«Mi sembra molto evidente. Un altro elemento ritualistico.»
«Cosa vuoi suggerire?»
«Gli omicidi si sono verificati a poche ore di distanza l'uno dall'altro. Due ragazze giovani, mutilazioni eseguite con esperta precisione.»
«E?»
«Be', ho già sentito parlare di qualcosa di simile. E anche tu. Whitechapel, attorno al 1880, se non sbaglio. Giovani donne assassinate e mutilate.»
«Grandioso.»
Philip tese il bicchiere per avere una nuova razione di whisky.
«Proprio quello di cui ha bisogno Oxford. Un Jack lo Squartatore del ventunesimo secolo.»
«Come mai quest'idea?» chiese Philip quando Laura, seduta sull'orlo del letto, lo scrollò per svegliarlo.
«Oh, mi piaceva farlo», rispose allegra lei, e depositò un vassoio da colazione sulla trapunta.
«Hai in mente qualcosa.»
Philip sedette sul letto e si sfregò gli occhi.
«Philip...»
«Vuoi prendere parte alle indagini. Ho ragione?» Laura non riuscì a fingere a lungo. «Ci ho pensato su l'intera notte. Non ho quasi chiuso occhio.»
«Laura, è un'indagine della polizia. Tu non hai alcuna autorità... Io non ho alcuna autorità, per amor di dio.»
«Non sto proponendo di arruolarmi in polizia, Philip. Sto solo dicendo che voglio condurre, ecco, una linea d'indagine parallela.»
«Una linea d'indagine parallela?» Philip si accigliò. «Guarda che questo non è un telefilm di Kojak.»
«Credo di poter essere d'aiuto.»
La risposta di Philip fu: «Potrei almeno bere prima il mio tè?»
Laura gli versò del latte nella tazza.
«Noo... Americani e tè: un'accoppiata sempre funesta! Lascia fare a me. Intanto raccontami su cosa hai rimuginato per tutta la notte.»
Lei sistemò un paio di cuscini all'estremità opposta del letto e si adagiò contro la struttura in ferro lavorato del bordo.
«Ho continuato a pensare a quel che ho detto ore fa. Jack lo Squartatore, insomma. Però mi sono resa conto in fretta che esistono ben pochi tratti in comune tra i nostri omicidi e quelli di Whitechapel. Vero, lo Squartatore rimuoveva organi alle vittime e i suoi omicidi avevano aspetti ritualistici. La polizia dell'epoca scoprì bizzarri collegamenti con la massoneria, però non sappiamo ancora esattamente chi fosse l'omicida.»
«Cosa stai dicendo, di preciso?»
«Per cominciare, tutte le vittime di Whitechapel erano prostitute, com'è successo anche con lo Squartatore dello Yorkshire, negli anni attorno al 1980. Poi, il modo in cui gli organi sono stati rimossi dalle vittime attuali è diversissimo dai casi storici. Certo, tutte le vittime di Whitechapel hanno avuto la gola tagliata da sinistra a destra, però ogni omicidio era più brutale del precedente. L'ultima vittima di Jack, Mary Kelly, è stata davvero squartata. E c'era un evidente aspetto sessuale in ogni caso. I due modus operandi sono parecchio diversi.»
«Hai fatto i compiti a casa, eh?» osservò Philip, vagamente ironico.
Laura scrollò le spalle.
«Ho letto qualche libro su Jack lo Squartatore. Mi ha sempre affascinato.» Inspirò.
«Questi due casi hanno un aspetto ritualistico spiccato. Moneta d'oro, moneta d'argento, cuore rimosso, cervello rimosso. Forse c'è qualcosa di significativo nel fatto che la seconda vittima sia stata messa sull'acqua mentre la prima, quella vicino al Perch, si trovava sulla terra. Però non c'è molto su cui procedere, giusto? Ieri hai scoperto qualcosa d'altro?»
«Direi di no. Io sono un fotografo della polizia, Laura. Ho passato quasi tutto il giorno a stampare copie delle foto e fare backup delle immagini digitali. Ho spedito materiale a Scotland Yard e guardato foto nel database della polizia.»
«Be', avrai amici sul lavoro. Devi avere scoperto qualcosa. Gesù! Sarai incuriosito, no?»
Philip si versò una seconda tazza di tè, prese una fetta di pane tostato.
«Sì, un po' di domande in giro le ho fatte. Ma perché te ne dovrei parlare?» Laura lo guardò stupefatta.
«Stai per tornare a New York, no? Cosa t'importa?»
«Ho deciso di fermarmi ancora un po'.»
«Ah, hai deciso, eh?»
«Non sei obbligato a sopportarmi in casa tua se...»
«Oh, Laura, ovvio che puoi restare. Fermati quanto vuoi... Sempre che tu riesca ad adattarti allo stato degli impianti idraulici.»
Lei sorrise. «È stato l'incidente di Jo...»
«Questo era chiaro, ma adesso?»
«Be', adesso sono molto curiosa. Vorrei scaricare Thomas Bradwardine e pensare a qualcosa nei termini di un thriller moderno.»
«Ah ah. Okay, una risposta onesta, suppongo.»
«Non intendevo...»
«Okay», la interruppe Philip. «Cosa vuoi sapere?»
«Tutto quel che c'è da sapere.»
Lui rise forte, appoggiò la schiena ai cuscini. «Sei incredibile.»
«Allora?»
«Non è che io sappia molto... Nessuno sa molto. Entrambe le ragazze studiavano all'università. La prima vittima, la ragazza sull'automobile, si chiamava Rachel Southgate. Diciotto anni, matricola, figlia del vescovo Leonard Southgate, un vedovo che vive nel Surrey. Rachel aveva tre sorelle maggiori. La ragazza sul barchino era Jessica Fullerton. Diciannove anni, all'inizio del secondo anno di università. Famiglia di Oxford che abita in una casa a un centinaio di metri da dove è stato rinvenuto il cadavere. Figlia unica. I genitori erano immensamente fieri del fatto che andasse all'università. Come ti ho detto ieri notte, Jessica aveva la casa tutta per sé. I suoi sono in Europa. Madre e padre sono stati contattati. Ormai dovrebbero essere rientrati a Oxford.»
«Esisteva qualche collegamento tra le due? Al di là dell'essere studentesse universitarie? Che college frequentavano?»
«Nessun rapporto. Jessica studiava legge al Balliol, Rachel inglese al Merton.»
«Caratteristiche fisiche? Famiglie? Amici? Si conoscevano?»
«Rachel era bionda, alta, snella. Jessica era bruna, più bassa, meno magra. Tutt'e due venivano da famiglie della media borghesia. Non ho idea se si conoscessero. Immagino se ne stiano occupando i ragazzi di Monroe. Procedura di routine.»
Laura annuì, guardò fuori dalla finestra. Una mattina di primavera fresca, frizzante. La pioggia del giorno prima era lontanissima.
«Tutto questo non ci dice molto.»
«Ieri sera ho chiamato uno degli uomini alla stazione per un aggiornamento», aggiunse Philip dopo un po'.
«La scientifica ha scoperto che le due monete sono in metalli preziosi massicci, ma non antiche. Sono state coniate di recente e antichizzate.»
«Gli originali devono essere incredibilmente rari. Ma anche il semplice lasciare copie deve avere un significato molto speciale per l'assassino.»
Laura fece una pausa.
«Saresti capace di disegnarle? Non c'erano incise delle figure?»
«Lasciami pensare.» Lei andò a un cassettone, trovò carta e penna.
«Guarda che non ci servono. Posso fare di meglio, se lo stomaco ti regge.»
«Le foto.»
«Se ti senti in forma, la macchina è in corridoio.»
Un paio di minuti più tardi, Philip aveva rintracciato gli ingrandimenti immagazzinati nel chip di memoria della Nikon. Ne scelse uno, centrò la moneta e girò la macchina fotografica per permettere a Laura di vedere lo schermo sul retro.
«Direi che questa è la migliore. Te la posso stampare.»
Laura fece il possibile per ignorare la carne che, in varie sfumature di rosso, circondava la moneta e per concentrarsi sull'oggetto in mezzo all'immagine. Mostrava il profilo di una testa, un viso sottile, angoloso, androgino, con un lungo, imponente naso. La persona ritratta sulla moneta d'argento lasciata all'interno del cranio di Jessica Fullerton indossava un copricapo rettangolare. «Sono sicura che ci fossero figure femminili sulla prima moneta.»
«Sì, sembra anche a me», rispose Philip.
Laura afferrò un taccuino. «Qualcosa del genere, no?»
Mostrò a Philip il disegno di figure femminili che tenevano alzata una coppa.
«Non è Rembrandt, però sì, era qualcosa del genere.»
«Secondo te, cosa rappresenta la moneta?»
«Non ne ho la più pallida idea.»
«Eppure questa figura mi sembra vagamente familiare», disse lei, indicando l'immagine digitale.
«Lui o lei che sia, somiglia a un antico egiziano. Un faraone. Non ti pare?» Philip fece spallucce.
«Può darsi. Quella sull'altro lato potrebbe anche essere un'immagine religiosa. Gli egiziani adoravano il sole, no? Forse questa coppa», concluse, indicando il disegno di Laura, «rappresenta il sole.»
Laura fissò l'immagine fotografica, poi lo schizzo approssimativo che aveva disegnato.
«Vorrei una stampa di questa.»
Batté l'indice sullo schermo.
«E devo scavare un po' più in profondità.»
«Il vecchio Fotheringay al St John mi ha raccontato dell'incidente di Jo», spiegò James Lightman, girandosi verso Laura.
Stavano percorrendo il corridoio che portava all'ufficio del direttore. Pareti, pavimento e soffitto erano tutti in calcare. Il suono dei passi echeggiava attorno a loro. Laura seguì Lightman su per un'ampia scalinata marmorea. Dietro una porta intravide file di libri allineati in una grande stanza, trafitta da lame di luce solare.
«Scusa se non ti ho chiamato, James. Abbiamo passato momenti un po' frenetici.»
«Dio del cielo, Laura, capisco. La buona notizia è che l'incidente ti tratterrà ancora un po' con noi. Ti eri congedata da me solo un paio di giorni fa.»
«Avrò più tempo per le mie ricerche. Una settimana come minimo.»
Raggiunto il suo ufficio, Lightman tenne aperta per Laura la massiccia porta in quercia. Lei entrò e si guardò attorno, colpita dal familiare flusso di impressioni sensoriali che aveva avvertito per la prima volta quando aveva diciotto anni. L'ufficio era una stanza col soffitto a volta, pieno zeppo di libri secolari, antichità varie e oggetti bizzarri: un gufo impagliato in una bacheca di vetro, una piramide d'ottone, strani strumenti a corda e scatole intarsiate provenienti dal Nordafrica.
Come sottofondo sonoro, una presenza molto discreta di Bach.
Poco più di una settimana dopo il suo primo contatto con Oxford, Laura aveva trascorso una mattinata alla Bodleiana, deliziata all'idea di possedere una tessera della più esclusiva biblioteca del mondo. Era stata un'esperienza memorabile. Si trovava nell'ala di storia dell'arte, appena ristrutturata; uno scaffale direttamente sopra la sua testa era crollato, facendole piovere addosso una massa di pesanti volumi.
Aveva avuto fortuna, le erano rimaste solo poche escoriazioni sul braccio destro, però James Lightman era corso al suo fianco quasi all'istante.
Assumendo il controllo della situazione con quel suo modo di fare dolce ma deciso, l'aveva costretta a sedersi e aveva controllato che stesse davvero bene. In quello stesso ufficio, le aveva offerto una tazza di tè forte e un biscotto, e le aveva posto domande sulla sua vita. Così era iniziato il saldo rapporto di cui Laura avrebbe goduto per tutto il periodo trascorso a Oxford. Sarebbe sopravvissuto al suo ritorno in America, con rare visite in Inghilterra. Negli anni d'università, Lightman era stato una specie di zio adottivo, una figura paterna molto più accessibile dei genitori, lontani migliaia di chilometri. Per quanto agissero in campi diversi, erano in sintonia d'interessi. Intellettuale poliedrico, eminente studioso, James Lightman era noto nel mondo intero come massima autorità sulle lingue antiche, con una particolare competenza nella letteratura ellenistico-romana. L'epoca preferita di Laura era il Rinascimento, che aveva riportato in vita le influenze classiche nell'arte; aveva incontrato per la prima volta il nome di James Lightman in un libro sulla pittura classica letto quand'era ancora una precoce liceale quindicenne, a Santa Barbara.
Solo dopo mesi di frequentazione aveva scoperto che Lightman era stato sposato a un'ereditiera, lady Susanna Gatting of Brill. Però lei e la figlia avuta da Lightman, Emily, erano morte in un incidente d'auto nel 1981, meno di un anno prima dell'arrivo di Laura a Oxford. Se fosse vissuta, Emily avrebbe avuto esattamente la sua età.
Lightman si stava accomodando su un logoro divano in pelle di fronte alla scrivania, invitando Laura a imitarlo, quando lei si rese conto all'improvviso che nella stanza c'era qualcun altro. Su una poltrona, a ridosso della parete più lontana dalla scrivania, sedeva un giovanotto.
Portava un impeccabile completo nero con camicia bianca. Aveva capelli lunghi, imbrillantinati, che gli scendevano fin dietro le orecchie. Sfoggiava un naso lungo, aquilino, e zigomi molto sporgenti.
«Non conosci Malcolm, vero, Laura? Malcolm Bridges, il mio assistente personale. Malcolm, ti presento Laura Niven.» Bridges si alzò, porse una mano ossuta. «Ho molto sentito parlare di lei», salutò. Non aveva alcuna espressione in viso. La voce era sorprendentemente profonda; un leggero accento gallese ricordava la recitazione di Anthony Hopkins. Una voce in completo disaccordo con l'aspetto fisico.
«Almeno qualcosa di buono, mi auguro.» Laura studiò il volto di Bridges. Aveva qualcosa che non le piaceva d'istinto, ma non era in grado di identificarlo. Si girò verso Lightman. «Spero di non essermi fatta viva in un momento inopportuno.»
«No, no, non dire sciocchezze», ribatté il direttore della biblioteca.
«Malcolm, abbiamo finito con l'organizzazione della festa di stasera, esatto?»
«Credo proprio di sì. Mi darò da fare.» Bridges raccolse alcuni fogli da un tavolino. «Spero di rivederla presto», disse a Laura prima di uscire.
Lightman si adagiò contro lo schienale del divano imbottito. «In cosa posso esserti utile, mia cara?» chiese. «Stamattina al telefono mi sembravi molto eccitata.» Laura studiò quel viso familiare. Gli occhi castano scuro erano ormai velati, i capelli bianchi, lunghi e ribelli. Talora Lightman somigliava all'anziano poeta Wystan Hugh Auden, altre volte a un patriarca biblico senza barba. Non aveva ancora settant'anni, ma ne dimostrava di più. La pelle appariva coriacea e la fronte era talmente solcata da rughe e linee da sembrare, vista da vicino, un'immagine della NASA della superficie marziana.
«È per il libro al quale sto lavorando», rispose lei.
«Il romanzo su Thomas Bradwardine?»
«A dire il vero, no.» Laura provò un leggero imbarazzo.