Passato sulla Luna come un'anatra.” Ori dovette tapparsi la bocca con una mano per non scoppiare a ridere, poi richiuse accuratamente i buchi che avevano fatto nell'angolo più alto dello shoji con dei pezzetti di carta. Insieme si dileguarono tra i cespugli e, usciti dal cancello segreto del recinto, guadagnarono l'abitazione di Ori.
“Sakè!” La cameriera semiaddormentata posò il vassoio davanti a loro e si allontanò, rinunciando a gettare un'altra occhiata ai loro strani tagli di capelli.
Brindarono e riempirono di nuovo le tazze. La stanza era piccola e piacevole, illuminata da una candela, con i futon già distesi nella camera adiacente. Le spade giacevano su bassi ripiani laccati: Raiko aveva fatto loro una concessione alla regola dello Yoshiwara che vietava le armi all'interno delle muta perchè erano shishi, perchè Hiraga aveva una taglia sulla testa, e perchè entrambi avevano giurato su sonno-joi di non usarle contro nessuno della casa e contro nessun ospite ma solo per difendersi.
“Hiraga, non posso credere che Taira si sia lasciato ingannare dai falsi Incontri con gli Dei di Fujiko, uno dopo l'altro in quel modo! Una pessima recita. Ma è così stupido?”
“Ovviamente.” Hiraga rise sfregandosi con forza le tempie e la nuca.
“Accidenti, con quella sua arma enorme avrebbe davvero potuto farla urlare, tutti i gai-jin sono fatti così?”
“Che importa, nel suo caso è sprecata.”
“Manca di fierezza, Ori! Potrei procurargli uno dei libri sull'amore destinati alle spose vergini, non credi?”
“Meglio uccidere lui e tutti gli altri e dare fuoco all'Insediamento.”
“Abbi pazienza, lo faremo, c'è tempo ancora.”
“E' un bersaglio perfetto, e questa è un'altra occasione perfetta” esclamò Ori lasciando trasparire un filo di irritazione.
Hiraga lo guardò senza alcuna cordialità. “Sì, ma non ancora, lui è troppo importante.”
“Hai detto tu stesso che se li provochiamo al punto giusto bombarderanno Edo a tutto vantaggio della nostra causa.”
“Sì, hai ragione, ma non c'è fretta.” Per calmarlo e fargli ritrovare il controllo, Hiraga si sforzò di nascondere la sua preoccupazione. “Taira sta rispondendo a tutte le mie domande. Per esempio, chi prima di lui ci aveva informato che i gai-jin litigano tra loro come cani selvatici, peggio dei daimyo prima di Toranaga?
L'Olandese ce lo aveva nascosto, non è così?”
“Sono tutti barbari e bugiardi.”
“Sì, ma ci devono essere altri migliaia di frammenti di informazioni come questa, utili a indicarci la via per giocarli e sconfiggerli.
Dobbiamo imparare tutto, Ori, e poi, quando faremo parte della nuova Bakufu, metteremo tedeschi contro russi contro francesi contro britannici contro americani...”
Hiraga rabbrividì ricordando quel poco che Tyrer gli aveva raccontato della Guerra Civile, delle battaglie e dei morti, delle armi moderne, delle centinaia di migliaia di uomini coinvolti e della incredibile vastità delle terre dei gai-jin.
“Questa sera mi ha detto che la marina britannica governa tutti gli oceani del mondo e, per legge, è grande il doppio delle due che le sono seconde messe insieme, con migliaia di navi da guerra, migliaia di cannoni,”
“Bugie. Esagerazioni per spaventarti. Lui, tutti loro vogliono intimidirci, e tu non fai eccezione. Anche lui vuole i nostri segreti!”
“Gli dico solo quello che voglio fargli sapere.”
Irritato, Hiraga ruttò.
“Ori, dobbiamo capire chi sono! Questi cani hanno conquistato gran parte del mondo, hanno umiliato la Cina e incendiato Pechino, e quest'anno la Francia ha conquistato la sovranità sulla Cocincina e sta per colonizzare la Cambogia.”
“Sì, ma i francesi hanno messo i principi locali uno contro l' altro come gli inglesi in India. Qui siamo in Giappone. Noi siamo diversi, questa è la Terra degli Dei. Con tutti i cannoni del mondo non riusciranno a conquistarci.” E viso di Ori si contrasse in una strana smorfia. “Se anche convincessero qualche daimyo a stare dalla loro, anche in quel caso, il resto di noi li massacrerebbe.”
“Non senza cannoni ed esperienza.”
“Senza cannoni sì, Hiraga-san.” Hiraga alzò le spalle e versò da bere a entrambi. Molti shishi condividevano l'ardore di Ori e avevano dimenticato Sun-tzu: Conosci il tuo nemico come te stesso e vincerai cento battaglie. “Spero che tu abbia ragione, ma nel frattempo io scoprirò tutto quello che posso. Mi ha promesso che domani mi porterà una mappa del mondo, lui la chiama “atlante”.”
“Come farai a sapere che non sia finta?”
“Non è verosimile che ne abbiano falsificata una. Forse potrei anche farmene dare una copia, la potremmo far tradurre, anche i loro libri di scuola.” Hiraga si stava infiammando di entusiasmo.
“Taira dice che stanno facendo grandi progressi nei calcoli, li insegnano anche nelle scuole, e nelle misure astronomiche chiamate “longitudine” e “latitudine” Hiraga pronunciò quelle parole con difficoltà, “che li guidano con incredibile precisione sugli oceani, migliaia di miglia lontano da terra.
Baka che ne sappia così poco! Baka non poter leggere l'inglese!”
“Imparerai” disse Ori, “io mai. Tu farai parte del nostro nuovo governo, io no.”
“Perché dici così?”
“Io sono un devoto di sonno-joi, ho già pensato alla poesia per la mia morte e l'ho recitata. L'ho recitata a Shorin, la notte dell'attacco. Baka che sia stato ucciso così presto.” Ori svuotò la sua tazza di sakè, vi versò le ultime gocce rimaste nella fiaschetta e ne ordinò un'altra. Fissò Hiraga attentamente. “Ho sentito che il tuo signore Ogama è disposto a perdonare tutti gli shishi di Choshu che rinnegheranno pubblicamente sonno-joi.” Hiraga annuì. “Mio padre me lo ha scritto. Per noi, shishi di Choshu, non significa niente.”
“Si dice che Ogama controlli le Porte e ne escluda chiunque altro, e che sia in corso un nuovo scontro tra le sue truppe e quelle di Satsuma.“
“Molti daimyo di quando in quando si sbagliano, capita” disse Hiraga con calma, preoccupato per la piega che stava prendendo la conversazione e notando come Ori, da ubriaco, fosse ancora più litigioso.
Quella sera Raiko lo aveva avvisato che Ori era un vulcano in eruzione. “Abbiamo concordato da tempo di non dipendere dai successi o dalle malefatte dei nostri capi ereditari.”
“Se Ogama mantenesse il controllo sulle Porte, potrebbe restituire il potere all'imperatore e fare di sonno-joi una realtà.”
“Forse lo farà, forse lo ha già fatto.” Ori vuotò la tazza di sakè. “Sarò contento di lasciare Yokohama.
Qui l'aria è avvelenata. Meglio che tu venga a Kyòto con me. Questo covo di bugiardi potrebbe infettarti.”
“Senza di me sulla strada per Kyòto sarai più al sicuro. Mi riconoscerebbero anche senza capelli.” Una folata di vento improvvisa sollevò la paglia del tetto e fece sbattere un'imposta semiaperta. La fissarono per un attimo e poi tornarono a bere.
Il sakè li aveva sciolti, ma non aveva cancellato le loro preoccupazioni sotterranee, i pensieri sulla morte e sugli agguati che li attendevano, né il progetto di imboscata allo shògun Nobusada, Shorin e Sumomo, e soprattutto, cosa fare della ragazza gai-jin?
Hiraga non ne aveva parlato e Ori si era fino a quel momento astenuto dal chiedere di lei ma erano entrambi in attesa, e tutti e due giravano intorno a quel problema centrale, impazienti e al tempo stesso esitanti.
Fu Ori a rompere il silenzio. “Domani quando arriverà Akimoto, quanto hai intenzione di raccontargli?”
“Tutto quello che sappiamo. Farà il viaggio a Kyòto con te.”
“No, meglio che si fermi, avrai bisogno di un guerriero.”
“Perché?” Di nuovo Ori alzò le spalle. “Due è meglio di uno. In questo momento” disse brusco, “dimmi dov'è lei.” Hiraga descrisse l'edificio con precisione. “Non ci sono sbarre alla finestra né alla porta laterale, per quello che ho visto.” Per tutto il giorno si era chiesto come risolvere il problema di Ori.
Se Ori avesse fatto irruzione in quella casa e l'avesse uccisa, che sopravvivesse o meno, tutto l'Insediamento si sarebbe sollevato, vendicandosi contro ogni giapponese a portata di mano.
“Sono d'accordo che lei sia un giusto bersaglio per sonno-joi ma non è ancora il momento, non finché non mi avranno accettato e insegnato i loro segreti.”
“Un bersaglio così perfetto va colpito subito, Katsumata dice che esitare è perdere. Possiamo impadronirci dei loro segreti dai libri.”
“Te l'ho già detto: non sono d'accordo.”
“Quando l'avrò uccisa, tutti e tre daremo fuoco allo Yoshiwara e quindi all'Insediamento, poi approfitteremo della confusione per ritirarci.
Lo faremo tra due giorni.”
“No.”
“Io dico di sì! Due o tre giorni, non di più!” Hiraga pensò a Ori e a quel piano con molta attenzione. Freddamente. Poi sentenziò: “Te lo proibisco”.
Quelle parole definitive colpirono Ori come uno schiaffo. Era la seconda volta in pochi giorni. Ed entrambe le volte riguardavano lei.
Ora la stanza era immersa nel silenzio.
Restarono impassibili. Il vento, fuori, si andava calmando, ma di tanto in tanto faceva scricchiolare la carta oleata dello shoji.
Ori centellinava il sakè e la sua implacabile determinazione lo faceva ribollire. Sapeva che se la sua forza e la sua agilità fossero state quelle di una volta avrebbe già impugnato la spada per difendersi dall'aggressione verbale di Hiraga, inevitabile, se Hiraga non gli avesse chiesto scusa.
Non importa. In uno scontro diretto, anche se fossi in perfetta forma, mi colpirebbe per primo. Pertanto dovrò toglierlo dal mio cammino con un altro sistema.
Deciso a sfidare quel nuovo nemico così determinato a ostacolarlo, Ori giurò che non sarebbe stato il primo a rompere il silenzio e a perdere la faccia. La tensione tra loro crebbe. In pochi secondi divenne insopportabile, pronta a esplodere Si udirono passi affrettati. Lo shoji si scostò. Raiko era terrorizzata.
“Le truppe della milizia Bakufu hanno occupato il ponte e la porta. Dovete scappare. Presto!” Dimentichi di tutto balzarono in piedi e si affrettarono a impugnare le spade. “Entreranno nello Yoshiwara?” le chiese Ori.
“Sì, a gruppi di due o tre, lo hanno fatto altre volte, lasciano stare i gai-jin, ma non noi.” La voce e le mani di Raiko tremavano.
“E' possibile scappare attraverso le risaie?”
“Per le risaie non si va da nessuna parte, Ori” rispose Hiraga per lei, avendo già studiato quella possibilità il giorno prima. “La terra è piatta e per un ri non offre rifugio.
E se hanno occupato la porta e il ponte saranno anche lì.”
“E la zona dei gai-jin, Raiko?”
“L'Insediamento? Non ci entrano mai...” Si girò di scatto, ancora più spaventata, e i due uomini misero mano alle spade. Giunse di corsa una cameriera bianca in viso. “Sono nel vicolo, perquisiscono casa dopo casa” piagnucolò.
“Avvisa gli altri.” La ragazza fuggì via. Hiraga cercò di pensare in fretta. “Raiko, dov'è il tuo nascondiglio, la tua cantina segreta?”
“Non ne ho” rispose lei torcendosi le mani.
“Ce ne dev'essere una qui in giro.” All'improvviso Ori si mosse verso di lei e la fece arretrare terrorizzata.
“Dov'è il passaggio segreto per l'Insediamento? Veloce!” Quando lo vide impugnare meglio la spada, sebbene ancora la minaccia non fosse esplicita, Raiko capì di rischiare la morte e quasi svenne.
“Io... per l'Insediamento? Non ne sono sicura ma anni fa mi è stato detto... Me ne ero dimenticata” disse tremando. “Non ne sono sicura ma... per favore seguitemi in silenzio.”
Affondarono dietro di lei nel folto dei cespugli, incuranti dei rami che cercavano di ostacolarli. La luna era ancora bella e alta tra le nuvole che correvano spinte dal vento.
Giunta a una zona nascosta del recinto che separava la sua locanda da quella limitrofa, Raiko premette un nodo nel legno. Il cancelletto segreto scricchiolò sui vecchi cardini di legno mai usati.
Senza attirare l'attenzione dei chiassosi avventori condusse i due giovani attraverso il secondo giardino, entrò in un terzo, poi si portò dietro la bassa struttura antincendio di mattoni, in cui si custodivano gli oggetti di valore, fino al luogo dove si trovavano i grandi serbatoi dell'acqua e i pozzi, in parte alimentati da acqua piovana e in parte riforniti quotidianamente da file di coolie.
Ansimante, indicò il coperchio di legno di un pozzo. “Penso, penso che sia qui.” Hiraga scostò il coperchio.
Dalla parete di mattoni sporgeva una rudimentale scala di ferro arrugginito, più sotto non si vedeva l'acqua.
Sempre terrorizzata Raiko bisbigliò: “Mi hanno detto che conduce a una galleria... Non ne sono sicura, dicevano che passa sotto il canale, ma non so dove sbuchi. Me ne sono dimenticata... Ora devo tornare...”.
“Aspetta!” Ori le si parò davanti. Raccolse una pietra e la lasciò cadere nel pozzo. Dopo un lungo silenzio la pietra colpì l'acqua con un tonfo.
“Chi lo ha scavato?”
“La Bakufu, mi hanno detto, quando hanno costruito l'Insediamento.”
“Chi te l'ha detto?”
“Un servitore... non ricordo chi, ma lui li aveva visti con i suoi occhi...” Richiamati dalle voci concitate che provenivano dalla strada principale si voltarono tutti e tre. “Devo tornare...” La donna svanì lungo il sentiero da cui erano giunti.
I due samurai scrutarono inquieti nel pozzo. “Se lo ha costruito la Bakufu, Ori, potrebbe essere una trappola destinata a gente come noi.” Da una casa vicina giunsero delle imprecazioni in inglese “Che diavolo volete... andate via!”
Ori infilò la lunga spada nella cintura.
Con difficoltà, a causa della spalla, si calò nel pozzo e iniziò a scendere. Hiraga lo seguì e richiuse il coperchio.
Laggiù il buio sembrava ancora più fitto, poi il piede di Ori toccò terra. “Attento, credo sia solo uno spunzone.” La sua voce era strozzata ed echeggiava in modo spettrale.
Hiraga scese l'ultimo gradino e a tentoni si avvicinò a Ori. Strofinò uno dei fiammiferi svedesi che aveva nella tasca della manica.
“Eh!” disse Ori eccitato. “Dove lo hai trovato?” .
“Ce ne sono dovunque alla Legazione, quei cani sono così ricchi che lì lasciano in giro. Taira mi ha detto di prenderli pure. Guarda!”
All'ultimo barlume del fiammifero scorsero la bocca di un cunicolo. Era asciutto, alto quanto un uomo.
Tre metri più sotto si vedeva il pozzo pieno d'acqua. In una nicchia era rimasta una vecchia candela, Hiraga dovette usare tre fiammiferi per accenderla. “Vieni.” La galleria era in forte pendenza. Dopo una cinquantina di passi il fondo cominciò a essere bagnato, poi divenne fangoso e per lunghi tratti sommerso dall'acqua che sgorgava fetida dal tetto e dalle pareti puntellate da assi di legno marcio e pericoloso. Più si inoltravano più l'aria diventava irrespirabile, rancida. “Possiamo fermarci, Ori, aspettare qui.”