questo.” Ori infilò la mano sana nella manica e ne estrasse un Derringer a due colpi.
Il volto di Hiraga sembrò illuminarsi. “Eeeh, eccezionale! Dove l'hai presa?”
“Me l'ha venduta Fujiko con una scatola di proiettili. Gliel'aveva regalata un cliente prima di partire da Yokohama. Immagina! Una puttanella di basso rango con un simile tesoro.” Hiraga valutò la pistola, la puntò e tolse la sicura per vedere i due proiettili di bronzo alloggiati nelle canne. “Con questa puoi uccidere due uomini prima di essere ucciso, se sei abbastanza vicino.”
“Basta un colpo per darmi il tempo di scappare e procurarmi delle spade.” Ori scrutò Hiraga.
“Ci hanno riferito del tuo scontro con i soldati. Volevo assicurami che tu stessi bene. Baka! Ce ne andremo insieme a Kyòto lasciando questo posto ai cani finché non potremo tornare in forze.”
Hiraga scosse il capo e gli raccontò l'accaduto, poi gli parlò di Tyrer e della scoperta dell'inimicizia tra francesi e inglesi.
Euforico aggiunse: “Ci sarà molto utile, la useremo per aizzarli tra di loro, così si uccideranno senza bisogno che lo facciamo noi, eh? Io mi devo fermare, Ori.
Questo non è che l'inizio. Dobbiamo imparare tutto quello che sanno ed essere in grado di pensare come loro, così poi li potremo distruggere”.
Ori aggrottò le sopracciglia considerando i pro e i contro di quel ragionamento. Sebbene non avesse perdonato a Hiraga di averlo costretto a perdere la faccia e a privarsi della croce, aveva il dovere di proteggere sonno-joi.
“In questo caso, se dovrai diventare la nostra spia, ti converrà assomigliare a loro in tutto e infilarti nel loro ambiente come una cimice, fingere di essergli amico e persino indossare i loro vestiti.” Poiché Hiraga lo guardava perplesso aggiunse: “Perché no? Servirà a proteggerti e farà in modo che ti accettino più volentieri, neh?”.
“Ma perchè dovrebbero accettarmi?”
“Perché sono degli idioti. Taira sarà la punta della tua lancia. Lui è in grado di farti accettare, di ordinarlo. Insisterà.”
“Perché dovrebbe?”
“Per ottenere in cambio Fujiko.”
“Cosa?”
“Raiko ci ha dato la soluzione: i gai-jin sono diversi. Preferiscono stare sempre con la stessa donna. Se aiuterai Raiko a farlo cadere nella rete, Taira ti seguirà come un cagnolino perchè diventerai il suo indispensabile tramite. Parlagliene domani. Digli che se ti sei infuriato con i soldati non è stata colpa sua. Poi raccontagli di essere sgattaiolato allo Yoshiwara e di avergli fissato un appuntamento per domani sera e “spiacente, Taira-san, per passare le barriere e andare a combinare per voi questi appuntamenti mi converrebbe indossare dei vestiti europei e così via”. Poi deciderai tu quando la ragazza dovrà essere disponibile, la userai come un'esca. Che ne dici?” Finalmente Hiraga gli sorrise. “Dovresti fermarti e non partire per Kyòto, i tuoi consigli sono troppo preziosi.”
“Dobbiamo avvisare Katsumata. Adesso dimmi, dov'è la donna gai-jin?”
“Domani lo scoprirò.”
“Bene.” Si era alzato il vento. Una folata attraversò la casa facendo scricchiolare la carta degli shoji e muovendo la fiamma della lampada a olio. Ori lo fissò. “L'hai vista?”
“Non ancora. I servi di Taira non parlano nessuna lingua che io capisca così non posso servirmi di quella lurida marmaglia cinese per avere informazioni. So però che l'edificio più grande dell'Insediamento appartiene all'uomo che presto la sposerà.”
“E lei vive lì?”
“Non ne sono sicuro ma...” Folgorato da un'idea, Hiraga esitò.
“Ascolta, se riuscirò a farmi accettare potrò andare dove vorrò e scoprire tutto sul loro sistema difensivo; potrò persino salire a bordo delle loro navi da guerra e...”
“E una certa sera” lo interruppe Ori spingendosi oltre col pensiero, “magari ne potremmo catturare una, o farla affondare.”
“Sì.” I due giovani avvamparono. La candela ondeggiava disegnando strane ombre.
“Con il vento adatto” mormorò Ori, “un vento come quello di stasera, insieme a cinque o sei shishi e con alcune taniche già sistemate nei magazzini giusti... non è necessario: sarà sufficiente preparare delle bombe incendiarie e dare fuoco allo Yoshiwara. Il vento spingerà gli incendi verso il villaggio e da lì all'Insediamento che andrà a fuoco! Neh?”
“E la nave?”
“Approfittando della confusione andremo all'assalto della più grande.
Potremmo farlo con facilità, neh?”
“Con facilità ne dubito, ma che colpo!”
“sonno-joi!”
Capitolo 21
†
Giovedì, 16 ottobre
“Avanti! Ah, buongiorno, André” disse Angélique con un calore che tradiva ansia.
“Siete molto puntuale.
Tutto bene?”
Lui annuì e chiuse la porta della stanzetta a pianterreno che fungeva da boudoir, adiacente alla camera da letto.
Stupito che anche in quella circostanza lei fosse tanto calma e disponibile alla conversazione, si chinò educatamente per baciarle la mano prima di sedersi.
L'arredamento della stanza era dimesso: c'erano alcune vecchie sedie, una chaise-longue e una scrivania, e sui muri intonacati qualche quadro a olio di poco valore firmato da pittori francesi contemporanei, Delacroix e Corot.
“L'ho imparato nell'esercito, la puntualità conduce alla santità.”
Angélique sorrise della battuta.
“Là! Non sapevo che aveste un passato da militare.”
“Ho avuto una nomina di dodici mesi in Algeria quando avevo ventidue anni; dopo l'università; niente di importante, dovevamo soffocare una delle solite rivolte. Quanto prima avremo schiacciato i ribelli e annesso tutto il Nordafrica al territorio francese tanto meglio sarà.”
Allontanò le mosche con un gesto distratto e la studiò. “Siete più splendente che mai. Il vostro... stato vi si addice.” Gli occhi di Angélique persero il colore e assunsero un'espressione dura. Aveva trascorso una notte difficile, il letto di quella stanza disordinata e squallida era molto scomodo.
Con il buio l'ansia aveva avuto la meglio sulla fiducia lasciandole una profonda inquietudine rispetto alla decisione di abbandonare così di fretta le comodità dell'appartamentino attiguo a quello di Struan.
All'alba il suo umore non era migliorato e di nuovo l'aveva assalita quel pensiero ossessivo: gli uomini sono la causa di tutti i miei dolori.
La vendetta le sarebbe stata dolce. “Intendete riferirvi alla mia condizione di futura moglie, non è vero?”
“Certo” disse lui dopo una pausa, e lei, irritata, si chiese che cosa avesse e perchè mai fosse tanto rozzo e distante, come la sera prima, quando aveva suonato in modo annoiato, senza il tocco abituale.
Aveva gli occhi cerchiati di scuro e i suoi lineamenti sembravano più spigolosi.
“Qualcosa non va, mio caro amico?”
“No, Angélique cara, non c'è niente, niente di niente.” Bugiardo, pensò lei. Perché gli uomini mentono sempre, agli altri e a se stessi? “Siete riuscito nell'intento?”